di Salvatore Romeo (’84)
In un articolo comparso sull’ultimo numero di WEMAG, l’avvocato Nicola Russo annuncia la possibilità di candidarsi a sindaco accogliendo eventualmente la proposta di “alcuni amici grillini”. Spiega il promotore del Comitato Taranto Futura che si tratterebbe di un modo col quale portare avanti le istanze del referendum sulla chiusura parziale o totale dell’ILVA. La consultazione, indetta per il 27 marzo 2010 con delibera del sindaco di Taranto, è stata sospesa dal TAR di Lecce a seguito del ricorso presentato da ILVA e dalle sezioni tarantine di Confindustria, CGIL e CISL; Russo ha impugnato la sentenza di fronte al Consiglio di Stato, che ha però respinto l’appello dell’avvocato rimandando ancora una volta la questione al giudizio del TAR del capoluogo salentino. Il 10 febbraio scorso il pronunciamento dei giudici amministrativi ha sancito la bocciatura dell’iniziativa referendaria. Russo tuttavia ha annunciato un nuovo ricorso al Consiglio di Stato.
Ora, al di là di come la si pensi sul referendum e su chi l’ha promosso, occorre sottolineare un “punto di metodo” estremamente importante. Accusare Russo (o chiunque altro, attivo nel movimento ambientalista tarantino) di “strumentalizzare” la drammatica “questione ambientale” che affligge la nostra città equivarrebbe ad accusare ex post di “carrierismo” quei pochi che, fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, si misero in gioco per dare vita alle prime formazioni politiche della classe operaia. Non sembri azzardato il parallelo: chiunque abbia un minimo di curiosità potrebbe andare a rileggersi le cronache dell’epoca e notare come la “questione sociale” fosse allora sentita grosso modo alla stessa maniera in cui oggi avvertiamo il tema della tutela dell’ambiente e della salute: un problema dagli esiti potenzialmente distruttivi. E non mancavano neanche allora i censori che accusavano questo o quell’esponente dei nascenti partiti socialisti o socialdemocratici di stare “strumentalizzando” il malessere della povera gente. “Demagoghi” li chiamavano.
Ma torniamo ai giorni nostri. Il movimento ambientalista negli ultimi anni è cresciuto sensibilmente nella nostra città: comitati e associazioni, marce e petizioni… Una parte significativa della nostra comunità non ci sta più a subire passivamente le conseguenze dell’inquinamento. D’altra parte anche le forze politiche non hanno potuto non prendere atto di questa nuova realtà. Il Presidente Vendola e il suo partito già nel 2007 si sono fatti promotori di una legge contro la diossina, che il candidato in consiglio regionale e attuale Assessore al Bilancio, Michele Pelillo, ha sbandierato in campagna elettorale quasi fosse un trofeo personalmente conquistato. Nella stessa elezione anche Italia dei Valori ha candidato il dott. Patrizio Mazza che, impostando un messaggio esplicitamente ambientalista (in cui si parlava anche di chiusura e riconversione dell’industria siderurgica), ha conseguito un risultato brillantissimo, scalzando lo stesso coordinatore provinciale del partito. Insomma, com’era inevitabile la “questione ambientale” è entrata a pieno titolo nell’agone politico. E d’altra parte non è forse giusto così? La politica non dovrebbe forse occuparsi “della vita e della morte”, come Pasternak ricordò a Stalin?
Ma c’è anche dell’altro. Chi eventualmente accusasse gli ambientalisti di “ambire alla poltrona” si farebbe portatore di una concezione del rapporto fra politica e società civile francamente “primitiva”. Si intenda questa espressione in senso proprio: sono i “primi” teorici dello Stato (Thomas Hobbes, per esempio) a postulare una netta separazione fra società e politica, in nome dell’autonomia assoluta di quest’ultima. Il liberalismo ha ribaltato il giudizio di valore, ribadendo però la separazione: è lo Stato che deve stare alla larga dalla società perché ogni sua interferenza è lesiva della libertà dei cittadini. A qualcuno non piacerà, ma c’è voluto il buon vecchio Marx per sfondare questi muri fittizi: lo Stato (le formazioni politiche in generale) è il riflesso dei rapporti di potere sussistenti nella società. E da allora l’idea che la politica potesse (dovesse?) rappresentare gli interessi dei gruppi sociali ha iniziato ad ispirare la nascita dei grandi partiti di massa e delle democrazie moderne. E oggi dovremmo rinunciare al Novecento per tornare al 1600? Non mi sembra il caso…
Tutti i movimenti che nascono nella società hanno il diritto di proiettarsi in politica. Chi non lo ammette non soltanto esprime una cultura “primitiva”, ma legittima l’atteggiamento “professionale” che da qualche tempo molti politici hanno assunto – e che dovrebbe spaventare ogni sincero democratico. La separazione istituzionalizzata fra società e politica ha come conseguenza la sclerosi di quest’ultima. Si arresta il moto che dovrebbe favorire il ricambio delle classi dirigenti con l’affermarsi di figure e movimenti in grado meglio di altri di interpretare i bisogni emergenti nella società e lo “spirito dei tempi”. Si rafforza, di contro, quella prassi feudale che va sotto l’insegna della trasmissione delle clientele di padrino in figlioccio – e il cui corollario è il gioco delle alleanze fra esponenti ora di questa ora di quella corrente che, alla stregua di matrimoni fra consanguinei, finisce col fiaccare la “famiglia politica” portandola allo sfinimento. Così si è consumata la parabola dei signori rinascimentali, ridottisi infine a poco più che valletti di corte, e soprattutto dei loro domini, trascinati nel “lungo declino italiano” durato un paio di secoli. Così vogliamo finire anche noi?
Ma vi è soprattutto una ragione che dovrebbe portare ogni persona intellettualmente onesta a concludere che l’impegno politico diretto da parte del movimento ambientalista (e ci si riferisce a qualsiasi gruppo attivo al momento o in futuro) sia, piuttosto che un “tradimento”, un’esigenza per la nostra comunità. Importante è la denuncia, significative sono le iniziative di sensibilizzazione, prezioso è il contributo che questi gruppi stanno dando alla crescita civile di Taranto… ma decisivo è il governo! In due accezioni: perché senza quel momento le cose non si cambiano – siamo ormai abbastanza adulti da sorridere davanti alla favoletta che basti fare il bene nel nostro piccolo per salvare l’umanità –; ma soprattutto perché è opportuno che il movimento ambientalista, dopo essersi formato una visione scientifica sui fatti che gli consente di confrontarsi a tu per tu anche con i massimi organi tecnici, maturi anche sul piano politico. Chiunque si candidasse sarebbe costretto ad andare anche nel Rione Tamburi (come qualcuno, a dire il vero, sta già facendo), a Salinella o a Paolo VI a spiegare le sue ragioni; dovrebbe riconoscere i bisogni di quelle persone, confrontarsi direttamente con l’atroce dilemma che va sotto il nome di “ricatto occupazionale”; immaginare soluzioni anche per altri problemi riconducibili al degrado ambientale: la struttura urbanistica della città, il disagio abitativo di chi vive a ridosso della fabbrica, asili nido efficienti che sgravino le donne delle famiglie operaie – che quasi da sole portano avanti le rispettive famiglie – di tempo e fatica ecc. Potremmo assistere allo spettacolo di un movimento d’opinione che si fa “di popolo”… o almeno ci prova. Perché naturalmente quell’immersione nel corpo e nel sangue della città inevitabilmente darebbe luogo a conflitti: con la rassegnazione, con la paura di cadere in una miseria ancora più tetra di quella attuale, con i piccoli e grandi poteri locali (dalla Chiesa al notabile passando per il boss…). Sarebbe una grande sfida democratica, l’unico modo per nobilitare una campagna elettorale che si prospetta miserabile.
Non se ne può più di sentir dire “guarda quello che fa, si prepara alle elezioni”, “senti quell’altro come parla, di sicuro si candida”… E’ questo cinismo tipico di chi siede nei banchi intermedi – abbastanza vicino ai primi della classe per copiare ma a sufficiente distanza dagli ultimi per distinguersi dalla “feccia” – che fa sì che su questa città, assieme agli strati di fumi e polveri industriali, pesi una cappa forse ancora più mefitica. E’ uno scirocco che rallenta i movimenti e impasta le parole, che mortifica il valore e svilisce il coraggio. E’ la “linea d’ombra” dell’omonimo romando di Joseph Conrad, quel momento che precede la tempesta e tiene tutto in sospeso e che da noi sembra essere diventata condizione permanente. Se c’ è qualcuno che questa tempesta vuole scatenarla, ben venga! Sempre meglio il movimento che il “campo santo del genere umano”.
Condivido pienamente l’analisi di Salvatore Romeo. La battaglia sulla tutela della salute e dell’ambiente(ma anche, e soprattutto, dei posti di lavoro) va portata nella stanza dei bottoni, altrimenti giriamo a vuoto. Il sottoscritto deve dimettersi da magistrato per portare avanti questa giusta vertenza, diretta a cercare di rimuovere proprio quei modelli mentali medioevali che caratterizzano la società tarantina, volutamente conformata da certa classe dirigente. E’ una rivoluzione democratica questa, ma anche è anche una lotta di sopravvivenza, al fine di tutelare e garantire la vita delle giovani generazioni. Bisogna ,però, avere la capacità di isolare chi intende approfittare di questa situazione di cambiamento per non cambiare nulla, magari andando avanti al corteo con la bandiera dell’ambientalismo. Sono ,quindi, pienamente d’accordo con Salvatore Romeo e chiedo solidarietà d’intenti, per un migliore futuro dei lavoratori e dei cittadini tutti.
Se ricordiamo bene, il promotore di Taranto Futura aveva sempre confermato a chi gli chiedeva se intendesse cooptare la politica nella strenua lotta per dare maggior peso all’iniziativa, che nessuna forza politica avrebbe potuto “cavalcare la tigre” in nome del comitato referendaio poichè questo si riteneva apolitico e apartitico. Deve evidentemente aver cambiato idea ?
SIA CHIARO PER TUTTI: SE CI IMPEDISCONO DI FARE IL REFERENDUM ILVA, ALLORA FORSE SAREBBE NECESSARIO MANDARE AVANTI IL PROGRAMMA REFERENDARIO(CHIUSURA TOTALE O PARZIALE DELL’ILVA, CON LA TUTELA DELL’OCCUPAZIONE) PRESENTANDO LA LISTA CIVICA DEL COMITATO “TARANTO FUTURA” ALLE PROSSIME ELEZIONI AMMINISTRATIVE, NEL RISPETTO DI COLORO CHE HANNO FIRMATO IL REFERENDUM.TARANTO FUTURA HA QUALCHE PROGETTO IN MERITO.
Anch’io credo tantissimo in questa analisi al di là del caso specifico. Essere portatori di una necessità, di una urgenza, di un sentire collettivo è già di per se un “dato” politico e ribadisco non se ne può più di chi sbandiera “lanti-politica” “l’apartitismo”, ma poi chiede alla politica e ai partiti di inter-agire.
Luigi Giancipoli Le associazioni ambientaliste sono le sole a proporre concrete soluzioni per la riconversione industriale, mantenendo invariato il livello occupazionale e, se possibile, aumentandolo. Niente è stato fatto e mai sarà fatto dai politicanti a…ttuali, incapaci di programmare un minimo di sviluppo economico e di benessere per cittadini, che languono oppressi dall’inquinamento e dalle tasse comunali e regionali, senza alcuna contropartita, in una città letteralmente distrutta dall’immobilismo. Se vi sono avventurieri che riescono a farsi eleggere truccandosi da ambientalisti dietro manifesti e trasmissioni televisive, non si capisce perchè chi realmente si impegna duramente nel sociale, per salvare la vita di migliaia di persone e risollevare l’economia della città e dell’intero territorio jonico, non debba scendere in politica. E’ forse l’unica possibilità che ai tarantini rimane di liberarsi di una classe dirigente incapace e vessatoria il cui solo obiettivo è il mantenimento delle poltrone superpagate dai lavoratori e dai pensionati. Se il Comitato di Taranto Futura deciderà di scendere in campo appoggerò con tutte le mie forze questa giusta iniziativa.Mostra altro
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