di Salvatore Romeo (’84)
Non ha avuto neanche il tempo di godersi la vittoria elettorale Nichi Vendola. Prima il rimbrotto del neo-sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che lo ha invitato ad ascoltare prima di parlare quando si trova in contesti che non conosce; poi le furibonde polemiche scatenatesi all’annuncio dell’aumento dell’addizionale IRPEF, che dovrebbe servire a ripianare definitivamente il disavanzo del bilancio sanitario regionale. Per far quadrare i conti della sanità pugliese in realtà nei mesi scorsi è stato varato un Piano di riordino, tristemente noto per le chiusure e i ridimensionamenti di diversi presidi territoriali. Ma evidentemente la ristrutturazione non è bastata. I critici dell’inasprimento fiscale, d’altra parte, propongono di rimettere mano al progetto del San Raffaele del Mediterraneo, approvato in via definitiva dalla Giunta regionale con la delibera 331 del 2 febbraio 2010 e già in parte finanziato con una prima tranche di 60 milioni di euro. Ma incredibilmente a chiedere la revisione degli impegni già assunti non sono solo le forze che “da sempre” si oppongono alla realizzazione del nuovo ospedale: ora si unisce al coro dei dissenzienti anche una parte del principale partito di maggioranza in Consiglio regionale, il PD.
Andiamo però con ordine. Il buco da coprire ammonta a 93,6 milioni di euro. La manovra fiscale, concordata col Ministero dell’Economia, mira a portare l’addizionale IRPEF dallo 0,9% del reddito imponibile a 1,2% per i redditi inferiori ai 28 mila euro/anno e a 1,5% per quelli superiori. I due scaglioni è stato quanto la Giunta è riuscita a ottenere dalla trattativa col Ministero.
Una delle prime voci a levarsi contro l’operazione è stata quella dei sindacati. Il primo a fare riferimento esplicito al San Raffaele è stato Aldo Pugliese, segretario regionale della UIL. “Mi chiedo perché Vendola non prende i soldi necessari sottraendo l’investimento pubblico nel San Raffaele di Taranto? Perché dobbiamo pagare 60 milioni a don Verzè?”, ha sbottato il sindacalista (Corriere del Mezzogiorno, 31/05/2011). Ma il vero mattatore dell’arena è diventato, dall’indomani, il Sindaco di Bari e Presidente regionale del PD, Michele Emiliano. Un indice particolarmente eloquente dell’umore dell’ex magistrato è la bacheca del suo profilo facebook. Bene, dall’1 giugno il massimo esponente del PD pugliese inizia a pubblicare link che fanno riferimento alla “questione San Raffaele” e alla liason dangeroux fra Vendola e il famigerato don Verzè.
Ma la veemenza con cui Emiliano ha preso a scagliarsi contro il progetto del San Raffaele lascia perplessi: perché proprio ora? Perché posizioni analoghe non sono state espresse quando il progetto era ancora in discussione? In quel caso forse il pronunciamento del leader del primo partito della maggioranza – magari formulate non su facebook, ma in sedi ufficiali – avrebbero sortito un effetto ben diverso; chissà… sarebbero persino riuscite a bloccare il disegno della “strana coppia” Vendola-Verzè. Ma questo non lo sapremo mai.
Le parole del sindaco di Bari in ogni caso sorprendono non solo per l’assoluta intempestività, ma soprattutto perché, pur non citandolo mai per esteso, si rivolgono neanche troppo indirettamente all’artefice della manovra di bilancio, nonché grande sponsor dell’operazione San Raffaele: il sodale di partito Michele Pelillo. Un Michele sembra dire all’altro: “Caro, perché i soldi coi quali devi mettere apposto i conti della sanità non li togli al tuo amico don Verzè?” D’altra parte già la scorsa estate Pelillo era stato tirato nel pieno della bufera, quando divenne di pubblico dominio la notizia che il designato presidente della Fondazione San Raffaele del Mediterraneo – che dovrebbe realizzare e gestire il nuovo ospedale –, avvocato Paolo Ciaccia, fosse associato al medesimo studio legale di cui è componente lo stesso assessore regionale. Ripresa dalle forze politiche d’opposizione, che l’hanno rilanciata unendola all’accusa di “conflitto d’interesse”, la rivelazione ha provocato le dimissioni di Ciaccia.
Ora, non resta che chiedersi: la polemica suscitata da Emiliano ha carattere puramente strumentale, servendo a giochi di potere interni al principale partito di maggioranza? Il dubbio è più che legittimo, ma non può che restare aperto…
Certo, sarebbe un vero peccato sprecare per calcoli di retrobottega politico un’occasione propizia per ripensare un progetto che presenta non poche criticità. Queste sono già emerse nel corso dei mesi e degli anni scorsi principalmente grazie all’iniziativa di alcuni soggetti della società civile tarantina. Da segnalare in particolare il ricorso contro i criteri di istituzione della fondazione San Raffaele del Mediterraneo presentato dall’avvocato Nicola Russo, esponente del Comitato Taranto Futura. L’attenzione dell’avvocato si è concentrata in particolare sull’assegnazione di una struttura pubblica a una società terza senza gara d’appalto; non conta in questo caso il fatto che la Fondazione sia una onlus, dal momento che una sentenza del Consiglio di Stato (26 agosto 2010, n. 5956) rende soggette a gara anche le associazioni senza fini di lucro. Il ricorso presentato da Russo coglie nel segno quello che forse è il principale punto debole dell’intera operazione. La struttura ospedaliera che dovrebbe vedere la luce nel quartiere Paolo VI è interamente finanziata da fondi pubblici: oltre ai 60 milioni già stanziati dalla Regione, ve ne saranno altrettanti che dovrà erogare il governo centrale; quel che resta per coprire la spesa complessiva – stimata in 210 milioni di euro – dovrebbero derivare da un project-financing. La Fondazione San Raffaele del Mediterraneo, il cui consiglio d’amministrazione d’altra parte è composto per il 55% da rappresentanti dei poteri pubblici (ma, al momento, nessuno di questi è stato indicato dal Comune di Taranto), non sarà proprietaria della struttura, ma dovrà gestirla. Non sono tuttavia chiari i termini dell’accordo e, in particolare, “cosa ci guadagna il San Raffaele” – e magari… cosa ci investe. D’altra parte il gruppo capitanato da Don Verzè non sembra passarsela benissimo: dopo aver denunciato debiti per 900 milioni di euro e aver elaborato un programma di rientro che dovrebbe consentirgli di recuperare a breve almeno 120 milioni, la Fondazione milanese più che di investimenti sembra aver bisogno di liquidità immediata.
Ma oltre agli aspetti propriamente istituzionale e aziendale, l’operazione presenta problemi significativi sul piano sanitario. Li riporta il Presidente dell’Ordine dei Medici della Provincia di Taranto, dott. Cosimo Nume, già estensore di una lettera aperta sul tema indirizzata al presidente Vendola e agli assessori Pelillo e Fiore (Sanità) e datata 28 ottobre 2009 – lettera che non ha mai ricevuto risposta. Il dott. Nume precisa immediatamente che “non si tratta di un ospedale di eccellenza. Presumibilmente sarà un centro di alto livello, ma pur sempre multi-specialistico, come le strutture già esistenti (Santissima Annunziata e Moscati). E infatti queste ultime si trasformeranno in pronto soccorso… ma gestire dei pronto soccorso in locali così ampi sarà indubbiamente complicato.” Un’altra cosa che va chiarita è il carattere di “struttura universitaria” che la delibera di approvazione del progetto riconosce al nuovo ospedale – e che il consigliere Alfredo Cervellera ha rimarcato nella sua recente (e colorita) replica a Michele Emiliano. “in realtà – afferma Nume – il nuovo ospedale conterà 500 posti circa, contro i 700/750 attualmente disponibili al moscati e al Santissima Annunziata; questa riduzione tuttavia non inciderà sul rapporto fra organico e pazienti, che resterà quello di un qualsiasi altro ospedale. Di contro, gli ospedali universitari (si pensi al Policlinico di Bari), hanno un numero maggiore di addetti per ciascun posto letto – e questo proprio perché vi sono anche i ricercatori. A questo punto è legittimo chiedersi se non abbiano sbagliato i conti… oppure se in effetti non vi sia un investimento in ricerca.” Un vero e proprio errore di programmazione riguarda poi la struttura di farmacia. “E’ uno degli elementi fondamentali della strategia di cura ed è allo stesso tempo una delle più robuste voci di spesa di qualsiasi centro sanitario. Ebbene, la delibera sottostima significativamente i costi legati a questo capitolo. E’ stato detto da parte della Regione che si è trattato di un errore, ma se pensiamo che alla stesura del progetto hanno partecipato le migliori menti dell’Assessorato alla Sanità e della Fondazione San Raffaele, la cosa preoccupa…”
Altra questione delicata è quella della localizzazione del nuovo centro: “è lontano da aree molto popolose: la stessa città, ma anche Leporano e Pulsano… e poi non si tiene conto del fatto che l’utenza è composta da persone che hanno oggettivi problemi di mobilità (si pensi agli anziani). La Regione garantisce che sono già stati approntati sistemi adeguati di viabilità, ma ancora non sono noti.”
Ma i limiti del progetto sono ancora più profondi e chiamano in causa la stessa politica sanitaria regionale e nazionale: “la legge 502 – argomenta Nume – stabilisce che vi possa essere concorrenza fra pubblico e privato nella gestione dei servizi sanitari, al fine di tutelare l’interesse del cittadino. Il circolo virtuoso della competizione funziona però laddove si confrontano strutture private erogatrici di servizi di qualità e strutture pubbliche in grado di esprimere gli stessi standard. A Taranto invece avremmo la scomparsa del pubblico e quindi l’alterazione del meccanismo contemplato dalla legge.” Questa anomalia si inserisce nella tendenza al sotto-finanziamento che da tempo riguarda i sistemi sanitari delle regioni meridionali: “i criteri di riparto del fondo sanitario nazionale sono inadeguati a garantire il soddisfacimento dei bisogni di cura che la società esprime. Essi si basano ancora molto su elementi demografici come l’età media della popolazione, non tenendo conto che la cura di malattie non necessariamente legate all’età (si pensi alle leucemie) incide notevolmente sulla spesa sanitaria. Ad essere particolarmente penalizzate negli ultimi anni sono state le regioni del Sud; si è allora determinato un circolo vizioso: al Nord il maggiore volume di finanziamenti ha consentito alle stesse strutture pubbliche livelli d’investimento relativamente alti, che ne hanno migliorato l’efficienza; in questo modo il dislivello nelle prestazioni sanitarie fra le due parti del paese è andato aumentando progressivamente. E ciò ha contribuito alla maturazione dei noti deficit che affliggono la sanità delle regioni meridionali. Per quel che riguarda la nostra, si è cercato di migliorare la situazione finanziaria attraverso il taglio di centri e servizi, ma un grande limite di quel piano è stato non disporre «paracadute» adeguati sul territorio. Si chiudono gli ospedali, ma senza centri di assistenza distribuiti in maniera più capillare la gente dove si cura?”
In ogni caso il risanamento del deficit non può passare secondo Nume dallo storno delle somme stanziate o previste per l’ospedale tarantino. “Bisogna sottolineare una cosa importantissima: tre anni fa Lecce e Brindisi (provincie la cui struttura sanitaria è simile alla nostra) ebbero ciascuna 120 milioni di euro di finanziamento per ammodernare le rispettive strutture ospedaliere. Ora, già all’epoca era in ballo la questione San Raffaele, per cui si decise di disporre per Taranto un finanziamento minore (14 milioni di euro) in attesa del nuovo grande investimento. Comunque vadano le cose – e cioè che si faccia o meno il nuovo ospedale – il denaro già stanziato e l’altra quota prevista non possono essere sottratti ai tarantini a vantaggio di tutta la Puglia! Non sarebbe giusto: se si deve tagliare, si tagli equamente, andando a colpire soprattutto gli sprechi.”
Le parole di Nume non lasciano adito a dubbi: prelevare sic et simpliciter i 60 milioni di euro di denaro pubblico dal fondo per la realizzazione del nuovo centro e destinarli alla manovra di bilancio equivarrebbe a penalizzare nettamente la sanità tarantina. Altro – si potrebbe aggiungere – sarebbe trovare per quei soldi una destinazione diversa dal progettato ospedale – magari una soluzione più adeguata ai bisogni della cittadinanza e più consona a uno sviluppo “sostenibile” della struttura urbanistica della città (un articolo a parte meriterebbe l’“operazione Fintecna”, con la quale il Comune ha acquisito dalla società di proprietà del Ministero dell’Economia i terreni sui quali dovrebbe sorgere l’ospedale, dando in cambio lotti edificabili, sui quali Fintecna prevede di realizzare una nuova area residenziale). Ma non pare sia questo l’oggetto del contendere nella “lite delle comari” fra i due Michele.