Fido Guido, cantautore sulla strada

di Francesca Razzato

Guido De Vincentis, in arte FidoGuido, ci racconta come nasce la sua passione profonda per la musica, e come essa sia diventata per lui lo strumento per migliorare Taranto e il mondo. Un percorso lungo, intrapreso precocemente, in cui ci porta per mano tramite la sua sensibilità di artista (anche se non gli piace esser chiamato così); è un viaggio verso la comprensione delle cause del nostro disagio quotidiano ed esistenziale, attraverso la denuncia sociale e politica. Il tutto avviene “in strada”, luogo dell’incontro e della contaminazione per antonomasia, per Guido fucina indiscussa di ispirazione, in cui le gioie e i dolori dell’altro sono quelle di ognuno.

Guido come nasce la tua passione per la musica e come si evolve?

La vera passione per la musica nacque verso i dodici anni, anche se questo innamoramento si manifestò già da piccolissimo, quando con mio fratello trascorrevamo interminabili ore sulle note dei dischi e dei video musicali. All’età di nove anni ebbi il mio primo approccio con uno strumento, il clarinetto. Dopo questa esperienza il mio interesse si riversò verso altri generi musicali. Mi appassionai al genere punk intorno ai dieci anni grazie all’influenza di mio fratello maggiore; e mi rendo conto che era abbastanza inconsueto avere nel proprio stereo le cassette dei Sex Pistols, piuttosto che quelle di  Eros Ramazzotti. L’approccio con questo genere alternativo mi portò invece ad avere sotto gli occhi un mondo diverso da quello in cui vivevo, che la scuola e la famiglia non mi raccontavano. Così per me la musica costituì da subito uno strumento di evasione dalla realtà poco stimolante in cui mi trovavo, sia dal punto di vista ideologico, che da quello creativo. Fin da bambino, attraverso canzoncine e disegni, cercavo di esprimere il mio punto di vista sul mondo. All’età di tredici anni, in primo superiore, ebbi l’opportunità di entrare in contatto con ragazzi che  coltivavano lo stesso mio interesse per questo “mondo musicale alternativo”. Una realtà musicale che ci era stata trasmessa dai nostri fratelli e amici più grandi. Iniziai a scrivere le mie prime vere canzoni per un gruppo punk rock che si chiamava “Alternative”.  Eravamo molto attivi in città. Questo scambio generazionale fu importantissimo, perché  attraverso la trasmissione dei contenuti della musica degli anni ’70 e ’80, ci erano stati trasferiti esempi di lotta e di contestazione. Poco dopo questa esperienza nacque una nuovo progetto musicale, con mio fratello. Fondammo il gruppo punk hard core dei “So Fuckin Confused”.  I “ Così Fottutamente Confusi”, l’espressione più chiara di come potesse sentirsi un ragazzo nei primi anni novanta, dopo la guerra di mala che aveva devastato la città socialmente e culturalmente. Il mio impegno sociale e politico e l’azione repressiva, di cui sono stato vittima assieme ad altri militanti, mi hanno portato ad intraprendere poi un nuovo percorso musicale. La musica mi sembrava lo strumento ideale per smuovere le coscienze e per stimolare il senso critico delle nuove generazioni. Così nel 2003 ho prodotto il mio primo album con l’obiettivo di intraprendere un percorso non solo musicale, ma anche politico. L’affrontare tematiche legate ai problemi sociali e politici della città e l’utilizzo del dialetto per rendere i contenuti più diretti mi ha portato ad avere un immediato successo. L’approdo ad un nuovo genere musicale, il reggae, è stato naturale. Ai tempi degli “Alternative” ascoltavo i dischi che arrivavano dal Salento, con i testi in dialetto su base musicale reggae. L’efficacia di questa formula, che prevedeva  l’utilizzo del dialetto assieme ai suoni giamaicani, era fortissima . E’ stata, quindi, una spinta naturale e un percorso che negli obiettivi non era diverso da quello dei tempi del punk: arrivare alle persone raccontando frammenti di vita e di esperienze, discontinue e critiche rispetto alla realtà in cui viviamo.

Il tuo percorso si evolve dal punk al reggae, due generi diversi, ma accomunati dai temi della denuncia sociale e politica.  In che modo la musica può diventare strumento per smuovere le coscienze di chi l’ascolta?

La musica diventa strumento per smuovere le coscienze nel momento in cui la spinta che l’artista ha è tutta rivolta verso il contesto che lo circonda; ma soprattutto quando l’artista è capace di trasmettere un messaggio che viene dal cuore, che sia autentico, che parli delle proprie esperienze di vita, ma che racconti anche le emozioni e le sensazioni positive e negative che le persone provano intorno a lui, consciamente o no. Solo se la musica tocca la sensibilità di chi la ascolta, l’ascoltatore può prendere coscienza della realtà in cui vive, e magari a sviluppare la volontà di cambiarla.

Nei tuoi album affronti contestualmente tematiche globali  e tematiche di carattere locale. Inoltre i tuoi testi sono caratterizzati dall’alternanza linguistica del dialetto tarantino, dell’italiano e dell’inglese.  Appare chiaro il tuo interesse a sprovincializzare la “questione tarantina”. In che modo il “pensare globale, agire locale” può apportare un miglioramento alle problematiche della nostra città?

La conoscenza delle lingue rappresenta una chiave sul mondo ed è sicuramente uno strumento importante per conoscerlo. Il linguaggio della musica comunque è universale, con esso ho potuto entrare in contatto con numerosissime realtà in Italia e non solo. Arricchire il mio percorso con queste realtà è fondamentale. Mi permette di crescere e di trasferire le esperienze e le contaminazioni nel mondo e col mondo nei miei testi, alle persone che mi ascoltano, ai ragazzi e alle ragazze che mi seguono. I mali di Taranto non sono il prodotto di una sorte sfortunata, ma sono causa di un sistema globale che invece di favorire e preservare le persone e l’ambiente, opprime e sfrutta. Capire quali sono le cause dei problemi che la nostra città vive ci avvicina, un passo alla volta, alla risoluzione di essi.

Le storie che racconti, le testimonianze che riporti nei tuoi testi, sono figlie dell’animo della strada, oltre che della tua creatività. Cosa significa per Guido De Vincentis ispirarsi ad essa?

La strada è ricchissima perché  è il luogo attraversabile per eccellenza. E’ come per il pittore la tovolozza ricca delle sfumature di qualsiasi colore. È il luogo dover poter attingere le storie di tutti quelli che incontri, in ognuna delle quali ritrovi qualcosa di te stesso. Per chi come me non sopporta gli stereotipi, rappresenta una fonte inesauribile per indagare sulla realtà che mi circonda, per cercare di capirla e per farla arrivare al cuore di chi mi ascolta. E siccome le storie della strada raccontano un po’ di ognuno di noi, esse rappresentano un collante in cui condividere le emozioni. Quando l’emozione contenuta nelle canzoni è condivisa, avviene una piccola rivoluzione.

Hai fondato un’etichetta discografica, la “Zuingo Communication”. Come è nata l’idea di questo progetto? Chi coinvolge?

Si, ho pensato fosse necessario sin dall’inizio dare vita ad un’etichetta che potesse tenere insieme tutte le produzioni che da sempre avevo in mente di fare, in quanto ho cominciato a cantare in dialetto con la chiara idea di portare alla luce tutta una scena fatta di mc, cantanti e sing-jay. Purtroppo non è andata proprio come pensavo, e per i primi anni ho portato avanti da solo questo progetto della Zwingo Communication, arrivando a produrre anche cantanti provenienti da altre realtà, come il cd di Zuli (torinese) e quello d’esordio di Tunaman (palermitano), nonché quello di MamaMarjas coprodotto insieme a Don Ciccio. Visto che, come ti ho detto, sono cresciuto tra le autoproduzioni punk/hc e il DIY (do it yourself), è stato del tutto automatico ritrovarmi con la prospettiva di far crescere la mia etichetta, anche grazie a diverse collaborazioni. Ora, oltre al mio quarto disco “Realtà e Cultura”, sto cercando di chiudere anche il cd d’esordio di Big Lele, un ragazzo cresciuto tra le file di Zuingo Youth, quello che adesso è per noi anche un Sound System vero e proprio. Lele si è formato in questi ultimi 5 anni come mc e adesso che ha anche scritto diversi testi, ed è pronto per far conoscere il suo stile. Ma sono tanti i ragazzi che ora frequentano lo Zwingo studio. Tra loro anche un giovanissimo che presto comincerà a sfornare le sue hit. Conoscerete meglio i nuovi talenti (e a Taranto ce ne sono moltissimi, credimi), quando tra un po’ di tempo uscirà il cd compilation dal titolo “outta jail” (fuori dalla gabbia), dove i cantanti, conterranei e non, si cimenteranno sull’omonimo riddim prodotto in casa Zuingo Communication.

Quando esce il tuo prossimo album? Quali tematiche affronta?

La data d’uscita di “Realtà e cultura” è fissata per il 22 dicembre! Diciamo che sarà una bomba sotto l’albero di Natale. Occhio però che le bombe che sforniamo qui non ammazzano nessuno, scuotono  soltanto e specialmente chi non è abituato ai “botti”, quest’anno rischia di “zompare” per davvero prima ancora che arrivi capodanno! Scherzi a parte, anche stavolta non mi sono inventato nulla. Quello che voglio esprimere nella mia musica è sotto i miei occhi. Continuamente trovo attorno a me “materiale” per le mie canzoni, è la “realtà” che me lo fornisce e la “cultura” da cui provengo mi dà modo di esprimerla. Credo che sia un lavoro che esce in un momento di cambiamento (so che sembra paradossale) davvero importante rispetto a qualche anno fa, in cui ponevo ed affrontavo le stesse tematiche; è come se sentissi che chi ascolta è meno impreparato di prima e questa sensazione me lo dà chiaramente quello che vedo muoversi continuamente nella mia città. Vivo giù, respiro quest’aria, conosco la mia gente e sento che qualcosa in questi anni si è smosso…. ecco vedi? Ancora materiale per scrivere canzoni!

Cosa immagina Guido De Vincentis per il futuro di Taranto?

Immagino, spero e sogno…. il riscatto. Per poter vivere nel rispetto e dignitosamente, tutto qui. E’ così poco quello che si chiede, ma è il peggior prezzo per i padroni della città, che dovrebbero perdere tutti i loro privilegi.

2 Comments

  1. enza simone Novembre 28, 2011 2:42 pm 

    Il vento di un consumismo sfrenato, di un ipercapitalismo giunto alla sua ultima corsa sta spazzando via l’idea di futuro su cui tutti facevamo sonni tranquilli.E adesso, che non solo i bambini vedono il re nudo, adesso che ci si accorge di come l’antico sogno di una società con maggiore giutizia sociale sta tramontando tra confusione e paura, ci si chiede che fare. Credo che ognuno nel suo piccolo possa fare qualcosa. Anche la musica, questo linguaggio universale . Guido ha un sogno per il quale si adopera: e se invece di continuare a guardare avanti si guardasse verso chi è rimasto indietro? Se a piccoli passi si recuperasse il senso di appartenenza a un luogo, a una città, a un paese? Non sarebbe una visione superata e provinciale ma l’inizio di una consapevolezza. Consapevolezza di valori e di radici. Per essere pronti a comprendere anche l’Altro. Forza Guido!
    enza

  2. Tish Dicembre 12, 2011 3:38 pm 

    Great isinhgt. Relieved I’m on the same side as you.

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