di Gaetano De Monte e Francesco Tinelli
Lo scenario è quello tipico delle campagne pugliesi: muretti a secco costruiti con antica sapienza, ulivi secolari, rigogliosi vigneti resi tali dalla fatica e dal sudore dei maestri contadini. Una natura che – a distanza di duemila anni da quando Orazio e Vitruvio ne elogiarono la bellezza, il dolce frutto degli ulivi, unici al mondo, e i doni della terra razionalizzati dalla fatica e ancora orti, frutteti e vigne – sembra ancora sopravvivere immutata, nonostante lo scorrere inesorabile dei secoli. Siamo nel cuore di una provincia atipica, diversa dal suo capoluogo per tenore linguistico e per quello stile di vita che stride fortemente con la “vocazione industriale” di cui tanto a sproposito sentiamo parlare ad ogni tornata elettorale. A parte i pensionati Italsider – che, nati contadini, lasciarono la terra per la gloria facile e per la “dignitosità” dell’industria e che oggi però sovente pagano le conseguenze fisiche di quell’esperienza –, generalmente con l’industria pesante da queste parti si condivide soprattutto il veleno che si respira, mescolato a quello delle discariche, e la vista delle ciminiere, che si possono scorgere alla perfezione in tutta la loro maestosa violenza, guardando dalla collina verso tramontana, oltre il Mar Piccolo.
Siamo a Roccaforzata, in contrada Benefici, cinquantacinque ettari di terreno collinare che circondano l’omonima masseria, risalente probabilmente al 1400, di proprietà dei Marchesi Bozzi-Corso Colonna Santangelo. Della masseria, stupenda, rimane poco più di un simulacro, delle mura, un tetto, i resti sotterranei ancora impressionanti di un grande e antico frantoio, una stalla, l’altare di una chiesa antica, oltre alle colonne d’ingresso. Colonne che una marchesa, in tempi antichi, si narra fece dipingere di nero dopo la morte di una sua giovane figlia. Questa masseria è sempre stata molto importante per il territorio. Alcuni anziani del paese ne ricordano ancora l’importanza, soprattutto per la presenza nei paraggi di un antico pozzo, detto “pozzo Fiore”. Le cronache ci narrano una storia che oggi torna a riempirsi di significato. Il pozzo, infatti, secondo informazioni risalenti alla seconda metà dell’ottocento, era l’unico della zona: sempre traboccante di acqua fresca, rigorosamente “comunale”. Era importantissimo per soddisfare il fabbisogno di acqua dei villaggi circostanti di San Giorgio Jonico e Monteparano, oltre ad essere meta fissa per il sostentamento dei viandanti improvvisati e per i migranti che, dal basso Salento, si spostavano stagionalmente per lavorare nelle Puglie. Nell’estate particolarmente torrida del 1877, i villani si accorsero che in una notte la “madama marchesa” aveva pensato bene di ampliare le mura della sua masseria, per inglobare il pozzo e in qualche modo “privatizzarlo”. Corsi e ricorsi storici, forse. Ne scaturì una piccola rivolta popolare che vide i contadini, guidati dal sindaco di allora, avere la meglio sulle aspirazioni della marchesa. Il pozzo Fiore ci viene descritto in alcuni testi per le sue meravigliose incisioni su pietra e per le sue antiche vasche, delle quali a prima vista non c’è più alcuna traccia.
Più in generale si può ipotizzare con ragionevolezza che il posto su cui sorge la masseria sia stato abitato da millenni, come è tipico dei luoghi di questo genere. Un esempio analogo è quello della masseria Nisi, che si trova a sua volta nell’area orientale della provincia. La masseria Nisi deve il suo nome non all’omonima famiglia, come sarebbe facile pensare, ma forse addirittura a Dioniso, a testimonianza del fatto che probabilmente quello era un luogo destinato in principio a ben altre ancestrali funzioni.
Da sempre questo piccolissimo comune di duemila anime in provincia di Taranto, che pare facesse parte della kora tarantina, è ricchissimo di vestigia storiche e archeologiche. In particolare, nel corso degli anni, ha già restituito un insediamento dell´Età del Ferro, strutture ellenistiche e romane di Età Imperiale, ceramica attica ed apula, e due ampie necropoli, una del IV secolo a.C,ed un’altra, datata tra la seconda metà del IV e gli inizi del III secolo a.C. Una terza necropoli, presumibilmente dello stesso periodo, è ora venuta alla luce, nel silenzio generale, in quest’area, a ridosso dell’abitato di Monteparano. C’è chi ipotizza, non sappiamo se a torto o ragione, che proprio da queste parti si lavorassero i metalli preziosi e si coniasse la moneta. Solo per il gusto di farlo, senza nessuna pretesa di scientificità, dato che non ne siamo in grado, ci facciamo bastare le voci calde e affascinanti dei nostri nonni, che ci hanno parlato di una giovinezza piena di ritrovamenti narrati tra i braccianti, di sogni e di tesori, di leggende affascinanti che sicuramente nel tempo devono aver raccolto almeno qualche briciolo di verità.
La peculiarità di quest’area dove sono avvenute le recenti scoperte, testimoniate dalle fotografie allegate al nostro articolo, si scopre consultando la documentazione d’archivio della Soprintendenza, nonché quanto confluito nella letteratura specialistica, richiede che “ i progetti di nuova edificazione o di ristrutturazione, o comunque i lavori che coinvolgono il sottosuolo (sottoservizi, spianamenti ecc.) siano tempestivamente comunicati alla Sovrintendenza per l’esercizio dei controlli di competenza, inserendo apposita norma nella Relazione di Piano e nel Regolamento edilizio. Analoga misura di tutela dovrà essere adottata per l’area della masseria Benefici, in quanto risulta che nel 1981 vi sia stata riscontrata la presenza di ceramica a vernice nera in superficie”. Inoltre, non solo è prevista la possibilità che un rappresentante della Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia faccia parte della Commissione Edilizia comunale (che in questa legislatura non è stata peraltro mai convocata), ma anche che non sono autorizzabili piani e/o progetti ed interventi comportanti “escavazione ed estrazione di materiali e l’aratura profonda maggiore di 50 cm”. La Soprintendenza, infine, è l’organo chiamato a rilasciare pareri su progetti presentati per aree archeologiche sottoposte al regime di vincolo, come l’area di contrada Benefici, appunto. Prescindendo qui da problematiche di carattere urbanistico, ciò che ci preme rilevare è che, nel silenzio generale delle forze politiche, quest’area è destinata ad ingoiare asfalto e cemento, essendo la stessa destinata a nuova edificazione, compresa nell’ultimo Piano Urbanistico Generale, già sottoposto a ricorso da privati cittadini e più volte giudicato irregolare prima dalla Regione e poi dal Tar. Asfalto, cemento e palazzine, dunque, laddove due millenni fa i Romani forse facevano abbeverare i loro cavalli o, chissà, celebravano i loro riti. E’ una storia comune a buona parte dell’area jonico-salentina; è forse il prezzo da pagare per una presunta modernità. Oppure scarsa sensibilità, evidentemente.
Non c’è differenza da altre realtà provinciali, forse per questo si potrebbe cercare di essere leggermente migliori. Stessa tristezza ci assale osservando lo stato in cui versa il parco Archeologico del Monte S. Elia, che vede alcuni suoi reperti esposti anche presso il MarTa. Attualmente delimitato da una recinzione, è abbandonato all’azione di vandali. Roccaforzata, insieme a tutta la provincia, ha pagato già un caro prezzo, se pensiamo ad esempio all’abbattimento della meravigliosa Villa Lisa – di cui un mirabile erudito locale come Giuseppe Miccoli ci ha parlato nel suo puntuale e rigoroso “Roccaforzata nell’Albania tarantina” – per la costruzione pare di un supermercato, o forse di appartamenti e garage. Scelte discutibili, ma legittime in questo caso.
Al parco archeologico del Monte S.Elia invece, il fuoco ha distrutto i percorsi in legno che collegavano la parte bassa con la sommità del colle, un luogo dove il sole rovente batte a tutte le ore ed è capace di bruciare quello che incontra. Solo la macchia mediterranea ne sa giovare, come è nella sua natura, tra capperi profumati, fichi d’India, uliveti secolari e meravigliose tufare. In generale, nei diversi punti del percorso regna il degrado e l’abbandono. Detriti di ogni genere, tra cui anche eternit, in un percorso che si presenta interessante sotto l’aspetto sia naturalistico che storico-archeologico e, come tale, con alte potenzialità in termini turistici e di ricadute economiche su tutto il territorio. Anche se da solo, siamo consapevoli, il parco archeologico non può bastare. Diceva il caro Giulio Tremonti che con la cultura non si mangia. In questo caso forse è vero, ma chissà cosa pensano di questa massima i contrabbandieri di Storia e di tesori che da sempre si arricchiscono dalle nostre parti.
Siamo certi comunque che, se anche il parco archeologico di questo piccolo paese fosse un gioiello, sarebbe l’ennesima cattedrale nel deserto; consapevoli che sull’archeologia serve un investimento complesso di largo respiro, pianificato, che riguardi tutta la provincia e che veda come è nella sua natura, la città di Taranto al centro di tutto. Ma, si sa, non c’è “vocazione” che si può fermare; ogni territorio ha la sua, forse ogni uomo e, oggi come più che mai, le vocazioni dei figli sembrano stridere con quelle dei padri. Crediamo, però, che un patrimonio di questo genere vada in qualche modo tutelato, conciliandolo al massimo con il bisogno più o meno oggettivo di espansione urbanistica che, a chi scrive, non convince pienamente, ma siamo solo in due. Si potrebbe almeno cercare di manifestare un briciolo di sensibilità verso luoghi indiscutibilmente così affascinanti, ad esempio rendendo evidente quanto più è possibile la nostra storia, almeno da un punto di vista visivo, giusto per non dimenticarla. Non si sa mai un giorno la “vocazione” cambi e per una piccola e significativa realtà possa diventare troppo tardi. E’ uno sforzo che non costa poi così tanto, può essere anche una questione di piccolezze, in questi tempi di crisi in cui sembra necessario far girare denaro e in suo nome ogni mezzo sembra lecito.
E’ davvero impossibile coltivare piano, con sapienza, quella “religione civile” così nobile, così “comune”, che va dai Parteni fino a Giorgio Basta, da Scanderbeg a Paisiello, in questi tempi in cui, da nord a sud, si inventano tradizioni e si costruiscono identità solo al fine di mascherare nuove e mediocri ideologie? Tutto questo a maggior ragione in una provincia come quella tarantina, dove l’antropizzazione molto spesso violenta ha lasciato profonde tracce nell’assetto del territorio, e di cui l’inquinamento è solo uno degli aspetti più drammatici; in questo contesto sarebbe opportuno, proprio in seguito a questi nuovi ritrovamenti, dare finalmente un po’ di attenzione al nostro patrimonio storico, produttivo ed affettivo.
A LAVURA’!!
Non Aspettiamo Oltre….il Cambiamento dipende da ognuno di noi… ;-)
Come al solito in questo paese quando qualcuno fà qualòosa di buono viene guardato in modo strano.voglio rispondere all’anonimo che ha criticato questa iniziativa:1)PERCHé TI NASCONDI,2)FORSE NON LO SAI O FAI FINTA DI NON SAPERLO,CHE LO SVILUPPO DI ROCCAFORZATA PUò AVVENIRE COL TURISMO ARCHEOLOGICO. RICORDATI CHE FINO A QUANDO CI SARANNO PERSONE CHE LA PENSANO COME TE FAREMO SEMPRE GLI INTERESSI DI ALCUNI E NON DI TUTTA LA COMUNITà.UN CONSIGLIO, COME AFFERMAVA PAPA GIOVANNI XXIII NON AVER PAURA E LA PROSSIMA CRITICA SCRIVI IL TUO NOME.
A dimenticavo Sono giuseppe demonte il papà di gaetano e il firmatario di quello che c’è scritto sopra
UNA CITTA’ CHE NON CONOSCE .e sfrutta, IL PROPRIO PASSATO NON HA FUTURO ………e noi Tarantini ,purtroppo siamo “MOLTO IGNORANTI ” Giuseppe Loconte , Taranto
Chi fa’ finta di niente o nn si sente toccato ALIMENTA questo… A discapito dei nostri figli. Guarini F.
la tutela del paesaggio e delle nostre risorse naturali sono un bene incommensurabile che i palazzinari e tutte le razze di faccendieri esistenti sulla faccia della terra non hanno in alcuna considerazione quando si tratta di fare affari e profitti di ogni genere. Il caso da te messo in evidenza non solo ti onora ma deve essere uno sprone a tutti noi,resistenti,a non mollare.Hasta la victoria,siempre!
Ciccio Voccoli,consigliere comunale di Taranto-comunista sempre
Vorrei poter parlare con il Signor Demonte….
Sono il Dott. Alessandro Viesti, archeologo che sta curando le indagini archeologiche in località Benefici su incarico dell’Amministrazione Comunale di Roccaforzata e con la nomina accettata dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici di Taranto.
CON PIACERE ALESSANDRO…. QUANDO VUOI…. AVEVO CONTATTato il signor alessio della soprintendenza,che si occupa in genere di roccaforzata, ma era in ferie e mi ha dato appuntamento solo nei prossimi giorni…..il mio numero di telefono puoi prenderlo dal comune di roccaforzata, oppure se mi contatti in privato alla mail della redazione te lo faccio avere…
non trovo l’indirizzo di posta…..
contattami allora a demonteg@hotmail.it