di Greta Marraffa
“Il rosso ti dona parecchio Grace, contrasta con la tua pelle chiara ed eterea”
Grace amava dipingersi le labbra di rosso porpora, lo faceva con estrema eleganza; questo la rendeva eccessiva, stravagante, a volte inopportuna.
Le piaceva farsi notare, brillava di luce propria e amava colorarsi. Tendeva spesso ad assomigliare a Cleopatra: quel trucco pesante ed eccessivo sugli occhi grandi color nocciola le attribuiva dieci anni di più.
Amava camminare sotto la pioggia; in quei momenti fingeva di essere un’attrice famosa, una dei film di Fellini; accendeva una sigaretta ed attendeva impaziente qualcosa … cosa non si sa!
La incontrai in una giornata soleggiata, mi colpì subito il profumo al Patchouli che emanava. Lei era seduta su una panchina nel parco, leggeva animosamente Memoria delle mie puttane tristi, un romanzo di Gabriel Garcia Marquez.
I suoi occhi penetranti incontrarono fugacemente i miei.
Me ne innamorai,volli conoscerla. Mi raccontò la sua storia e con estrema semplicità mi descrisse la sua vita: aveva vissuto da bambina in un piccolo paesino del nord Europa; aveva svolto lì i suoi studi fino a quando un giorno, da lei definito maledetto, si innamorò perdutamente di un uomo italiano. Volle seguirlo, e in quei lunghi viaggi si amarono così morbosamente da annientarsi l’un l’altra … un amore disperato, un amore umano – “uno dei tanti”, mi confessò con voce fioca.
Aveva quel portamento così elegante; era emancipata e sicura di sé, ma dietro quegli zigomi accentuati si nascondeva una persona dolce e fragile. Lei mi disse: “Sono tre anni che offro il mio corpo al mondo”.
All’inizio non capii cosa volesse dirmi, ma lei audacemente mi confessò: “sono una puttana, una puttana precaria. Dei miei clienti conosco i vizi e le fragilità. So ascoltare e tendo a custodire i loro segreti, perché con una puttana è più semplice essere te stesso. Sono così per scelta, sono così perché d’amore ho sofferto e l’unica cosa che mi rimane è trasmetterne agli altri quel po’ che me ne resta”.
Grace amava leggere; tra i suoi preferiti i romanzi della Allende. Diceva di sapersi riconoscere nelle storie tormentate di quelle giovani donne, così vulnerabili e colme di contraddizioni.
Avrei voluto rimanere per sempre su quella panchina, tra gli schiamazzi dei fanciulli sulle altalene e l’odore dell’erba bagnata, ma il tempo nemico mi costrinse a tornare a casa!
Le chiesi di rivederci il giorno seguente, sempre li, alla stessa ora… Lei fece solo un cenno con il capo ed accese nuovamente una Slim. Quelle labbra così carnose stringevano nervosamente il filtro della sigaretta; sembrava quasi volesse trattenersi, mi sembrò malinconica. Andai via.
Quella notte il sonno non ebbe il sopravvento, il mio sangue era più caldo del solito Mi chiesi se avessi realmente amato e se amare significasse quello che ci hanno sempre insegnato e se potesse esistere amore senza sesso e sesso senza amore. Mi domandai per quale motivo lei avesse scelto di vivere così; non riuscivo a giudicarla. Ne ero perdutamente innamorata. Il pensiero di ritrovarla il giorno seguente su quella panchina, con il suo cappotto rosso e le calze nere, mi faceva sentire viva.
Il giorno dopo stetti ore di fronte allo specchio. Volevo essere perfetta, volevo indossare qualcosa che l’avesse potuta stupire in qualche modo; ma dopo vari tentativi di assomigliarle decisi di indossare i jeans e le scarpe da tennis. A Grace sarei piaciuta lo stesso. Avrebbe apprezzato la mia semplicità.
Sulla strada delle margherite colsero la mia attenzione: era il giardino della signora Pina. Fui agile e scattante; ne staccai tre. Le strinsi forte al petto e le annusai: volevo inebriarmi di quel profumo magico.
Arrivai in anticipo; ovviamente non trovai nessuno: il parco deserto e le altalene immobili.
Sulla panchina verde acquarello notai un foglio bianco piegato più volte su se stesso, legato alla spalliera con uno spago. Lo aprii delicatamente, conteneva un fiume di lettere, notai una grafia raffinata, quasi d’epoca. Un testo con una firma: Grace.
Lei non conosceva neanche il mio nome, eppure credetti dal principio che quelle parole fossero indirizzate a me.
“Cara donna, ti scrivo perché non mi rimane altro da fare o forse perché solo questo so fare.
Non giudicarmi o biasimarmi, sono questa perché decido io chi essere. Sono una puttana perché per me fare sesso dove mi pare non è un reato. Sono puttana perché, al giorno d’oggi, mercificare il proprio corpo significa soprattutto svendere le proprie qualità intellettive e cognitive.
Sono un’artista, sono creativa e femminista, sono una donna. Se tornassi indietro rifarei gli stessi errori, se tornassi in quel giorno maledetto, quel treno lo riprenderei. Non sminuirti e concediti alle bellezze della vita; godi e ama, sii ribelle e spregiudicata, sii stronza.
Non cercare di spegnere i tuoi bollenti spiriti, ma sfrutta ogni momento della vita come se fosse l’ultimo. Non accontentarti di ciò che ti viene presentato come la normalità, sii folle e vivi fuori dagli schemi.
Cerca di includere, nella differenza, il concetto di molteplicità, rifiuta lo schema binario dell’uno contrapposto al due. Non esistono donne buone o donne cattive, sante o puttane…. esistono le sfumature, esistono le gradazioni di colore: sappi coglierle.
Non abbandonarti all’abitudine, ma sii sempre curiosa del mondo; riempi le piazze e le vite degli altri e sii sempre in grado di metterti in discussione. Lotta a denti stretti, analizzati ed emancipati, non adeguarti agli standard e alla rappresentazione del potere maschile, attenta alla “gabbia della parità”. Gli uomini non hanno mai decostruito i ruoli prefissati, noi donne sì… ascoltando le nostre contraddizioni, la nostra diversità e la nostra vulnerabilità.
C’è una forma della forza – come dice Virginie Despantes – che non è né maschile né femminile, che impressiona,spaventa, rassicura: una facoltà di dire NO, di imporre i propri punti di vista, di non tirarsi indietro. Ed è proprio questa forza che vorrei tu facessi tua: fai esplodere le tue qualità e ascolta le tue passioni e le tue inclinazioni.
Non ti conosco, cara ragazza, non so il tuo nome, ma forse non serve saperlo.
Siamo attimi, colori, suoni, odori, gesti, sguardi e tu con il tuo stupore e la tua curiosità sei riuscita a farmi sentire nuovamente amata.
Grace”