Cronache dalle strade di Torpignattara

di Gaetano De Monte

Torno a Roma dalle vacanze, che quest’anno sono state più lunghe del solito. Trovo una capitale scossa, rattristata dal duplice omicidio di Zhou Zeng e di sua figlia di appena pochi mesi, avvenuto sulle strade di Torpignattara, una zona incastrata nel triangolo formato dalle direttrici delle vie Prenestina e Casilina, nel Sesto Municipio. La località fa parte di quel quadrante est della Capitale in cui si alternano casermoni e sacche di palazzine basse, villette, baracche e giardini nati per lo più abusivamente.
Torpignattara, nato negli anni’20, storicamente un quartiere proletario, che durante il fascismo e il dopoguerra ha ospitato moltissimi immigrati dal sud Italia impiegati negli stabilimenti industriali della zona. E che oggi ingloba in sé decine di culture, immigrazioni di mille Italie, donne e uomini di ogni angolo di Mediterraneo, ma anche reti globali di business lontani e di poteri illegali, oltre che pratiche di resistenza urbana, figlie di una borgata cresciuta tra MoneyTransfer e kebab.
Piazza della Marranella, via di Torpignattara, via Campobasso, sono le uniche strade dove l’immigrata calabrese degli anni ’50 può capirsi con la donna bengalese appena arrivata. Ma sono le stesse strade dove entrambe possono non capire e avere paura. Specie se una città come Roma è governata da politici xenofobi che hanno cercato di plasmare l’immaginario della metropoli sulla paura e sulla diffidenza. Specie se sindaco della città è Gianni Alemanno, che nel 2007 vinse le amministrative puntando sull’indignazione popolare per la morte di Giovanna Reggiani, aggredita in una stazione periferica nei pressi di Tor di Quinto da Romulus Mailat, cittadino romeno; ha conquistato una poltrona promettendo sicurezza e legalità e, soffiando sull’onda dell’emozione per l’omicidio della giovane donna, stimolando un certo tipo di sentimenti e proponendo accostamenti del tipo ”stranieri uguale delinquenti”. Una tesi della quale Gianni Alemanno era così convinto da sostenerla con forza anche nelle interviste rilasciate ai giornali internazionali: “Nel sud dell’Italia il problema è la mafia. A Roma il problema è l’immigrazione”, dichiarava al Sunday Times l’11 maggio del 2008, meno di un mese dopo le elezioni. La storia darà poi torto allo stesso sindaco ed al suo entourage di neo-fascisti del secondo e del terzo millennio nella misura in cui comincerà di lì a poco tempo un escalation di omicidi, agguati, gruppi di fuoco che agiscono con le modalità tipiche delle organizzazioni mafiose. Arsenali impressionati ritrovati in giro per Roma, regolamenti di conti, intimidazioni. Usura, bische clandestine gestite dalla ‘ndrangheta nelle periferie, ristoranti e bar del centro intestati e sequestrati a cittadini nullatenenti di sperduti paesini della Locride.
Arrivo a Roma l’11 di Gennaio. Faccio appena in tempo a respirare l’atmosfera che ci restituisce quel lungo serpentone umano che si snoda da Piazza Vittorio a Largo Perestrello. In quel lunghissimo corteo di migliaia di persone, forse più di diecimila, che sfilano con crisantemi e candele per le strade del Pigneto e di Torpignattara, tantissimi sono certamente appartenenti alla comunità cinese di Roma e dell’hinterland, ma tanti sono anche parte di altre comunità immigrate organizzate, quella bengalese ad esempio. In verità c’è tutto il quartiere meticcio, giovane e popolare che, scendendo in piazza, non sembra voler soltanto scardinare le semplificazioni dicotomiche che spesso si usano per differenziare gli italiani dai migranti; sono lì anche come parte integrante della composizione sociale di quel quadrante di città e di quel quartiere, dove invece spesso le politiche adottate verso i migranti vanno nella direzione del controllo e della dispersione, oltre che della segregazione e dell’ossessione securitaria. Il caso più emblematico è quello della scuola Carlo Pisacane, utilizzata in maniera strumentale per sostenere la cosiddetta “circolare Gelmini”, ovvero la direttiva nazionale che pone un tetto massimo di stranieri per scuola, pari al 30% del totale degli iscritti. Appena eletto, lo stesso Alemanno aveva puntato subito i riflettori dell’allarme sulla scuola elementare Pisacane – che è invece uno dei simboli della Tor Pignattara multiculturale, dove i figli dei cinesi studiano coi piccoli maghrebini -, lamentando il fatto che ci siano pochi iscritti figli di italiani. La si considerava quasi una scuola di serie B, la Carlo Pisacane; quella che è in realtà un laboratorio delle seconde generazioni, anticipazione della Roma che verrà: una scuola in cui il rendimento degli alunni è buono e dove vengono sperimentati importanti processi di crescita interculturale. Una scuola multiculturale che accoglie bambini portatori di tradizioni diverse, ma che in realtà sono bambini romani, nati e cresciuti in Italia. Questa eccellenza, insieme alle vibrate proteste di insegnanti e genitori, italiani e stranieri insieme, che riuniti in un’associazione si sono mobilitati, e tramite ricorso al TAR hanno ottenuto una deroga per la scuola, ha fatto sì che l’applicazione della circolare Gelmini alla scuola non fosse applicato.
Un secondo esempio di politiche di controllo e dispersione, ed in questo caso di vera e propria segregazione, è dato poi dal caso delle comunità di senegalesi presenti sul territorio di Torpignattara e del Pigneto. Piccoli gruppi, che coabitano prevalentemente all’interno di alcuni edifici del Municipio. All’interno dei quali portano avanti anche attività di artigianato e commercio all’ingrosso. E’ questa forse una delle uniche vere ‘sacche’ di segregazione presenti a Torpignattara: una marginalizzazione sia abitativa (edifici degradati, speculazione sugli affitti), sia economica – con un circuito lavorativo al limite della legalità – sia biopolitica – con le istituzioni il cui unico intervento va talvolta nella direzione del controllo e della dispersione, tramite retate volte a reprimere il commercio abusivo e sfratti per liberare gli appartamenti, affittati spesso da privati e in condizioni di criticità dal punto di vista del degrado fisico e dell’igiene ambientale.
Un territorio complesso, dunque, Torpignattara. Un tessuto edilizio frammentato, costituitosi in maniera spontanea e deregolata per ondate successive: dalle prime lottizzazioni più o meno abusive e borgate vere e proprie, agli insediamenti operai del primo dopoguerra, alle espansioni del secondo dopoguerra dettate dalla speculazione edilizia, fino agli inserimenti più recenti. Un tessuto urbano il cui passato industriale è testimoniato dalle fabbriche dismesse e dai vuoti di senso; dove la localizzazione ambigua di una periferia centrale in un contesto i cui equilibri stanno cambiando, rende il quartiere particolarmente adatto ad accogliere le trasformazioni impresse dall’arrivo di nuove popolazioni. Popolazioni che si contaminano sviluppando reti e sinergie tra le proprie traiettorie economiche – ma anche sociali, religiose e politiche – che testimoniano il loro radicamento nel territorio.
Verso sera, tra la via Casilina, via Acqua Bullicante e via di Tor Pignattara, è un continuo andirivieni di pattuglie e camionette, perquisizioni e rastrellamenti. Il casus belli dell’ossessione securitaria e del controllo sociale è stato dunque trovato, qui, nel sud di Roma, lungo la via Casilina. In quel luogo che, come ha scritto Giuliano Santoro, rappresenta “la barriera immaginaria, il confine, tra il quartiere degli atelier, degli artisti e dei localini e quello ancora non colonizzato, frutto di cambiamenti spontanei e all’apparenza poco governabili”. Centro di un campo di tensioni in permanente movimento che si regge sulle esistenze migranti e sulla loro voglia di addentare la vita e di conquistarsela centimetro dopo centimetro. Ma Torpignattara è anche la sfida vibrante del presente. Un’occasione per ricomporre ferite e dignità. Per questo non servono più polizia e telecamere. Servono le piazze, i parchi, i marciapiedi, i cinema, i teatri, le scuole, i mercati, i servizi. Servono le condizioni perchè l’incontro diventi più utile e interessante dello scontro.
Perché chi vive a Torpignattara, e sulle sue strade vede crescere i propri figli, sta già abbastanza bene. Perché la scuola Pisacane e, un po’ più lontano, la Iqbal Masih, nonostante gli attacchi politici che ricevono costantemente, sono un modello all’avanguardia di progettualità e integrazione. La Iqbal Masih, in particolare, negli ultimi anni è stata punto di riferimento imprescindibile per tutti i movimenti che si sono opposti alla riforma Moratti, prima, e a quella della Gemini, poi. In favore di una scuola aperta, inclusiva. E’ da lì che genitori ed insegnanti decisero che “il futuro dei bambini non fa rima con Gelmini”.

1 comment

  1. Anonimo Gennaio 21, 2012 11:31 pm 

    una buona analisi quella di gaetano sia per l’analisi politica della capitale che del quartiere, a cui però vorrei aggiungere qualcosa avvalorando ed arricchendo il quadro costruito. la politica della capitale soffre di una grande lacuna, nessuna opposizione costruttiva e seria a tal punto da far annoiare lo stesso alemanno, inutile stare ad elencare le sue eccellenti azioni ed esternazioni, ma in tema di politica di quartiere vorrei solo ricordarne un paio significative partendo proprio dal casilino con lo sgombero del campo rom casilino900 un risultato storico e soprattutto scenico. senza entrare nel merito delle regolarità di quel campo, il sig.alemanno ha avuto la strada in discesa in un suo progetto molto più ampio, altro che sgombero, quello di smantellamento del tessuto culturale dei campi rom, tessuto culturale che suona strano a qualcuno se si parla di rom ma che suona come un quotidiano impegno per chi da trent’anni ha lavorato sui progetti di scolarizzazione delle etnie nomadi, il primo progetto di scolarizzazione risale agli anni ’80 nel campo di arco di travertino, municipio adiacente al sesto, il nono. Fa molto più rumore il silenzio dei veltroni, rutelli e company che lasciano indisturbato chi non molto tempo fa ha detto che il problema del quartiere di tor bella monaca si risolve buttando giù i palazzi per poi farne nuovi con un nuovo progetto urbano…tornando a tor pignattara ed al casilino che hanno avuto la sfortuna di essere portati in primo piano per mezzo di un episodio davvero sfortunato, non si può non citare uno dei comitati più attivi dei municipi romani. Il comitato di quartiere di villa certosa nel sesto municipio a tor pignattara ha una storia ed un’attività degna di essere chiamata politica, roba da fare scuola ai politici scrittori di libri. Quando si incontrano lo fanno sul serio e ci perdono molto tempo, spesso si incontrano in una delle più antiche osterie di roma, da betto e mary, loro si incontrano, pranzano insieme e parlano, discutono, e si fanno sentire, questo significa fare politica e tessuto sociale, ma il sig.alemanno agisce indisturbato e nei ritagli di tempo si permette il lusso di leggere anche qualche libro dei suoi “ex avversari” politici mentre può pensare ad altri progetti qualche di lager campi rom video sorvegliati come quello di salone….concludo dicendo che se parlando con chiunque lavori nel sociale, nelle cooperative di qualsiasi municipio in merito alle condizioni sociali del proprio quartiere, quel qualcuno non citerà mai il sig.alemanno ma solo chi gli ha preparato la strada in discesa, il mazzulatore ringrazia. luciano manna

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