di Salvatore Romeo (’84)
In un’intervista rilasciata al Corriere del Giorno dello scorso sabato l’assessore Michele Pelillo dichiara di aver finalmente alle sue spalle un partito. Il PD, secondo uno dei suoi più influenti capi-bastone, è finalmente “coeso e a voce alta chiede le primarie per il bene di questa città” (http://www.corrieredelgiorno.com/2012/01/13/primarie-pelillo-io-sono-pronto-98480/ ). Ma è proprio così? Nell’aula tutt’altro che sorda e grigia del Salone degli Stemmi ancora riecheggiano le urla dello stesso Pelillo contro l’assessora comunale Anna Rita Lemma, ribattezzata per l’occasione “scorpione in gonnella” (definizione che ricorda tanto gli epiteti con cui certi curati di campagna dell’immediato dopoguerra bollavano, indistintamente, le militanti di sinistra e le adultere). Ufficialmente l’ira funesta del buon Michele sarebbe stata scatenata dal “veleno” che la professoressa Lemma avrebbe versato a proposito di Michele Mazzarano – l’ex enfant prodige della sinistra jonica, finito nel mirino della magistratura per presunti favori ricevuti da Tarantini e comunque eletto alle scorse elezioni regionali (di fronte ai risultati molti, inclusa forse la stessa Lemma, avranno creduto di rivivere una celebre scena de “Il portaborse”). In realtà Anna Rita Lemma osteggia l’opzione primarie da tempo, sostenendo la ricandidatura del sindaco uscente.
Se nel PD la frattura sul tema primarie sembra relativamente circoscritta, il fronte è invece quanto mai aperto in SEL e IdV. Il partito di Vendola, fedele alla sfida lanciata dal suo leader al principio di non contraddizione, dice di stare con Stefàno, ma al contempo di essere disposto a disputare le primarie qualora vengano ufficialmente richieste da qualche partner di coalizione. La scissione, più che politica, sembra rasentare la psichiatria: adesso che il PD ha deciso di lanciare il guanto che farà SEL? Posto che Stefàno resti irremovibile nella decisione di non partecipare alle primarie, sosterrà nel frattempo un’altra candidatura riservandosi magari di tornare all’ovile del sindaco uscente al primo turno, nel caso dalla consultazione emerga un nome non gradito (diciamo Pelillo, tanto per intenderci)?
Nel partito di Di Pietro invece il dibattito prosegue secondo i collaudati canoni del centralismo autoritario: mentre la sezione cittadina avrebbe già fatto sapere di voler partecipare alle primarie candidando l’ex assessora al bilancio Rossella Fischietti, pare che prima il leader supremo, poi l’on. Pierfelice Zazzera abbiano personalmente interloquito con il Sindaco, garantendogli il sostegno dell’IdV. Per un partito che un giorno sì e l’altro pure si fa paladino della democrazia, giungendo persino a mettere in discussione l’indipendenza di un organo costituzionale come la Consulta in nome di una non meglio definita “volontà popolare”, è davvero il massimo.
Particolarmente delicata invece la posizione della Federazione della Sinistra (PdCI+PRC-Voccoli). Come risulta dall’equazione appena citata, i comunisti non ci stanno a rinunciare alla gloriosa storia di scissioni che li ha portati fuori dal Parlamento, in una condizione di quasi irrilevanza pubblica. La rottura di Voccoli in ogni caso non va banalizzata: ufficialmente è stata motivata con la denuncia di alcune scorrettezze avvenute nel corso dell’ultimo congresso del suo (ormai ex) Partito; ma a nessuno può sfuggire il fatto che Voccoli da un paio di anni sia passato ufficialmente in minoranza in consiglio comunale, dopo essere stato il primo a indicare Stefàno come candidato sindaco nel lontanissimo 2006. Così come difficilmente possono passare sotto traccia le posizioni assunte in questi mesi dai partiti della FdS rispetto alla prospettiva primarie: con un comunicato di qualche mese fa i Comunisti Italiani le hanno ufficialmente bocciate, schierandosi apertamente con Stefàno; da parte sua Rifondazione Comunista si è mostrata più possibilista, proponendo però primarie “di programma”: una variante che di fatto elude la questione dei candidati sindaco, lasciando eventualmente il partito libero di propendere anche per Stefàno. Presumibilmente alla base della scissione promossa da Ciccio “il rosso” c’è la volontà, non condivisa dalle formazioni della FdS, di non concedere alcuna “seconda chanche” a Stefàno.
Il nodo che sta arrovellando il centro-sinistra tarantino ha dunque un nome e un cognome precisi: Ezio Stefàno. Di altro non si parla: non sono in campo idee diverse di città, progetti, alleanze politiche e sociali alternative; i partiti del centro-sinistra, a quattro mesi dal voto, sembrano di fatto ipnotizzati dal sindaco uscente. Le primarie, lungi dall’essere uno strumento a disposizione della partecipazione democratica (come si è verificato in diverse città d’Italia nella scorsa primavera: da Torino a Cagliari, da Bologna a Milano), sono di fatto diventate un plebiscito sulla figura di Stefàno. Tale esito tuttavia non è stato provocato soltanto dalla confusione degli sfidanti, ma anche – se non soprattutto – all’abilità politica del sindaco. Stefàno, rigettando le primarie da subito (ormai diversi mesi or sono), ha giocato il suo bluff, sfidando i compagni-avversari a vederlo; sul tavolo verde ha puntato il suo patrimonio più prezioso: la sua personalità. A quel punto agli altri non restavano che due mosse: “andare a vedere”, convocando separatamente le primarie, cioè sfidando implicitamente Stefàno al primo turno; oppure “rilanciare”, cercando di far crollare il sindaco e convincendolo ad accettare le primarie. La tattica tentata è stata quest’ultima, ma ad ogni nuova puntata Stefàno non si è scomposto di una virgola e a sua volta ha giocato al rialzo, dipingendosi come il paladino della legalità accerchiato dagli affaristi della politica (memorabile il “discorsetto” contro il PD di fronte ai binari della stazione). Mettendo sempre e solo sé stesso in primo piano, il primo cittadino ha coperto accuratamente i profondissimi limiti dell’azione politica della sua giunta, portando gli avversari sul terreno a sé più congeniale: chiunque sa che, quanto a qualità personali e carisma, nessuno nel centro-sinistra tarantino è in grado di eguagliarlo. D’altra parte, se avessero davvero voluto capovolgere il tavolo e chiudere la partita, gli sfidanti sarebbero dovuti partire dal rimettere in discussione cinque anni di amministrazione; e invece è proprio un giudizio lucido e articolato su questa esperienza che in tutti loro continua a mancare. Anche perché diverse decisioni controverse dell’attuale giunta sono state condivise da chi oggi identifica in Stefàno il suo peggior nemico: una su tutte, la famigerata “variante Salinella”, che trasformerà irreversibilmente il volto di una città in cui l’espressione “piano regolatore” ha sempre rivelato una sfumatura esotica.
Comunque si concluderà questa partita, è ormai chiaro che la tempesta-Stefàno lascerà segni profondi sul corpo del centro-sinistra jonico. Egli è stato il primo in questo campo a interpretare il ruolo del leader carismatico, insofferente ai riti della politica, in connessione diretta coi propri elettori; il primo a saper parlare i molteplici registri che caratterizzano il frantumato contesto sociale della città e a vestire, a seconda delle circostanze e della qualità degli interlocutori, il ruolo dello scienziato o dell’attivista, del politico di rango o del medico caritatevole. Questo “stile” – che quelli bravi catalogherebbero come “populismo” –, se da una parte rende più “calda” la politica, dall’altra la spoglia dei suoi elementi razionali: le analisi della realtà vengono ridotte al luogo comune dell’eterna lotta fra onesti e disonesti; il rapporto fra società e politica perde ogni elemento di mediazione: non solo i partiti, ma tutte le forme organizzate della società civile vengono svalutate. E diventa perciò impossibile qualsiasi alternativa che non sia un antagonista in carne e ossa, un anti-eroe: la politica viene così ridotta alla trama di un film di Sergio Leone.
Stefàno, d’altra parte, ha avuto gioco facile nell’affermare questa visione, perché essa è nelle cose. A ben vedere, infatti, il fenomeno che ha sconvolto la demografia e la stessa vita civile tarantina negli ultimi vent’anni è la tremenda emigrazione intellettuale che ha non solo desertificato, ma anche invecchiato il “ceto medio riflessivo” locale. Le idee hanno così visto drasticamente restringersi e avvizzire il proprio habitat naturale; la stessa società civile (associazioni, movimenti, partiti) è rimasta rinchiusa in un circolo via via sempre più marginale rispetto al quadro sociale complessivo, sempre più impotente rispetto ai centri decisionali. Senza un progetto che affronti in maniera credibile quel problema la forma del populismo, che caratterizza la politica tarantina da oltre un ventennio, continuerà a perpetuarsi ed estendersi. Chi voglia davvero vincere su Stefàno, rappresentazione ultima (e forse suprema) di quella tendenza, o concentra tutti i suoi sforzi attorno al nodo fondamentale dell’emigrazione intellettuale oppure si dà ad allevare in qualche lontana riserva un animale politico in grado di fronteggiarlo.
Squallido panorama quello di una società in cui i partiti, impegnati a farsi guerra, non rappresentano più la volontà popolare ma si rivelano bensì portavoce di interessi altri, triste quadro quello di una città malgovernata, in cui gli intellettuali, privi di risorse, sono indotti a fuggire verso lidi più propizi mentre i pochi cittadini onesti, inermi e privi di sostegni adeguati, si sentono impotenti e costretti loro malgrado a soggiacere allo scempio che vede la popolazione decimata e la città devastata, priva di difese, vittima sacrificale di una guerra per il potere che a tutto mira salvo che alla giustizia e al benessere sociale.