di Salvatore Romeo(’84)
Nel precedente numero di Siderlandia Pinuccio Stea – storico, per lungo tempo esponente di primo piano della sinistra jonica – ha posto l’attenzione sulle differenze che hanno caratterizzato il rito di insediamento di Monsignor Santoro rispetto alle cerimonie organizzate per i suoi immediati predecessori. Ora, a qualcuno sembrerà una questione “di lana caprina”, ma dopo il crollo dei regimi di marca sovietica non vi è istituzione al mondo che badi di più alla liturgia che la Chiesa Cattolica. Ogni segno rimanda a un significato preciso: si tratti dell’indumento o, cosa ancora più importante, del rito. Ma l’allegoria non necessariamente deve avere una proiezione mistica, soprattutto se i “segni” chiamano in causa precisi rapporti di potere fra autorità dell’aldiqua. Abbiamo quindi chiesto a Stea di rispondere alle stesse domande da lui poste nel precedente articolo.
Partiamo proprio dagli interrogativi che lei pone in conclusione del suo articolo sulla cerimonia d’insediamento di mons. Santoro. Con l’arrivo dal mare il nuovo Arcivescovo ha voluto riprendere una liturgia che con l’insediamento di mons. De Giorgi, successore di mons. Motolese, si era interrotta. Si può ipotizzare che mons. Santoro abbia voluto stabilire un legame ideale col suo illustre predecessore? E su cosa potrebbe basarsi?
Mons. Salvatore De Giorgi rispetto alla cerimonia dell’arrivo dal mare del nuovo Arcivescovo ebbe a sottolineare che essa non apparteneva alla tradizione, ma che era stato utilizzata per la prima volta da mons. Bernardi nel 1935 e successivamente da mons. Motolese nel 1962; sempre rispetto a quel tipo di cerimonia ebbe a dire che era stata abbandonata anche per non dare spazio a forme folkloriche, concentrando l’attenzione delle cerimonie sull’aspetto ecclesiale e religioso.
Riprenderla, collegandosi così idealmente a mons. Guglielmo Motolese che fu l’ultimo a privilegiare l’arrivo dal mare, è, a mio parere, un messaggio sul ruolo che l’Arcivescovo Santoro intende sviluppare: un ruolo, come sicuramente fu quello di mons. Motolese, non circoscritto all’aspetto ecclesiale e religioso.
L’ipotesi di un recupero dell’eredità motolesiana ci porta a indagare i rapporti fra Chiesa e società locale. Il prelato martinese è sempre intervenuto nelle decisioni strategiche riguardanti la città: dall’insediamento del IV centro siderurgico all’espansione dell’influenza cattolica nella sanità (non solo con la Cittadella della Carità: la sua ombra sembra stagliarsi anche sul progetto del San Raffaele del Mediterraneo). C’è da aspettarsi da mons. Santoro un’analoga intraprendenza? E in quali settori potrebbe far pesare la sua influenza?
Penso che per dare una risposta alla prima domanda, sia assolutamente necessario avere chiaro quale sia il problema di fondo che la città ha di fronte a sé: a mio parere Taranto si trova, e non da poco tempo, di fronte alla necessità di ridefinire la propria identità. Per questo c’è bisogno di costruire un Progetto chiaro, che vada ben oltre la gestione del quotidiano che le esperienze “civiche”, di qualsiasi connotazione, hanno potuto garantire in quest’ultimo quarto di secolo. Proprio per quanto dicevo prima, quindi, ed alla luce di queste ulteriori considerazioni ritengo che mons. Santoro tenderà ad affermare un ruolo attivo della Chiesa tarantina anche in campi diversi da quelli più strettamente legati alla missione ecclesiale e religiosa. D’altronde Comunione e Liberazione, i cui campi di intervento sono svariati, ha queste caratteristiche; e come avete ben evidenziato su Siderlandia, l’Arcivescovo Santoro ha ben solide radici piantate proprio in Comunione e Liberazione.
E’ abbastanza singolare che la prima autorità laica che il nuovo Arcivescovo incontra arrivando a Taranto non sia il primo cittadino – rappresentante politico della comunità –, bensì l’Ammiraglio. Perché questa preferenza accordata alla Marina Militare?
L’ulteriore “novità” che lei segnala fra il cerimoniale d’arrivo di Santoro e quello dei suoi due immediati predecessori riguarda l’incontro col Sindaco, che avviene a Palazzo di Città e non in Concattedrale. Lo si può considerare un segno di “distacco” dall’autorità civile?
Il messaggio che emerge, guardando il percorso seguito dall’Arcivescovo nel corso della cerimonia, è duplice: affermare l’autonomia e il ruolo della Chiesa, naturalmente riconoscendo le altre principali Autorità, quella militare e quella civile, incontrandole nel loro specifico territorio di competenza; il Castello per l’Autorità militare, Piazza Municipio per l’Autorità civile. Definendo anche una sorta di gerarchia: incontrare prima l’Ammiraglio e poi il Sindaco appare come il riconoscimento di un primato dell’Autorità militare rispetto a quella civile. Autorità militari e civili cui però, a conferma di quanto ho affermato prima, nell’ambito della cerimonia alla Concattedrale, viene assegnato un ruolo di meri spettatori, al contrario proprio delle cerimonie d’insediamento di mons. De Giorgi e mons. Papa, nelle quali il Sindaco con il suo benvenuto era stato parte integrante della cerimonia alla Concattedrale.
Insomma tre Autorità (Chiesa, Marina Militare, Comune) che vengono, sapientemente, tenute distinti, pur nella piena consapevolezza della necessità di un loro incontro e di una loro interlocuzione.
Non c’è dubbio infine che il ruolo dell’Autorità civile, incontrata dopo la Marina Militare ed estromessa dalla cerimonia nella Concattedrale, sia stato in qualche modo ridimensionato.
Chiesa e Marina Militare a Taranto sono in qualche modo interessate al tipo di sviluppo urbanistico della città; è ipotizzabile un loro ruolo più o meno attivo per condizionarlo? E’ un’ipotesi realistica?
Taranto ha avuto nel dopoguerra due Piani regolatori: quello redatto, nella prima metà degli anni ’50, dall’Ing. Calza Bini e quello redatto, nella prima metà degli anni ’70, dagli Architetti Vinciguerra e Barbin: ambedue furono caratterizzati dall’errore di fondo di prevedere una città con una popolazione aggirantesi attorno ai 350mila abitanti ed ambedue sono stati stravolti da scelte adottate in difformità dai Piani stessi.
La conseguenza di ciò è una città espansa su un territorio vastissimo,e con grandi e gravi problemi di gestione del territorio stesso. Appare evidente come quello di una ridisegnazione organica del territorio sia uno degli elementi prioritari nel governo della città di Taranto.
A questi problemi se ne è aggiunto un altro, che i Piani regolatori non potevano prevedere: lo spostamento della Base Navale a Mar Grande.
In questi ultimi cinque anni al problema del riassetto urbanistico si son date risposte a “foglia di carciofo”, senza far emergere un quadro complessivo; e anche la presentazione di ipotesi di progetti per l’utilizzazione di aree dismissibili della Marina Militare è un’altra “foglia di carciofo”. A mio parere ci sarebbe stato bisogno, da parte del Comune di Taranto all’inizio della consiliatura, di affidare l’incarico a qualche valente urbanista per redarre un nuovo Piano regolatore che ridisegnasse la città nel suo complesso, alla luce di quanto accaduto urbanisticamente nel corso di questi decenni.
E’ un problema che si troverà di fronte la prossima Amministrazione comunale, che non potrà naturalmente non tener conto della complessità del territorio, di cui sono parte integrante anche Chiesa e Marina Militare, come tu evidenzi. Qui si gioca una partita importante per le classi dirigenti tarantine: sapranno e vorranno assolvere ad una funzione reale di governo del territorio o preferiranno, come è già capitato nella storia di questa città, assolvere ad una funzione subalterna capace soltanto di gestire gli aspetti burocratici di scelte strategiche decise altrove ?
Mi rendo conto che finisco col rispondere con una domanda alla tua domanda: non è un voler sfuggire alla questione posta; ma saranno i prossimi mesi a dare elementi in più di conoscenza per dare una risposta meditata e non superficiale.
I cattolici hanno avuto un ruolo decisivo nell’orientare la turbolenta evoluzione del quadro politico locale nell’ultimo ventennio. Nel ’93 la decisione della D.C. di candidare Carducci sindaco fu decisiva per l’ascesa di Cito a Palazzo di Città; nella maggioranza dibelliana l’UDC di Michele Tucci rivestiva una funzione fondamentale (alle comunali del 2005 si affermò come primo partito); più recentemente è stato invece il centro-sinistra a giovarsi dei favori dei centristi, riuscendo a ri-conquistare la Provincia grazie al loro apparentamento. Alle prossime comunali crede che sarà confermato questo ruolo di indirizzo? E a vantaggio di chi?
Nel ’93 l’ascesa di Cito più che dalla candidatura di Carducci, fu favorita dall’incredibile errore della sinistra tarantina che attaccò, nel corso del primo turno, in maniera scriteriata proprio Carducci, la cui alleanza al ballottaggio fu ritenuta superflua in quanto i gruppi dirigenti della sinistra ritenevano di aver già vinto. Proprio da quell’errore scaturì l’orientamento della DC dell’epoca di sostenere Cito o di non andare a votare al ballottaggio.
In seguito, al contrario dei tempi della DC in cui, come hanno scritto autorevoli esponenti democristiani dell’epoca, molte cose si decidevano al di fuori delle sedi della DC stessa e con una fortissima influenza delle gerarchie della Chiesa, la presenza dei cattolici in politica non è circoscrivibile ad un solo partito, anche se una tale aspirazione sembra ritornare sempre più forte da Todi in poi. Quindi mi pare difficile dire con nettezza dove il mondo cattolico tarantino si schiererà con maggiore forza e alla vittoria di chi contribuirà. Certo, non è secondario capire come, anche su queste questioni, si muoverà il nuovo Arcivescovo. Se il suo riprendere il filo dalla cerimonia d’insediamento di Mons. Motolese significherà anche seguirne le orme in altri campi, come quello di cui stiamo parlando, sicuramente il quadro politico tarantino qualche scossa la riceverà rispetto agli anni, chiamiamoli così, post-Motolese.
Altra novità che lei fa notare è il rapporto con la Basilica di San Cataldo, non più punto di partenza della cerimonia ma passaggio intermedio verso la Concattedrale. Perché ha voluto sottolineare anche quest’aspetto, che ai più è parso assolutamente normale ?
La Basilica di San Cataldo, come si sa, è ubicata nella Città vecchia, che una volta era il centro da cui si irradiavano tutte le più importanti cerimonie religiose ed anche quelle civili. Da tempo l’asse della vita cittadina si è spostata verso altre zone della città e la Città vecchia, nonostante tanti dibattiti sviluppatisi nell’ultimo trentennio e qualche intervento comunque slegato da una visione dello sviluppo complessivo della città, è andata sempre più degradando.
Mi sembra che quest’aspetto della cerimonia d’insediamento segnali una presa d’atto di questa realtà da cui scaturisce, anche con una sorta di decisione teorica, lo spostamento definitivo dell’attenzione prevalente della Chiesa tarantina verso le altre zone in cui Taranto si è sviluppata, soprattutto verso la zona sud, al cui centro c’è appunto la Concattedrale.