di Greta Marraffa
Il cielo grigio ed uggioso non ha raffreddato gli animi dei giovani ribelli. Non è riuscito a spegnere la loro voglia di riscatto e, con essa, il desiderio di mettersi in discussione.
Lo scorso giovedì 9 febbraio, all’Istituto Professionale per i Servizi Sociali “Liside” di Taranto, si è svolta un’interessantissima assemblea d’istituto che ha coinvolto non solo personale docente e corpo studentesco, ma anche numerosissime realtà associative cittadine, che conducono nella propria quotidianità una battaglia costante in difesa del territorio e dei beni comuni.
Una sperimentazione di socialità e condivisione, un mix di colori e di volti, di storie ed esperienze, raccontate con grande animosità di fronte ad un pubblico attento e coinvolto. Le quattro mura della palestra non sembravano così fredde e vuote: il calore delle voci e dei corpi addolciva una semplice e piatta giornata invernale.
Un fiume impetuoso di parole e di pensieri:”L’inquinamento che dobbiamo contrastare è quello culturale”– così un giovane ragazzo del Gruppo “Ammazza che Piazza” esordisce, tenendo energicamente il microfono in mano. “Pulire una piazzetta non è assolutamente fine a se stesso” – sottolinea caparbiamente – “il messaggio che vogliamo mandare è un altro: intendiamo proseguire questo percorso di valorizzazione e difesa del nostro territorio, una terra tanto bella ma così maledettamente martoriata”.
Gli obiettivi si scandiscono come note di una sinfonia: si vuole combattere questo stato di disinteresse e di apatia ed uno dei metodi migliori è proprio quello di incontrarsi in questi luoghi, gli spazi che per eccellenza dovrebbero produrre cultura: le scuole e le università. Creare coscienza critica in una città spesso dormiente è un passaggio fondamentale. Un qualsiasi tentativo di recupero culturale e politico dei beni comuni richiede uno specifico lavoro per costruirne la consapevolezza, finché li abbiamo a disposizione e non solo quando ci vengono tolti. Occorre allora spiegare ai cittadini, sempre più “individualizzati”e disabituati a pensare in modo critico, che la consapevolezza del valore dei beni comuni è un primo fondamentale passo per ricostruire un ordine sociale ecologico, fondato sul loro riscatto dopo secoli di oblio.
“La musica come rivendicazione di diritti” – così il noto cantautore tarantino Fido Guido stimola il pubblico interessato. “Abbiate il coraggio e la forza di mettervi voi per primi in discussione” – prosegue – “per anni siamo stati trattati come individui privi di coscienza, ma ORA BASTA; è arrivato il momento non solo di indignarci, ma anche di scendere nelle piazze e praticare e concretizzare un concetto fondamentale, quello della CITTADINANZA ATTIVA”.
L’ambientalismo a Taranto dovrebbe saper “urlare” di meno e “ascoltare” di più. Dovrebbe riuscire a parlare di cultura, di università, di ricerca; dovrebbe fornire proposte alternative reali; dovrebbe essere includente e condiviso e non delegato ad un gruppo ristretto di tecnici del mestiere. Non dovrebbe avere né santi né eroi né leader da omaggiare. L’ambientalismo dovrebbe essere percorso di autodeterminazione, di scambio e crescita collettiva.
E proprio quella mattina tra i banchi di scuola, tra i materassini e il pavimento gommato di una semplicissima palestra, si è compiuto un atto rivoluzionario. Ci si è svincolati da determinate logiche di potere e di interesse che non riguardano quei ragazzi, che costantemente, tra mille avversità, rivendicano con forza un’ esistenza più dignitosa e all’altezza dei propri desideri.
Tra i relatori anche il prof. Marescotti, fondatore dell’associazione Peacelink, che da anni caratterizza la sua lotta attraverso un esemplare impegno sociale. Attraverso l’ausilio di slides, il professore ambientalista ha mostrato ad un pubblico stupito come in altri contesti sociali, simili al nostro per peculiarità socio-economiche, si sia nettamente cambiata rotta, semplicemente rivisitando e riprogettando lo sviluppo economico. “Nella città di Pittsburgh, ad esempio, veniva prodotta la metà dell’acciaio di tutti gli Stati Uniti. L’industria siderurgica è stata chiusa” – ha declamato con orgoglio il professore – “riprogettando il processo di crescita e di sviluppo, puntando sull’istruzione, la ricerca e l’Università.”.
Dagli occhi dei giovani ascoltatori tanta lucentezza e speranza, smorzata tuttavia dalla triste realtà che avvolge questo territorio: quel mostro uccide, ma maledettamente offre il pane per vivere. Occorre per questo mettere al centro dei numerosissimi dibattiti cittadini la questione occupazionale, il ricatto che opprime molte famiglie. Quel ricatto che assilla costantemente gli “invisibili”, quelli coperti di cenere, quelli contro cui spesso viene puntato il dito, quelli a cui viene chiesto, “o la vita o la borsa”, quelli che in quel postaccio sanno quando ci entrano e non sanno mai se ce ne usciranno.
Mentre i big della politica nostrana sono intenti a preparare baracche e burattini, incipriati e mascherati, c’è chi in città la politica la concepisce diversamente. Sono coloro i quali non godono delle prime pagine dei giornali, non amano i riflettori, ma amano stare tra la gente rivendicando costantemente la voglia di cambiare questa città, sperimentando nuove forme e nuovi metodi di partecipazione. Li troverei in qualche piazzetta o in qualche luogo abbandonato, intenti a valorizzarlo e a restituirlo alla città.
Tutti i Tarantini dovrebbero svegliarsi dal loro letargo e dall’indifferenza per diventare davvero cittadini attivi!!