di Roberto Polidori
L’ agricoltura è certamente uno dei “filoni alternativi” di sopravvivenza economica del nostro territorio con il recupero della “filiera corta”, molto pubblicizzata a Taranto da un candidato sindaco in particolare, Patrizio Mazza.
E’ per questo che decido di incontrare Paolo Rubino, coordinatore e fondatore del Tavolo Verde di Puglia e Basilicata, federazione di coltivatori diretti ed aziende agricole appartenenti a tutte le sigle associative con sede a Palagianello. Chi meglio di lui può conoscere la situazione del settore agricolo in Provincia di Taranto e non solo?
Taranto si prepara alle elezioni e c’è una fortissima tensione sul territorio a causa delle giuste pretese di chi non vuole più vivere tra i fumi inquinanti dell’industria pesante. Lei che ne pensa?
Innanzitutto mi lasci parlare brevemente di ciò che è successo a Taranto il 30 Marzo: la dicotomia della città sull’ambiente ha sancito il fallimento della politica perché gran parte della società civile è ora convinta che la salvezza sociale, sanitaria ed economica della città passi per una falsa alternativa. Sta passando il messaggio: “o la grande industria rimane in piedi così come è (inquinante, ndr) oppure va chiusa”. La politica ha fallito nel momento in cui non ha permesso di adeguare le crescenti innovazioni scientifiche e tecnologiche alle necessità economiche. Secondo me ci sono condizioni oggettive per avere un’industria che produce ed offre lavoro senza inquinare. Il problema reale è il rapporto che l’industria vuole avere con la città e quanto deve spendere per adeguarsi; in questo contesto la politica avrebbe dovuto fare la propria parte senza sconti e servilismo; ritengo, per esempio, indispensabile un adeguamento dei tempi dell’azione della pubblica amministrazione ai tempi della produzione economica. L’ILVA è stata utilizzata per appalti, malaffare, raccomandazioni ed in tal modo le è stato concesso di fare tutto ciò che ha voluto. Se domani chiudessimo l’ILVA, noi dovremo prepararci ad avere un’amplissima area inutilizzata perché non avremo la forza economica per bonificarla.
Riva deve pagare e deve utilizzare parte degli utili conseguiti per riparare parzialmente il danno, ma lo Stato ha inquinato fino al 1995: anche lo Stato deve pagare. E deve pagare anche l’Europa, che senza questo stabilimento non avrebbe avuto l’acciaio a buon mercato. Ci vuole una “legge speciale” con investimenti comunitari.
Lei, quindi, da questo punto di vista, è in accordo con Bonelli e Mazza: sarebbe per creare un organismo ad hoc in grado di recepire e veicolare finanziamenti comunitari per il recupero delle aree inquinate.
Io parlo di fnanziamenti non finalizzati al cambiamento di “processo produttivo” (lì deve provvedere Riva), ma di finanziamenti speciali legittimati dal grande inquinamento subito. La politica va sfidata: noi abbiamo bisogno di industria pulita e di un territorio su cui si esercitano più attività.
Quanto al turismo, di che turismo parliamo quando da Taranto a Metaponto tutta la pineta verde non viene menutenuta ed è abbandonata da decenni? Non riusciamo a metterla in sicurezza dagli incendi e non siamo in grado a pulire le nostre coste dalla semplice spazzatura.
Ha letto il programma elettorale del Dott. Mazza? E’ un programma generico (come tutti i programmi) in cui il candidato sindaco propone una chiusura programmata della grande industria a Taranto sostituendola con un modello economico sostanzialmente basato sulla “vera vocazione”, quella agricola, del territorio tarantino. C’è da dire che il Dott. Mazza prevede una valorizzazione del “prodotti tipici” sul territorio in modo tale da creare un moltiplicatore fatto di turismo, percorsi enogastronomici e, quindi, terziario e rivitalizzando in tal modo una terra fantastica e, finalmente, pulita. Il candidato sindaco sostiene che, in base a studi elaborati da esperti ed economisti, il ritorno ad un’economia basata sulla terra potrebbe produrre potenzialmente 60.000 nuovi posti di lavoro in Taranto e Provincia, a patto che ci sia un coordinamento d’azione tra i sindaci delle provincie. Lei che ne pensa?
Come si fa a pensare ad un’aricoltura moderna, che permetta di fare reddito se gli imprenditori agricoli producono in perdita? Prima di tutto bisogna cambiare la Politica Agricola Comunitaria tutta spostata a favore dei paesi del Nord Europa: noi vendiamo loro i nostri splendidi prodotti a bassisimo prezzo (azzerando i nostri profitti) e loro ci vendono a basso costo la loro chimica e i loro trattori. Lo sa che non esiste una ricerca agricola seria in Italia? Non è la con la filiera corta che risolviamo i problemi: diciamo che in Italia si produce a costo 10 per vendere a prezzo 5. Proprio ieri a Ginosa gli agricoltori disperati mi dicevano che, solo per irrigare, la richiesta è di 700 Euro per ettaro; con l’aiuto del commercialista abbiamo calcolato che per portare a produzione un ettaro di tendoni rispettando la legge (contratto di lavoro e leggi sulla sicurezza), rivendendo l’uva ad un prezzo maggiorato di 50 centesimi al kg (un ricarico alto) l’agricoltore perde 3.000 euro per ettaro.
L’Italia sta conquistando il mercato francese ed europeo del vino, ma il coltivatore del brindisino, del leccese, di Manduria che produce uva da vino sta abbandonando il terreno perché non ce la fa: vende o affitta il terrenoa tutto vantaggio di chi vuole fare il fotovoltaico; nel rapporto di filiera l’agricoltore paga i profitti di chi trasforma: se questo rapporto di forze non va rivisto è inutile parlare di filiera.
La stima di 60.000 nuovi occupati non riguarda probabilmente il settore agricolo propriamente detto, perché in tutta la provincia jonica lavorano attualmente 27.000 persone tra braccianti, imprenditori ed agricoltori diretti con redditi mediamente bassissimi. Attualmente siamo in situazione di offerta di lavoro superiore alla domanda con una media di 30 euro a giornata; c’è chi fa 51 giornate e chi, ma sono pochissimi, fa 180 giornate.
Secondo me si può anche pensare ad una realtà economica che, mirando a questi 60.000 nuovi posti di lavoro (giusto per non scoraggiare i programmi di altri), mantenga i 12.000 che ci sono ed utilizzi altri occupati per la bonifica. Lo Stato e l’Europa devono farsi carico dell’inquinamento: senza siderurgico e base navale Taranto ritorna un paesone che, a livello nazionale, non conta nulla. Adesso può pretendere risarcimenti privati ed un massiccio intervento con soldi statali.
Quanto agli occupati nel settore agricolo puro, si tratta di occupazione naturalmente stagionale: quei 27.000 occupati, rimanendo così le cose, sono sufficienti.
Le fornisco un esempio sul funzionamento delle cose: abbiamo fatto una proposta semplice semplice all’ASL ed alla Regione che non si è concretizzata. Abbiamo proposto ad ospedali, mense scolastiche e mense aziendali di acquistate i nostri prodotti invece di uova polacche ed arance sudafricane. E’ chiaro che le arance sudafricane devono essere trattate con prodotti chimici per arrivare qui in buono stato di conservazione; lei deve sapere che le arance trattate sono consumate dai nostri ammalati e non costano meno delle nostre: tutto ciò a causa di appalti con la grande distribuzione. Se non siamo capaci di staccare le buonissime arance dai nostri alberi per trasportarle dopo 2 ore sulle tavole dei nostri malati, secondo lei possiamo essere in grado di implementare uno sviluppo alternativo in questo paese? Ho il timore che, nonostante l’encomiabile volontà di chi vuole cambiare le cose, al posto della grande industria resti il deserto delle scorie.
Ancora: i mercati generali vanno chiudendo perché i prodotti sono controllati dai grossisti della grande distribuzione (per esempio Auchan) che vanno sui campi e comprano tutto a prezzi bassissimi.
Per implementare una nuova economia alternativa devo avere la forza contrattuale di cambiare le cose: il futuro dobbiamo costruirlo insieme agli operai, che possono avere conoscenze per cambiare le cose; per ora, almeno in agricoltura, non abbiamo neanche la forza contrattuale di combattere la grande distribuzione per alzare i nostri margini di profitto.
In Italia i costi di produzione agricola sono altissimi: la chimica e l’elettricità costano tantissimo e, senza finanziamenti per sviluppare un impianto fotovoltaico per il proprio terreno, i piccoli proprietari terrieri vendono il terreno a chi offre anche poco. Ci guadagnano i grandi speculatori con capitali che occupano la terra con grossi impianti fotovoltaici.
E se Mazza o Bonelli volessero proprio inserirsi in questo ciclo vizioso per interromperlo?
Un piano si costruisce insieme: accettiamo proposte ed aspettiamo contatti. Il Dott. Mazza è venuto a parlare con noi ma, onestamente, non conosco il suo programma e non ci ha reso partecipe dei criteri con cui ha definito i suoi target occupazionali.
Io, da coordinatore del Tavolo Verde, gli ho detto che la presenza della grande industria ci permette, paradossalmente, di essere una provincia agricola più forte della Provincia di Foggia.
Mi fornisce qualche esempio della crisi dell’agricoltura?
Nel 1985 il prezzo di vendita del produttore agricolo all’ingrosso di clementine era il doppio rispetto a quello odierno, mentre un trattore costava il 25% in meno di oggi. L’avvento della filiera lunga e della grande distribuzione ci ha ucciso con la connivenza delle Politiche Agrarie Comunitarie. E’ un problema politico almeno nazionale che non può essere risolto localmente.
Lei pensa che se fosse facile organizzare filiere corte locali non lo avremmo già fatto? Gli agricoltori un po’ di cervello per pensare ancora lo conservano; abbiamo provato a creare la filiera corta, ma in questa filiera l’agricoltore può metterci poco prodotto: quanta frutta può vendere il produttore di arance di Palagiano al centro del proprio paese o ad agroturismi sul territorio?
Un altro problema enorme sono le tasse da pagare: i contributi che pagano i proprietari sul lavoro degli braccianti sono abnormi rispetto alla concorrenza estera ed esiste un contenzioso in piedi con l’INPS enorme: quando vinciamo le cause – e ne vinciamo tante – l’INPS ci chiede i soldi se, per esempio, abbiamo sforato i termini di pagamento durante la causa in corso. In pratica l’INPS ci chiede il pagamento della mora per una scadenza non rispettata poiché la causa era in corso.
Il mancato pagamento dei contributi, poi non ha permesso al 90% delle nostre aziende di usufruire di 1,5 Miliardi di Euro distribuiti dalla Regione e provenienti dalla Comunità Europea. Siamo al collasso.
Confermo: nel 2001 un kg. di clementine mi veniva pagato 1000 lire circa; quest’anno 32 centesimi (circa 600 delle vecchie lire). Nel frattempo tutto è aumentato a dismisura. Ho solo un ettaro di clementine,ereditato dai miei genitori che a loro volta l’avevano ereditato dai miei nonni, ma son quattro anni che ci rimetto e anche di brutto. Quest’anno farò il minimo indispensabile (quasi nulla) per non continuare a rimetterci soldi.
Pinuccio Stea
sottoscrivo punto per punto.
chiarisco meglio sottoscrivo punto per punto l’analisi fatta sulla situazione agricola. per quanto riguarda il punto sulla grande industria purtroppo, non io ma studi autorevoli dimostrano che non esistono possibilità di rimediare al peccato originale di avere costruito il siderurgico attaccato alla città. il turismo di oggi non può aiutare l’agricoltura, ma un vero turismo come quello toscano o come quello che è decollato nel vicino salento, può fare da volano ai prodotti locali di qualità sia freschi che trasformati. si potrebbe finalmente dare piena applicazione alla filosofia che è alla base dei vari marchi europei doc, dop, igt e altro ancora. questo, unitamente alla diffusione sempre più crescente dell’idea del consumo dei prodotti a chilometro zero può costituire per l’agricoltura locale più di una speranza.