di Gaetano De Monte
Le competizioni elettorali in Puglia, ad eccezioni di alcune lodevoli eccezioni, ed in determinati momenti storici, hanno sempre avuto una triste fama. Sin dai primi anni del 1900, quando il sistema giolittiano al potere, servendosi di ogni mezzo – di ogni corruzione e di ogni violenza – fece di questa regione, e del Mezzogiorno più in generale, una terra di conquista per i deputati ministeriali. Lo stesso allargamento del suffragio non contribuì, soprattutto nei primi anni del secolo, a mutare di senso la lotta politica, che restava, priva di motivazioni politiche specifiche, dominata dalle beghe personali ed amministrative dei singoli deputati, e ancorata agli interessi delle loro clientele al potere nei comuni, come nelle province. Mascherati con etichette politiche intercambiabili, le varie fazioni locali si scontravano e si battevano al solo scopo di conquistare il deputato governativo che da Roma permettesse poi il perdurare di quel “sistema”, attraverso il quale ottenere impieghi, appalti, favori di ogni genere. “ Le stesse autorità politiche provinciali, non esitavano a praticare contro gli oppositori tutti i mezzi repressivi in loro potere”[1]. E le masse popolari venivano coinvolte passivamente in una battaglia elettorale che, in qualunque modo si fosse risolta, non avrebbe portato loro alcun vantaggio, ma solo perpetuato lo scandalo ”della deputazione meridionale, di questa corte di vili” [2] .
Tuttavia più volte nella storia alle classi è sembrato che il passaggio elettorale potesse rappresentare un’occasione per una rigenerazione ed un rinnovamento del costume politico. Come le elezioni pugliesi del 1919 e del 1920, che si riteneva avrebbero potuto significare il momento di trionfo dell’attività politica da parte dei contadini combattenti e degli operai socialisti – che negli anni addietro avevano cominciato in Puglia importanti mobilitazioni –; e poi, invece, nonostante l’appellativo di “la Puglia rossa”, videro ricomparire, nonostante il tanto auspicato rinascimento civile meridionale, lo stesso tradizionale malcostume politico. Così oggi a Taranto da più parti si auspicava che questa competizione elettorale desse slancio e vitalità alle lotte sociali ed ambientali, con l’affermarsi di una nuova classe dirigente, degna di questo nome, dopo gli anni bui del fascista Cito, e quelli del dissesto finanziario – targato centrodestra- più grave nella storia della Repubblica. Ci si aspettava dunque, in verità, lo stesso autentico cambiamento di rotta, e lo stesso passaggio ad un’altra grammatica della rappresentanza politica, che era stato auspicato dalla società civile cinque anni fa, quando divenne sindaco di Taranto Ezio Stefano. Lo stesso “ex pediatra dei poveri”, che oggi è stato riconfermato sindaco con un vantaggio bulgaro, ben il 70% dei voti validi, su Mario Cito, a cui non sono bastate, per vincere, invece, le imprecazioni populiste e razziste dalle tv di proprietà della sua famiglia.
Infatti, nonostante il pericolo per la democrazia sia ormai scampato, ed il candidato lepenista sia stato sconfitto, c’è tuttavia poco di cui rallegrarsi dagli esiti espressi da questa competizione elettorale. E non solo perché comunque entrano in consiglio comunale sei consiglieri di un partito di estrema destra come Lega d’Azione Meridionale, il cui leader, Giancarlo Cito, padre di Mario, tuttora in carcere per una storia di tangenti, è stato condannato in passato, ed via definitiva, per favoreggiamento ad alcuni clan locali. Non solo perché vediamo ripresentarsi sotto altre vesti esponenti di interessi politici ed economici, un tempo vicini – se non proprio interni – alla maggioranza che sosteneva Rossana Di Bello ed ora affini all’“armata Brancaleone” che sosterrà Ezio Stefano. Ma anche e soprattutto, perché, ne siamo certi, quello che si insedierà, sarà l’ennesimo consiglio comunale, – come accade a Taranto, dagli anni ’80 ad oggi – in cui saranno i comitati d’affari – spesso bipartisan – le clientele, i pacchetti di voti, a comandare. Saranno loro a comandare Taranto. Certo, Ezio Stefano è uomo onesto e per bene, fino a prova contraria, ma dietro di lui si annidano già gli interessi di chi ha a cuore soltanto le varianti urbanistiche, i permessi a costruire e gli aumenti volumetrici. Di chi sarà interessato soltanto alla spartizione delle cariche nei consigli di amministrazione delle società partecipate dal Comune: L’Amiu, L’Amat, il Distripark , la Ctp, l’azienda farmaceutica comunale. Di chi pretenderà assessorati chiave come l’urbanistica, i lavori pubblici ed il patrimonio. Appalti per aziende di amici, e amici degli amici. Saranno loro a comandare Taranto. E più che lo stesso sindaco, saranno i plurisuffragati consiglieri eletti nella sua lista a “contare”. E saranno probabilmente quei “grandi elettori” di Ezio Stefano – la grande fabbrica, i grandi interessi, le confraternite, i palazzinari, i poteri forti – ancora una volta a comandare Taranto.
Una Città in cui, forse, la marcata individualizzazione degli stili di vita sembra aver minato le basi stesse della politica democratica tradizionale. Il dato di bassissima partecipazione del primo turno, circa il 60%, e quello ancora più basso del secondo, il 40% appena, nonostante ci fosse il pericolo di ritrovarsi a Palazzo di Città, un uomo, un “telepredicatore razzista ed ignorante”, che ci avrebbe fatto ridere dietro tutta Italia, ci consegna un qualcosa su cui cominciare a riflettere. Qui, più che altrove, le forme organizzate tradizionali della partecipazione e della rappresentanza politica appaiono per molti versi come consumate, logorate. Laddove in quasi tutto il mondo, potenzialmente, si amplia il terreno della partecipazione democratica, grazie anche alle opportunità fornite dalle nuove reti di democrazia elettronica, a Taranto la tendenza a cui si assiste è una riduzione della democrazia in senso verticistico e mediatico: le facce dei leader soppiantano il dibattito pubblico, e il cittadino attivo è rimpiazzato dal cittadino del talk show. Il numero crescente di donne e uomini che hanno scelto di non recarsi alle urne è di per se indice di un malessere diffuso nei confronti delle classi dirigenti ioniche. Una città che appare come uniformata – tranne lodevoli eccezioni- dal proprio grigiore sociale e da un’esplosione urbanistica priva di centro o di nuovi centri, che ha prodotto solo alienazione e solitudine. E’ in queste acque, che galleggia il fenomeno Cito, sul cui perdurante consenso è necessario fermarsi a riflettere e ad interrogarsi. Su un populismo che ha sempre goduto e gode ancora oggi di un consenso interclassista. Un fenomeno, certo, che è complesso, che può essere spiegato forse solo in parte con l’antipolitica, con i voti delle periferie, o con il fiuto che i personaggi come i Cito hanno nel saper cogliere le ansie e le paure di determinati strati della popolazione. Ma il peggio fortunatamente è passato. E “contro il pericolo Cito”, fortunatamente si è evitato un triste e fosco ritorno al passato.
Ma saprà invece, il riconfermato Ezio Stefano, stavolta, avviare un laboratorio permanente con la società civile, quella che cinque anni fa fu determinante per la sua vittoria, e che stavolta turandosi il naso, nonostante le delusioni, le mancate primarie, i tanti errori, il dispotismo del Sindaco uscente ha deciso di riconfermarlo? Riuscirà ad aprire, e a riaprire un confronto aperto con quei percorsi positivi di cittadinanza, con tutti quei percorsi di produzione materiale che hanno immaginato ed elaborato negli ultimi cinque anni una nuova idea di Città, una Taranto migliore, che includa e non escluda, in cui il sociale viene prodotto, e riprodotto di continuo? E ricomporre, almeno parzialmente, la frattura salute-lavoro, quella bomba sociale che altrimenti è pronta ad esplodere?
Certo, sappiamo che il sindaco non ha la bacchetta magica, e per di più amministrare una città come Taranto, non deve essere mica facile. Certo sappiamo che tra le conseguenze più evidenti della globalizzazione, vi è quella per cui le arene democratiche domestiche subiscono una progressiva perdita di incidenza. Perché crescono il numero delle decisioni che vengono prese al di fuori di esse, ed il restringersi dello spazio mondo fa sì che i singoli luoghi subiscano, come ad esempio avviene per l’inquinamento ambientale, le conseguenze di processi che si svolgono altrove, e che spesso sono sottratti al loro stesso controllo. Che la veloce mobilità dei capitali finanziari a livello planetario condiziona le politiche economiche degli stati e quindi delle regioni e dei comuni.
Ci aspettiamo però semplicemente che si agisca secondo l’etica della responsabilità, come agisce colui che si sente in dovere di rispondere anche delle prevedibili conseguenze delle sue azioni. Perché, per dirla con Max Weber, “l’azione moralmente giusta non è quella che si limita a corrispondere a un precetto, ma quella che attua concretamente un bene nel mondo, o concretamente impedisce un’ingiustizia”. “Perciò dal punto di vista della responsabilità vale il principio devi resistere con violenza al male, altrimenti sei responsabile del suo prevalere”.
Il vero politico, diceva Weber, non può non essere sensibile alle ragioni dell’etica della responsabilità; anzi il grande politico è colui che riesce paradossalmente, forse, a riunire in sé ciò che fin qui era apparso antitetico. Etica della responsabilità per le conseguenze ed etica della convinzione, nel senso di fedeltà ai suoi principi. Il politico responsabile deve sapere che entrando in una dimensione dove vigono il potere e la forza, non può fare a meno di entrare in contatto con le potenze demoniache, con il male, con ciò che mette in pericolo la salvezza dell’anima, ma al tempo stesso sa che questo non è semplicemente un cedere al male, ma al contrario è proprio quello che la sua etica della responsabilità gli impone. “L’etica della convinzione e quella della responsabilità non sono assolutamente atteggiamenti antitetici, ma complementari, che soltanto quando sono congiunti formano l’uomo vero, quello che può avere la vocazione alla politica.”
Ed in questo caso essere all’altezza di una sfida non facile. Come quella di diventare sindaco di Taranto. In bocca al lupo Ezio. Con tutti gli avvoltoi che ci sono in giro, ne avrai di bisogno!
[1] Cit. S. Colarizi, “ Dopoguerra e fascismo in Puglia” ,Tempi Nuovi, Laterza, Bari, 1991.
[2] Cit G.Salvemini, “Il Ministro della malavita ed altri scritti sull’Italia giolittiana”, Op. IV, vol. I MILANO, 1962
Lei cita Weber:“L’etica della convinzione e quella della responsabilità non sono assolutamente atteggiamenti antitetici, ma complementari, che soltanto quando sono congiunti formano l’uomo vero, quello che può avere la vocazione alla politica.” E a questo proposito le chiedo come può, realisticamente, ritenere che il dottor Stefano possa essere in grado, oggi, di coniugare l’etica della convinzione con quella della responsabilità, se non ne è stato capace nei trascorsi 5 anni di governo cittadino? Personalmente non mai creduto nei miracoli
caro gaetano,le tue riflessioni non solo sono condivisibili ma hanno bisogno di essere discusse in maniera più articolata e riflessiva che,ovviamente,FB non può offrire.Ti propongo,a nome della associazione Sinistra per l’Alternativa,di organizzare un dibattito pubblico sull’argomento.Fammi sapere.