Facebook: storia di ordinaria speculazione

di Salvatore Romeo (’85)

Probabilmente qualcuno di voi non terminerà la lettura di quest’articolo: un velo ce sguardo, un’occhiata qua e là e subito la vista andrà a rincorrere qualche altra succosa notizia utile a riempiere il paniere della personale conoscenza quotidiana. Qualcun altro, forse, leggerà fino all’ultimo punto ciò di cui mi accingo a descrivervi. Giunto alla fine cliccherà sul tasto “mi piace” collocato sulla sinistra e, se questo articolo lo avrà particolarmente colpito, lo condividerà con tutti, postandolo sulla propria bacheca. In queste semplici e ripetitive azioni risiede il guadagno di “Facebook.

Ormai è chiaro a tutti che l’intenzione di Mark Zuckerberg, attraverso il suo social network, non è quella di rivoluzionare la conoscenza o la modalità di comunicare nel Mondo: è una più banale ma più redditizia “questione di soldi”. E il giovane Mark non avrebbe nulla di cui lamentarsi, per ciò che concerne lo stipendio: nel 2011 infatti Zuckerberg ha guadagnato 1,49 milioni di dollari (circa centoventicinque,00 mila dollari al mese). Una cifra che avrebbe accontentato quasi tutti. Quasi, appunto. Ed invece, dopo un annuncio che ha creato fermento ed eccitazione nel mondo della finanza, il 18 maggio sono state collocate 421 milioni di azioni facebook ad un prezzo base di 38 dollari. Ovviamente Mark Zuckerberg da fondatore, CEO e maggior azionista del “social network in blu” (con il 24% delle azioni), ha ricevuto la fetta più grande della torta. Facendo un rapido calcolo, il 24% di 104 miliardi di dollari (valore della capitalizzazione iniziale) porta nelle tasche di Mark circa 25 miliardi di dollari. Non male per un “self made man” di soli 28 anni.

Come tutti avranno capito dalla cronaca degli avvenimenti borsistici dell’ultima settimana, qualcosa è andato storto. In soli sette giorni Facebook ha perso circa il 15% del suo valore iniziale (oggi si attesta a circa 31 dollari) e circa il 30 % rispetto al suo massimo valore (45$ registrato all’inizio delle contrattazioni). In termini assoluti, dalla quotazione ad oggi, la borsa ha “mangiato” a Facebook circa 20 mld. di dollari . Non propriamente un affare per Zuckerberg. A suo vantaggio e per precisione di informazione, il “povero Mark” si era detto contrario alla quotazione d Facebook; nulla però ha potuto contro il “clima ottimistico” dei mercati e degli analisti (che prevedevano un trend più che positivo per l’andamento delle azioni) e soprattutto contro la legge americana che obbliga le società con più di 500 azionisti a rendere pubbliche le proprie informazioni finanziarie. A ciò va aggiunta la pressione che gli investitori “di prima data”, come il musicista “filantropo” Bonovox degli U2, che anni fa investì in facebook 92 milioni di euro ed ora si ritrova in portafoglio ricavi per oltre un miliardo di dollari. Rimane da interrogarsi su quanta parte di questa plusvalenza dedicherà alle sue attività umanitarie. Hewson (vero cognome di Bonovox) in realtà ha ridimensionato la notizia, dichiarando che, a causa del tonfo in borsa, i suoi guadagni in azioni facebook non superano i 900 milioni di dollari; in seguito a questi mancati introiti chissà se anche lui dovrà attendere i saldi per rimpinguare il già “modesto” guardaroba.

Quello che volge al termine sembrerebbe un racconto senza il lieto fine. Ciò non è del tutto vero perché, indagando bene, emerge l’”happy ending”. Anche se può risultare strano (ciò non vale per i più smaliziati di finanza), con un titolo che fa il “tonfo” in borsa c’è qualcuno che ci guadagna. In questo caso la parte del “Gastone” della vicenda la fa la più grossa banca degli Stati Uniti, nonché il  maggior collocatore di azioni facebook sul mercato: Morgan Stanley. Giusto per rinfrescare le idee ricordiamo che M.S. “dal 2008 è stata uno dei maggiori ideatori e creatori di credit default sawps (cds) che hanno per mesi occupato le prime pagine di tutti i giornali soprattutto in relazione alla crisi dei debiti sovrani europei. Da anni è stata molto esposta a perdite sui cds. E’ sempre stata in prima fila anche nelle speculazioni sulle commodity, come il carbone e l’argento. Negli anni ottanta rischiò l’insolvenza e fu salvata con i fondi dello stato. La stessa cosa si ripeté nel 2009 quando ottenne 25 miliardi di dollari dal fondo di salvataggio pubblico TARP. Lo stesso anno, però, distribuì 8,69 miliardi di dollari in bonus ai propri manager.In questo periodo, prima di andare essa stessa in crisi, essa stranamente acquistò la quinta banca d’affari americana, la Bear Stearns, in fallimento. Si ricordi che le azioni di quest’ultima, che prima valevano sulla borsa di Wall Street 55 dollari, furono acquistate a 2. Non frattempo però la Fed si era accollata 30 miliardi di dollari in titoli inesigibili della Bear Stearns.” [1]  Da ciò che emerge, Morgan Stanley non ha  propriamente la fama di una banca “etica”.

Dunque quale miglior occasione se non speculare sulle azioni Facebook? Ma come funziona la speculazione sulle azioni del più importante social network del Mondo? E’ presto detto. Morgan Stanley ed altre banche “ più piccole”, oltre ad aver collocato i già citati 421 milioni di azioni facebook ad un prezzo di 38$, hanno venduto, al medesimo prezzo, ulteriori 63 milioni di azioni “allo scoperto”, ovvero senza possederle. L’obiettivo, nelle intensioni dei trader, era quello di riacquistare le azioni ad un prezzo nettamente inferiore. Ed è quello che è accaduto.  Mentre la quotazione di Facebook crollava, gli istituti hanno acquistato i titoli che avevano promesso e già venduto agli investitori a un prezzo decisamente maggiore, speculando sulla differenza. Il guadagno delle banche è stato stimato in circa 450 milioni di dollari, in aggiunta ai 170 milioni di commissioni dell’Ipo. Insomma per dirla in puro stile “yenkee”… “a great job”.

Ma come facevano a saper i trader che il titolo sarebbe crollato? Questa risposta non siamo in grado di fornirla. Almeno fino a quando le indagini in corso non sveleranno la verità. Ma a rimetterci chi è stato? La risposta può sembrare banale e scontata: oltre a facebook a rimetterci in un modo o nell’altro siamo tutti noi: piccoli investitori ma soprattutto banche e  fondi pensionistici alla ricerca del guadagno facile con i nostri risparmi. Come al solito, alla fine del racconto i “potenti” della finanza ne escono arricchiti e “felici e contenti”. A noi non rimane che cliccare “mi piace”.

[1] http://www.pensalibero.it/2012/05/jp-morgan-suona-ancora-la-campana-della-crisi-globale/

1 comment

  1. Anonimo Giugno 2, 2012 10:57 pm 

    non lo clicco “mi piace” per contribuire al crollo del titolo: non ho molta stima del famoso “piccolo risparmiatore” che iveste rischiando(sapendo benissimo di rischiare) e viene regolarmente gabbato. ma come si fa,mi chiedo, a illudersi di fregare quelli che hanno ideato l’imbroglio? luca occhionero

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