di Roberto Polidori
Da poche settimane Donato Stefanelli, Segretario Regionale della FIOM Cgil, è anche il nuovo Segretario Provinciale di Taranto in sostituzione di Rosario Rappa. Il passaggio di consegne è l’occasione per scambiare qualche impressione con il nuovo segretario sulla situazione della “città dell’acciaio” in un contesto economico internazionale non certo favorevole.
Taranto è la città dell’acciaio e della grande industria primaria ma è anche la città in cui si parla molto d’inquinamento; il tutto in un frangente economico disastroso. Sei consapevole di avere tra le mani una brutta gatta da pelare, vero?
Ne sono consapevole ed affronto questo nuovo percorso sindacale con fiducia e tranquillità. Onestamente mi cimento con realtà nuove perché l’industria pugliese al di fuori di Taranto è tutt’altra cosa: qui c’è il centro siderurgico più grande d’Europa con problematiche diverse. Innanzitutto sto girando la città e sto cercando di capire che valutazione danno i tarantini del proprio contesto sociale, aiutandomi con la lettura della fitta stampa locale. La prima cosa che mi ha impressionato è la quantità di quotidiani: Bari è capoluogo di Regione e la sua stampa locale si limita alla Gazzetta del Mezzogiorno e al Corriere del Mezzogiorno (i cui inserti locali scrivono molto più su Taranto che su Bari); a Taranto ci sono invece numerosissime testate locali [Rosario Rappa ha fatto la stessa considerazione con riferimento a Palermo, ndr] e sto cercando di capire perché. Leggendo questi giornali mi sono reso conto che si parla solo di ILVA, come se accanto all’ILVA non ci fosse altro e non è così. Certo la storia industriale di Taranto è la storia dell’Italsider. Per noi giovani metalmeccanici Taranto era l’Italsider e il sindacato di Taranto era FLM. Ma oggi non è più così: dopo le privatizzazioni, le dismissioni e le cicliche crisi dell’acciaio, oggi a Taranto ci sono altre industrie di spicco su cui la stampa non focalizza adeguatamente l’attenzione. Pochi giorni fa ho visitato per la prima volta Alenia a Grottaglie e sono rimasto stupito: c’è qualcuno che parla di implementazione di indotto attorno a questo sito tecnologicamente all’avanguardia? Ancora: la Vestas di Taranto è ora tristemente nota: sta delocalizzando parzialmente all’estero perché il costo del lavoro in Spagna è più basso e perché gli incentivi del governo alla produzione di energia eolica sono stati ridotti; la Puglia è la prima regione per produzione di energia eolica e solare in Italia e la seconda o terza per produzione di energia da biomasse ed io mi chiedo: al di là delle recenti vicende com’è possibile non essere stati in grado di far nascere un indotto manifatturiero attorno a Vestas? Da una prima analisi della situazione a me sembra che la contrapposizione tra lavoro, ambiente e salute stia facendo passare in secondo ordine problemi di politica industriale che devono essere affrontati subito per garantire diversificazione in settori tecnologicamente avanzati.
Bisogna prendere atto del fatto che l’identificazione tra siderurgia e città non esiste più o, almeno, c’è tanta gente che considera una condanna la presenza di grandi industrie inquinanti sul territorio. Ciò, soprattutto, alla luce dei dati scientifici che hanno stabilito l’importanza del fenomeno “inquinamento” sul territorio di Taranto. Qual è la situazione occupazionale in Puglia?
Gli addetti del settore metalmeccanico in Puglia (grandi, medie, piccole imprese e artigianato) sono circa 70.000; nel corso della crisi abbiamo perso circa 7-8.000 addetti; nel barese c’erano 26.000 addetti e nelle altre provincie esclusa quella di Taranto ce ne sono circa 10.000. Il resto degli addetti lavora in Provincia di Taranto. Sono appena arrivato qui: ho guardato le mappe di Taranto e mi ha fatto impressione l’estensione dell’impianto siderurgico. I processi siderurgici, per essere economicamente convenienti, necessitano di dimensioni grandi; anche Piombino e BFM (nel barese) hanno dimensioni impressionanti.
E tu non pensi che si possa produrre altro? Mi spiego meglio: la sfida ambientalista è stata lanciata e a Taranto si parla apertamente di chiusura dell’area a caldo con riconversione dei 900 addetti che vi lavorano. Provando a spogliarti dalle vesti del sindacalista, cosa senti di dire alle persone che, stando ai carteggi pubblicati dai periti e portati in un’aula del Tribunale, evidenziano la morte di due persone al mese per inquinamento nella città? Non bisognerebbe anche tutelare la sicurezza dei lavoratori?
Sindacalista o no, sono una persona che tiene alla salute; non voglio sminuire gli aspetti legati alla salute dei cittadini, delle mamme e dei lavoratori, ma ritengo profondamente sbagliata la contrapposizione tra lavoro e salute. Posso dirti che, in proposito, va imboccata la strada più difficile, quella del confronto aperto con il datore di lavoro. E’ per questo che abbiamo deciso di promuovere una grande iniziativa internazionale a Taranto [un primo comunicato in merito è stato diramato in data 02/05/2012 alla presenza di Landini in occasione del passaggio di consegne da Rappa a Romanelli ed una conferenza stampa sull’argomento è prevista per 29 Maggio presso la sede CGIL di Taranto]; inviteremo in città grandi esperti del settore per parlare delle modalità di produzione nei paesi più evoluti: presenteremo proposte. Ricordo che la Ruhr in Germania ospita 110.000 addetti nel settore siderurgico (indotto incluso) e che gli impianti di Duisburg sono famosi per il loro impatto ambientale minimo. Negli anni passati la Ruhr ha bonificato e riconvertito parte degli impianti producendo acciaio pulito: solo la Thyssen lì produce più dell’ILVA. E ricordo che la Germania è il primo paese produttore di acciaio in Europa e l’Italia, seconda in classifica, è importatore netto di acciaio nonostante la presenza di ILVA. Sono d’accordo con la proposta di bonifiche a carico dell’ILVA e non solo; se non riusciamo a tenere insieme salute e lavoro temo che quella città, come già successo in altre parti d’ Italia [Bagnoli e Porto Marghera, ndr] possa essere condannata alla beffa dopo aver subito il danno. E non possiamo permettercelo. Secondo me un vasto programma di bonifiche va fatto oggi con l’ILVA attiva; non esiste un discorso di chiusura parziale: per la tipologia di prodotto fabbricato qui chiudere l’area a caldo significherebbe chiudere lo stabilimento. La gente si ammala, muore di cancro: allora entriamo nel merito delle questioni e vediamo perché gli altri all’estero hanno fatto meglio di noi. Ho preso atto con grande disappunto della contrapposizione che si è prodotta tra lavoratore e cittadino e vorrei ricordare che il lavoratore paga due volte il prezzo del lavoro sporco. Bagnoli dimostra che, una volta chiusi gli impianti, bonifiche non se ne fanno; noi siamo convinti (e possiamo dimostrarlo) che se le bonifiche devono essere fatte, conviene cominciarle ora.
E secondo te quale sarebbe l’atteggiamento dell’ ILVA in merito?
Alla luce dell’atteggiamento assunto sull’AIA è facile capire che l’ILVA non aiuterà, perché ha atteggiamenti di difesa dello status quo. Negli ultimi anni è stata comunque promulgata la legge sulla diossina, ricordiamolo.
Devo dirti, per amore di verità, che l’ambientalismo tarantino ha fortemente contestato questa legge poiché pare che il campionamento continuo sia applicabile ma in ILVA non è previsto. Sono previsti tre rilevamenti annuali a sorpresa e le rilevazioni forniscono un dato medio che deve rientrare nei parametri previsti. Qualcuno mi ha spiegato che, dal momento in cui i tecnici ARPA si presentano ai cancelli a quello in cui comincia il rilevamento con i filtri, passa parecchio tempo…
Potrei risponderti che qualche anno fa queste rilevazioni non venivano proprio fatte e c’è qualcuno che, nel merito, asserisce l’impossibilità di applicazione di filtri per la rilevazione continua sugli impianti. In ogni caso vedremo se esistono le modalità per farlo, esiste certamente un problema di monitoraggio, stessa cosa per il benzo(a)pirene. In ogni caso svilupperemo questi argomenti nell’iniziativa di cui ho accennato. Riteniamo che la CGIL e la Fiom abbiamo titolo per occuparsi di queste problematiche.
Tu sei anche Segretario della Fiom Regionale. Sai che qui a Taranto molte persone dicono che le scelte di politica economica migliori vengono indirizzate a Bari mentre da noi arrivano solo progetti prospetticamente meno appetibili? Le persone sono convinte che qualcuno a Bari ed in Italia ha deciso che Taranto, la pattumiera d’ Italia, può continuare ad ospitare altre attività a forte impatto ambientale. Un’altra critica feroce riguarda la famosa retro-portualità: la presenza di ILVA non permetterebbe lo sviluppo di attività commerciali connesse alle potenzialità del porto costruendo. Tutto a vantaggio del Porto che di Bari. Tu sei di casa a Bari: che ne pensi?
Sono luoghi comuni che non condivido. Bari è sempre stata una città commerciale e con un tessuto industriale fatto di numerose aziende con dimensioni molto più piccole. Posso solo dirti che, dopo i primi giorni di lavoro a Taranto, credo che la città debba uscire dalla mentalità di “Fort Apache” anche in questa contrapposizione. E’ chiaro che la decisione di localizzare enormi impianti di produzioni primarie a ridosso della città ha influenzato anche le scelte di politica economica successive ma, che io sappia, mi sembra che proprio recentemente siano stati stanziati 400 milioni di Euro per il porto.
Cosa pensi della Confederazione, cioè della CGIL?
Parto da una premessa: i grandi sindacati in ogni parte del globo attraversano una fase di grande crisi a causa della globalizzazione dei mercati con un profondo attacco ai diritti dei lavoratori. Nell’ambito del lavoro precario (quello in cui l’età anagrafica è più bassa), la presenza del sindacato è molto più rarefatta per cui, secondo me, o riusciamo a mettere insieme vecchio proletariato con il nuovo o il grande rischio che corriamo è quello di non poter rappresentare il futuro.
E secondo te la scelta della CGIL di cedere sull’Art. 18 è stata una scelta saggia o controproducente?
Secondo me la partita è ancora aperta ed io non faccio separazioni tra FIOM e CGIL in ciò. Certo, la FIOM è la parte più combattiva della CGIL perché è la componente novecentesca della confederazione; e ciò per ragioni oggettive, non certo per nostalgia: riteniamo che la nostra pratica sindacale ci ha portato nel nuovo millennio e, se dovessimo mollare, rischieremmo di tornare nell’ottocento, non nel novecento. Il sindacato di servizi deve trasformare la domanda di tutela individuale in tutela collettiva: se questo non accadrà non ci sarà futuro per nessuno.
Che idea ti sei fatto del risultato elettorale a Taranto?
La vittoria di Stefano è anche un messaggio indiretto degli elettori a favore della presenza di ILVA sul territorio: il lavoro non si deve perdere, ma deve essere coniugato con la tutela di salute ed ambiente.
Non credi che iscritti FIOM siano un po’ pochi rispetto agli iscritti UILM in Provincia?
E’ un dato che va indagato ma che è già cominciato a migliorare grazie al lavoro di Rosario Rappa, che ringrazio e al quale i metalmeccanici tarantini devono tanto. Sulla base dell’impostazione che abbiamo deciso di darci, credo che la FIOM potrà assumere un ruolo da protagonista proprio in ILVA.
Cosa farai nel prossimo futuro ?
Batterò il territorio tarantino azienda per azienda per verificare le condizioni di lavoro dei lavoratori, non solo degli iscritti.
Stefanelli,dice bene quando dice che manca una “politica industriale”, quando dice che “devono essere affrontati subito per garantire diversificazione in settori tecnologicamente avanzati”…ma omette che siano SOSTENIBILI!!! A Rhur gli impianti sono nuovi di zecca e non adiacenti alla città!! Riva che fa? abbatte e ricostruisce? o vogliamo prenderci in giro con rappezzi?