di Salvatore Romeo (’85)
In Italia, ahimè, il vento freddo che giunge dal Nord Europa ha spento tutti gli ardori che da sempre contraddistinguono il nostro carattere “mediterraneo”. Troppo remoti, ormai, i tempi dei moti sessantottini. Nulla scalfisce la nostra indifferenza: né soprusi, torti, crisi, disoccupazioni, scandali di palazzo e di “corte”. Neanche più il calcio accende in noi la calda fiamma dell’ira: lo scandalo scommesse che investe il mondo del pallone a più riprese, i fallimenti di squadre e padroni di squadre (come la cronaca tarantina magistralmente ci insegna), sembrano scivolare addosso anche a chi fa della “palla a pentagoni” una ragione di vita. Troppo facile sarebbe soffermarsi sulle “ulcere” che la politica italiana sta gentilmente donando alla nazione: rimpiango il fitto lancio di monetine a Craxi nel 1993.
Ma, parafrasando Gaber, per fortuna o purtroppo a migliaia di chilometri dall’Italia qualcosa si muove. E’ da circa quattro mesi (dalla data ufficiale del tredici febbraio scorso) che studenti di ogni età e professori (almeno nelle prime fasi) insieme sfilano per le strade di Montreal, bloccando la ricca cittadina canadese, che così riscopre una protesta in seno ad un periodo di calma (apparente). Il Québec infatti, è una delle regioni più ricche del Canada, vera “sorpresa”, in termini economici, degli ultimi anni. Lo stato dei “grandi laghi” è stato recentemente definito (secondo l’ultimo International Business Report di Grant Thornton) come il Paese più “ottimista” tra tutte le economie “occidentali”. Allora perché si protesta?
“La primavera degli aceri”. Studenti in piazza da ormai centoventi giorni. Scene di violenza che hanno sconvolto il cuore finanziario canadese. Lanci di molotov, lacrimogeni, pietre ed urla. No, non siamo ad Atene, Madrid o Roma. Montreal è una città ricca, industrializzata ed elegante. E quando l’articolo sarà pubblicato avrà ospitato uno dei gran premi di formula uno più a rischio di sempre, figlio del dio profitto “senza se e senza ma”. Ma cosa ha spinto i “figli” dell’ottimismo canadese (capitanati da Gabriel Nadeau-Dubois ) a scendere in piazza?
“Tagli al walfare ed aumento delle tasse universitarie”. 80% in più in cinque anni. No, non è il numero di posti di lavoro promesso dal governo Monti in cambio di una riconferma elettorale. E’ l’aumento percentuale con cui il governo del Québec ha deciso di “ritoccare” al rialzo i costi per le tasse universitarie dell’Università pubblica canadese. In termini assoluti si passerà dai circa dai circa 1700 euro (medi) attuali a più di 3000 euro nell’arco di cinque anni. Queste misure si aggiungono ai tagli della spesa pubblica già previsti dal governo liberista canadese. Questi due interventi di politica restrittiva hanno “stranamente” provocato la reazione degli studenti québécois, che sono immediatamente scesi in strada compatti, con toni e spirito di civile protesta. La reazione del governo è stata, come accade in molti casi, di quasi totale menefreghismo: i moti di protesta sono stati archiviati come “semplici pruriti giovanili”. Il governo federale del Québec si è dovuto ricredere nella giornata del 22 marzo, in cui circa 400 mila studenti hanno bloccato il porto di Montreal, rendendo impossibile ogni tipo di attracco o partenza. Il messaggio era indubbiamente arrivato.
“L’uso del pugno duro: la legge speciale 78”. Con 68 voti a favore e 48 contrari, dopo 20 ore di discussione, il 18 maggio è stata ratificata la legge speciale 78, e speciale per gli studenti canadesi lo è davvero. In primis viene vietato il diritto di riunirsi in un raggio di 50 metri da scuole ed università; viene inoltre vietato il diritto di manifestazione senza preavviso; pertanto chi voglia organizzare una manifestazione con più di 50 persone, deve comunicare almeno 8 ore prima ed in forma scritta alla polizia:
- la data, ora, durata, posizione e, se del caso, il percorso della manifestazione;
- i mezzi di trasporto utilizzati per questo scopo.
La polizia ha inoltre la facoltà di cambiare l’itinerario o proibire la manifestazione stessa, quando questa risulti pericolosa a loro insindacabile giudizio. Le pene inflitte ai trasgressori sono dure ma per lo più monetarie. Queste azioni invece di bloccare le manifestazioni studentesche hanno dato l’incipit per “la fase due” della protesta. Oltre la sospensione totale delle lezioni, la più grande associazione studentesca del Québec, la CLASS, ha lanciato a fine maggio una campagna di disobbedienza civile, annunciando proteste a oltranza per tutto il periodo estivo. E le dimissioni del ministro dell’istruzione, Line Beauchamp, non hanno sortito gli effetti sperati.
“Gli effetti dell’aumento delle tasse universitarie”. Potrebbero essere devastanti. Oltre al pericolo di un calo delle iscrizioni ai corsi universitari a partire dall’anno universitario 2013-2014, gli economisti temono un effetto latente ma devastante: un aumento delle tasse, infatti, provocherebbero una richiesta di prestiti bancari sempre maggiore, con un innalzamento dell’indebitamento delle famiglie canadesi, che in tempi brevi potrebbe condurre ad una preoccupante bolla finanziaria. Un’eventualità da scongiurare, per una nazione che ha già risentito della bolla dei mutui “subprime” del 2008.
“Lezione agli stati Europei”. I giovani Québécois tengono dunque sotto scacco il governo liberista del Québec. Per di più impongono le loro condizioni. Il governo, appurato che il pugno duro non ha sortito effetti, ha deciso di “ascoltare” le ragioni dei manifestanti, che pongono condizioni. Anche se la protesta è ancora in corso e non si può prevedere una sue fine, questa ci insegna che lottando ci si può riappropriare dei propri diritti. Una grande lezione alle popolazioni europee messe in ginocchio dalle politiche economico-sociali dei governi liberisti.
Allons enfants!