di Pinuccio Stea
Non si può sfuggire alla forza evocativa dei simboli, che spesso racchiudono in sé discorsi e programmi, similitudini ed analogie.
La fontana di Piazza Ebalia è sicuramente uno dei simboli delle vicende politiche di questi ultimi decenni a Taranto.
Alla fine degli anni ’80 del secolo scorso Taranto, attraversata da una crisi di prospettiva del suo sviluppo e da conseguenti violenti contrasti tra le forze politiche ed interni alle stesse, decise di affidare le sue sorti, come già aveva fatto in altre fasi storiche (per esempio nel 1956, con l’elezione del democristiano Raffaele Leone, appoggiato anche dai voti decisivi dei neofascisti e dei monarchici), alla destra politica tarantina. Una destra estrema, violenta nel linguaggio e rozza nei comportamenti, cui appaltare lo smantellamento del sistema politico precedente e la costruzione di nuovi equilibri. Giancarlo Cito era l’espressione di quella destra, che aveva in AT6 il suo braccio operativo ed elettorale. Una destra che esplicitamente si muoveva in un’ottica “civica”, esaltante una tarantinità orgogliosa di sé stessa e contrapposta ad altre realtà (Bari, Lecce, Roma) soffocatrici delle aspirazioni della città bimare.
Un consenso straordinario quello di cui potè godere Giancarlo Cito: l’inaugurazione della Fontana di Piazza Ebalia fu uno dei momenti più significativi, con una folla entusiasta e legata al suo leader.
Le vicende successive portarono poi ad un’operazione politica con la quale le classi dirigenti tarantine sostituirono il ruspante Giancarlo, che per molti aspetti “si era montato la testa”, con una nuova espressione della destra tarantina, più presentabile e dai modi più accettabili. Ma l’orizzonte entro il quale questa nuova espressione politica, racchiusa nella figura di Rossana Di Bello, si muoveva, non cambiava: l’asse rimaneva quello di un “civismo” chiuso nello spazio racchiuso da “Porta Napoli a Porta Lecce”.
La caduta rovinosa, su cu si è detto tanto e su cui in queste note non ritorno, dell’accoppiata Di Bello/Tucci è stata la sanzione del fallimento di una prospettiva illusoria: quella che, con un recupero di una dimensione tutta “civica”, si potesse ridefinire una sostanziosa identità cittadina.
Il grande consenso, nel 2007, ottenuto dalla coalizione che sosteneva la candidatura a Sindaco di Ezio Stefano e dallo stesso Stefàno, era l’espressione di un’ampia volontà di cambiamento rispetto al periodo “civico”. La richiesta insomma di imboccare una strada diversa: analogamente a quanto era successo nel 1946 (Sindaco Voccoli) e nel 1976 (Sindaco Cannata), quando le classi dirigenti tarantine, di fronte al fallimento delle forze politiche cui si erano affidate precedentemente, avevano contribuito ad esprimere una direzione di sinistra della cosa pubblica.
E quella dell’elezione di Stefàno aveva, nelle forme, tutte le caratteristiche di un’operazione politica di sinistra: Stefàno proposto in prima battuta da Rifondazione Comunista, appoggiato da SDS ( nata dall’alleanza tra la Sinistra dei DS e di pezzi della maggioranza dello stesso partito) e dai Comunisti Italiani, l’iscrizione dello stesso Stefàno a Rifondazione Comunista immediatamente dopo la vittoria elettorale.
Uscire dal dissesto era l’imperativo prioritario; ma al Sindaco e ai suoi più stretti collaboratori era chiara, nello stesso tempo, la “missione” che veniva loro affidata e cioè quella di uscire dalle secche di un asfittico e mortale, in quanto privo di prospettive, “civismo”?
Penso, alla luce dell’esperienza di questi quattro anni, che questa “missione” non sia stata colta in tutta la sua specificità; e se qualcuno, all’interno dei più stretti collaboratori del Sindaco, l’aveva colta è stato o inascoltato o “timido” nel farsi sentire.
Dare fiato a quella “missione” significava uscire in mare aperto, costruire nuovi collegamenti tra la città, l’Italia e l’Europa, chiamare, in maniera concreta e non propagandistica, all’impegno le migliori energie presenti in città ed anche, eventualmente, fuori.
Il non aver chiaro questo decisivo obiettivo ha portato, lentamente ma con grande chiarezza programmatica, a traghettare l’esperienza della giunta Stefàno in una dimensione “civica”. Una dimensione rivendicata esplicitamente, prima dallo stesso Stefàno e quindi da SDS che tale caratteristica ha ufficializzato nel battezzare il passaggio da Sinistra Democratica per Stefàno a Sviluppo Democrazia Solidarietà.
Simbolicamente quest’approdo è stato sancito dalla nuova inaugurazione della Fontana di Piazza Ebalia, in occasione delle manifestazioni per i 150 anni dell’Italia. Ma l’altra sera non c’erano le folle osannanti di cui aveva goduto Giancarlo Cito: questo non può essere sfuggito al Sindaco. Il vento ? La serata fredda ?
Alibi rassicuranti, ma fuorvianti: la stragrande maggioranza dei cittadini, compresi pezzi significativi delle classi dirigenti tarantine, non avevano chiesto a Stefàno ed alla coalizione che l’aveva portato alla vittoria, un “civismo” ripulito, ma una diversa stagione politica ed amministrativa, l’avvio della costruzione di una nuova, chiara identità della città.
L’inaugurazione della Fontana è stata, con grande chiarezza simbolica, il segno tangibile dell’approdo, a mio parere poco felice, dell’esperienza politico/amministrativa di questi quattro anni e della difficoltà permanente ad individuare e realizzare una progettualità per i prossimi decenni.
Perché guardare lontano è il compito fondamentale di classi dirigenti che vogliano essere degne di tale nome.