di Gaetano De Monte
L’università La Sapienza questa settimana si è resa protagonista di un dibattito politico che ha abbracciato varie tematiche, dall’acqua bene comune alle mobilitazioni pacifiste. Numerose sono state le assemblee, gli incontri e le discussioni, con la partecipazione anche di ospiti di eccezione, tra i quali Gino Strada. Ma questa settimana le aule della più grande università europea sono anche state protagoniste della nascita di UniCommon, un network di comunicazione multimediale e di organizzazione politica, un nuovo percorso che metta insieme differenti esperienze e rivendichi saperi critici e di qualità, oltre che un nuovo welfare per la vita e i suoi bisogni.
UniCommon nasce dunque in primis per connettere tra di loro le lotte del mondo della formazione, per produrre discorsi ed opinioni, dare forza e durata alle nostre rivendicazioni e allo stesso tempo condividere le pratiche di auto-formazione tra le macerie dell’università riformata dalla premiata ditta di dismissione “Tremonti- Gelmini”.
Sono proprio le nuove forme di sfruttamento e gli attacchi ai diritti e alle conquiste sociali, attacchi che giorno dopo giorno cambiano di nome e di volto – si chiamino Sacconi, Gelmini, o Marchionne – e che mostrano la volontà di imporre un nuovo modello di vita che fa della precarietà un paradigma sociale ed esistenziale, che riconfermano il ruolo centrale dell’auto-formazione come pratica di organizzazione, in grado di aprire spazi di conflitto e organizzazione dentro e contro l’università-azienda. Da diversi anni ormai in tutti gli atenei italiani si costruiscono dei momenti importanti di autorganizzazione e di riappropriazione del sapere. Gli obiettivi dell’autoformazione sono molteplici: attraversare campi del sapere inediti, tentare un rovesciamento della didattica ufficiale, rompere con gli steccati disciplinari e riprendersi il tempo strettamente misurato dal sistema formativo attuale attraverso i crediti. Ed è proprio a partire dalla pratica dell’autoformazione che nasce la volontà di rilanciare una nuova sfida: quella di riuscire a connettere immediatamente il sapere che nasce nelle lotte e la costruzione di eccellenze, riuscire a coniugare cioè la battaglia per l’autonomia e la capacità di inventarsi e reinventarsi. Non si tratta quindi solo di mettere i saperi al servizio delle lotte, in un puro rapporto strumentale, ma la sfida che il network riunito attorno ad UniCommon si pone è molto più ambiziosa: nasce per dare voce ad un’intera generazione altamente scolarizzata, che da Londra, a Roma, da Vienna a Tunisi, è cresciuta nella nuova povertà, condizione che ci parla di assenza di diritti e di precarietà, che significa impossibilità di immaginare un futuro nonostante un’alta istruzione e qualificazione.
UniCommon nasce a partire dalla pratica e dall’immaginario transnazionale del Book-bloc, perché dietro i libri-scudo ci sono stati e ci saranno migliaia di corpi, i corpi di una generazione in rivolta che rivendica accesso al sapere, reddito, welfare, libertà, felicità, di contro alle politiche di austerity che colpiscono i giovani, la generazione dei no-future, in tutta Europa.
I book-bloc hanno un valore simbolico. Servono a ricordare che ormai la cultura ridotta in miseria e umiliata va protetta. Ma hanno anche valore concreto, rappresentano la rabbia degli studenti, costretti a usare la cultura per difendersi dalle manganellate e contemporaneamente fare irruzione nei palazzi della politica. Un libro, invece, può servire come arma di difesa. Per proteggere la propria incolumità, ma anche per tutelare il diritto all’istruzione, all’università libera, al lavoro. E non solo.
Gli stessi movimenti, in questi mesi, hanno posto al centro della loro agenda la difesa del welfare contro le politiche di austerity. Non si è mai trattato di mera difesa dell’esistente. È chiaro, infatti, che a partire dalla difesa del pubblico è possibile costruire nuove istituzioni comuni, autonome libere e creative nello stesso tempo. Una riappropriazione democratica del welfare, contro il saccheggio perpetrato dai privati, contro la corruzione delle baronie e dei poteri feudali. Un nuovo patto sociale costituente che sia adeguato alle condizioni soggettive che innervano la nuova composizione del lavoro.
Dai movimenti autunnali, europei e nord-africani, abbiamo imparato come la pretesa di reddito contro la precarietà, la domanda di libertà e di democrazia contro il potere e la sua corruzione, siano vettori di trasformazioni radicali, dentro e contro la crisi del capitalismo globale e finanziario. UniCommon vuole interrogare fino in fondo l’esigenza di trasformare il tumulto in programma politico, l’insorgenza in alternativa. Come combinare insomma virtuosamente radicalità e vocazione maggioritaria?
E cosi, da Londra, a Roma, a Parigi, dietro quei libri scudo c’era un’intera generazione; con la voglia di trasformare il presente ed immaginare un futuro, a partire dalla messa a valore dei propri corpi.