di Salvatore Romeo (’84)
Nonostante i capricci della connessione internet – che ha complicato l’ascolto del dott. Enzo Favoino e del dott. Raphael Rossi, intervenuti in conferenza skype – il convegno “Rifiuti Zero, riciclo totale a Taranto” è stato uno degli eventi più interessanti tenutisi nella nostra città negli ultimi mesi. Non solo per lo spessore dei relatori – oltre alle due personalità già citate (Favoino è tecnico ricercatore della Scuola agraria di Monza, mentre Rossi è tecnico dell’Ente di di Studio per la Pianificazione Ecosostenibile dei Rifiuti [ESPER]) è intervenuto Alessio Ciacci, assessore all’ambiente del Comune di Capannori (LU) –, ma anche per l’innovatività e l’ampiezza dei contenuti, decisamente superiori alla media che caratterizza il dibattito locale. L’impressione che se ne può trarre è che nel paese circoli forse non una ventata, ma senz’altro uno spiffero di aria nuova che sul problema della “monnezza” cerca di costruire una proposta tecnico-economica dagli interessantissimi esiti politici. Proprio questa combinazione fra sapere scientifico d’avanguardia, applicazione tecnica innovativa e nuove frontiere della democrazia politica sembra essere il dato di fondo della strategia “rifiuti zero”. Naturalmente la nostra città sarebbe isolata da questo fermento… se non fosse per una parte della cittadinanza attiva, fra cui la rete “Cittadini in mobilitazione di Taranto e provincia”, che ha organizzato l’evento.
Ma veniamo ai contenuti. Non voglio proporre una fredda cronaca dell’iniziativa, ma piuttosto mettere in evidenza quelli che mi sono sembrati i temi più rilevanti emersi dal convegno. Per questo esaminerò solo alla fine l’intervento di Ciacci – che ha parlato per primo –: il suo discorso è stato infatti il più “politico” – com’era naturale che fosse – e i suoi argomenti meritano perciò di essere considerati come punti di riferimento per l’azione delle istituzioni locali.
Una delle questioni fondamentali affrontate in particolare dal dott. Favoino è stata quella del costo della differenziata. Quante volte ci siamo sentiti ripetere che quel sistema è difficile da adottare perché i costi sono troppo elevati? Bene: un argomento del genere non è sostenuto solo dall’“uomo della strada” o da esponenti politici cronicamente afflitti da pigrizia intellettuale, ma dalla stessa Federambiente (l’associazione sindacale delle imprese e dei consorzi specializzati nella gestione di servizi di igiene pubblica e risanamento ambientale). Favoino smentisce questa posizione con una precisazione che qualsiasi studente al primo anno di economia troverebbe persino banale – ma che evidentemente è troppo complicata per i portatori d’interesse –: occorre distinguere fra costi d’investimento e costi di esercizio. Gli oneri correlati all’investimento non possono essere caricati integralmente sul primo esercizio, come sa anche il più sciatto dei contabili; piuttosto essi saranno ammortizzati nel corso di x esercizi, a seconda dei risultati economici che si conseguiranno in queste annate. Diventa pertanto decisivo tenere conto del risparmio che la raccolta differenziata consente di realizzare sul fronte dei costi di esercizio. Prima di esaminare questo elemento è però importante sottolineare che sul fronte della differenziata si riescono ad ottenere risultati ottimali solo con il sistema del “porta a porta”. A questo proposito è estremamente significativa la comparazione proposta da Favoino fra i casi di Brescia e Monza, realtà assimilabili sul piano demografico e sociale. A Brescia la differenziata è stata realizzata con impiego di cassonetti di ampio volume; a Monza si è invece ricorsi direttamente al “porta a porta”. Se nel primo caso la differenziata ha raggiunto il 29% del volume complessivo dei rifiuti, nel secondo si è arrivati al 51%. Sul piano dei costi, la spesa di raccolta a Brescia si è attestata attorno alle 90 mila Lire/persona all’anno (stiamo parlando di stime relative alla fine degli anni ’90), mentre nel capoluogo brianzolo è stata di 80 mila Lire/persona all’anno.
Veniamo quindi all’analisi dei costi. Su questo piano occorre distinguere due diverse tipologie: i costi relativi alla raccolta e quelli riguardanti trattamento e smaltimento. Con una differenziata uguale o inferiore al 70%, si rileva che i costi di raccolta non aumentano rispetto a sistemi basati sull’indifferenziata. Quando si supera la soglia del 70%, inizia una graduale ascesa. Essa è dovuta al fatto che fino a quel livello è possibile praticare la raccolta con metodi relativamente semplici; se si vogliono conseguire risultati migliori occorre adottare forme più estese e capillari. Tuttavia, guardando ai costi di trattamento e smaltimento e possibile notare che questi sono inversamente proporzionali alla percentuale di differenziata conseguita. Così, superando il margine del 70% si ottengono risparmi più che proporzionali rispetto all’incremento della spesa. In definitiva, il costo complessivo (somma della raccolta e dello smaltimento) diminuisce all’aumentare della percentuale di differenziata. Le virtuosità si realizzano dunque soprattutto a valle del processo, sul versante del trattamento.
Ora, i risparmi ottenuti nel corso dei diversi esercizi consentono di ammortizzare in tempi ragionevoli gli investimenti sostenuti per avviare il nuovo sistema.
Vi è un altro vantaggio economico legato al “porta a porta” che merita di essere attentamente considerato: il costo che l’azienda avrebbe dovuto sostenere per l’installazione di un inceneritore o per il conferimento in discarica dei rifiuti viene trasferito nella remunerazione della manodopera, dal momento che quel tipo di raccolta richiede un impiego relativamente ampio del fattore lavoro. Anche gli esiti sul piano occupazionale sono quindi positivi.
Ma vi sono anche importanti implicazioni “psicologiche” e sociali nell’adozione della raccolta porta a porta. A segnalarle è Raphael Rossi, noto al grande pubblico soprattutto dopo che Report ha raccontato la sua personale esperienza di consigliere d’amministrazione dell’AMIAT (l’azienda di nettezza urbana del Comune di Torino): uno straordinario caso di trasparenza e di dedizione al servizio. Rossi pone l’accento sul fatto che il rifiuto non debba essere nascosto nei cassonetti o in discarica, perché ciò induce deresponsabilizzazione. Il cittadino può in quel caso approfittare dell’anonimato per assumere comportamenti che rischiano di mandare all’aria l’opera di differenziazione e gli stessi sforzi degli altri utenti. Il “porta a porta” dunque garantisce un controllo capillare, ma non necessariamente repressivo. Il principio è che chi fa correttamente la differenziata debba essere remunerato, prevalentemente attraverso sgravi sulla TARSU. In generale, l’intera cittadinanza deve essere chiamata a rendersi conto del problema e a partecipare alla sua risoluzione, tastando con mano i vantaggi di certe soluzioni virtuose sul piano sia ambientale che economico.
Veniamo così agli aspetti propriamente “politici” della strategia “rifiuti zero”. Ad esporli ampiamente è l’assessore Ciacci. Le sue parole d’esordio riassumono efficacemente il senso dell’intero intervento. “La politica non può essere intesa come mera amministrazione dell’esistente o come gioco di potere. Inizialmente ci chiamavano utopisti, ma in realtà è realistico porsi il problema di come ridurre drasticamente i rifiuti in una società come la nostra che tende a produrne sempre di più”. Capannori è una cittadina di 50 mila abitanti, dove nel 2007 si decide di avviare un progetto per verificare i risultati di una raccolta differenziata “avanzata”. Si circoscrive dapprima l’esperimento a una frazione di 600 abitanti; in pochi giorni si nota che la quota di differenziata supera l’80% del totale. Alla base c’è una strategia di coinvolgimento delle persone estremamente capillare. I cittadini vengono portati a visitare gli impianti di trattamento dei rifiuti; vengono organizzate assemblee in tutti i luoghi di socialità presenti sul territorio (dai bar alle parrocchie). Ma soprattutto ad istruire la popolazione sui modi con condurre la differenziata non è il Comune o la società di nettezza urbana, ma i cittadini stessi. Viene riconosciuto un contributo in denaro a chi si assume il compito di sensibilizzare e di distribuire il materiale per la raccolta. Finalmente, nel giugno 2010, lo stesso progetto arriva a coprire l’intero Comune. Alla fine dello stesso anno la differenziata raggiunge l’82%. Anche sul piano economico i risultati sono lusinghieri: il risparmio nel conferimento agli impianti, rispetto ad una situazione con il 30% di raccolta differenziata con cassonetto, è pari a 1.820.320 Euro nel solo 2010; in prospettiva, con l’ulteriore potenziamento del servizio, si dovrebbe arrivare nel 2012 all’ulteriore risparmio di 200 mila Euro. Andando a guardare il dato disaggregato, si conferma la tendenza rilevata da Favoino: a fronte di un incremento dei costi dovuto alla differenziazione di organico, carta e multimateriale (plastica, vetro ecc.) pari a circa 594 mila Euro, si constata un risparmio sul fronte dell’indifferenziata superiore a 2 milioni di Euro.
Ma la soddisfazione principale gli amministratori di Capannori la traggono da un’inchiesta condotta da un gruppo di ricercatori de “La Sapienza”. Dopo un sondaggio condotto fra i cittadini viene reso noto che il 99% di loro svolge in maniera corretta la differenziata; il 98,5% dichiara di aver ricevuto informazioni e materiale in maniera adeguata; e ben il 94% si dichiara soddisfatto dal servizio!
La strategia ambientale degli amministratori della cittadina toscana non si ferma però alla sola promozione della differenziata. Viene avviata la distribuzione alla spina sia di latte, col coinvolgimento di produttori locali, sia di detersivi – i negozianti che accettano questa modalità di erogazione vengono esentati dalla tassa sui rifiuti solidi urbani per la percentuale di prodotto che vendono in quella forma. Anche sull’acqua vengono varati interventi significativi: si bandiscono dalle mense comunali, compresi gli asilo e le scuole elementari, le acque imbottigliate; per prevenire la reazione negativa delle famiglie si chiamano esperti del settore ad illustrare agli stessi genitori un’evidenza empirica che spesso passa sotto traccia: che l’acqua “del rubinetto” è sottoposta a controlli molto più severi di quella destinata al commercio. Contestualmente viene valorizzato il patrimonio sorgivo del territorio: in corrispondenza delle fonti vengono installati dispositivi a raggi ultravioletti per eliminare i residui batterici presenti in quell’acqua. Così quei posti diventano in breve veri e propri punti d’incontro e di socialità per la comunità capannorese. La partecipazione, da momento di sensibilizzazione e informazione diventa pratica di vita quotidiana.
Ecco allora che il modello Capannori appare caratterizzato da due elementi di fondo. In primo luogo, una linea di intervento pubblico di ampio respiro. Ciacci rivendica con forza questa peculiarità: di per sé ogni singolo passaggio (la raccolta differenziata, la distribuzione di latte e detersivi alla spina, la valorizzazione dell’acqua pubblica…) apporterebbe sì un vantaggio, ma estremamente limitato. Solo la combinazione di tutti questi fattori in una strategia complessiva di sostenibilità ecologica può portare a risultati veramente significativi. Il rispetto dell’ambiente, insomma, deve diventare un modo di vita. Ma questo obbiettivo chiama in causa direttamente il coinvolgimento dei cittadini. Ecco il secondo elemento di forza dell’esperienza capannorese: l’amministrazione, con le sue decisioni, non sostituisce ma alimenta la coesione del tessuto sociale. Il rispetto dell’ambiente naturale diventa la ricerca di una convivenza “attiva”: la gente non persegue egoisticamente i propri fini, ma viene messa nelle condizioni di porsi i problemi generali della comunità.
In conclusione, quali sono gli “insegnamenti” che la nostra città potrebbe trarre da questo bel pomeriggio di riflessione? Tre elementi sembrano emergere con forza.
Anzi tutto, competenza. Le questioni relative ai rifiuti -e, più in generale, alla salvaguardia dell’ambiente e della salute umana – sono complesse (talvolta complicate) e richiedono conoscenze specialistiche, che non sono alla portata di tutti. La stessa Capannori – come gli altri comuni che si sono posti l’obbiettivo dei “rifiuti zero” – ha dovuto coinvolgere personalità esterne (fra cui lo stesso dott. Favoino) per realizzare le sue ambizioni. In una città che sembra apprezzare – ad ogni livello – piuttosto l’improvvisazione e il “pressapochismo” questo dato andrebbe tenuto nella massima considerazione. Non bastano più i pianti greci sui nostri morti o le invettive contro le istituzioni assenti o i vari “mostri” che dall’alto ci opprimono: occorre curiosità intellettuale e voglia di studiare a fondo i problemi e le loro possibili soluzioni.
In secondo luogo, strategia. Questo è un limite cronico dei gruppi dirigenti tarantini (non solo politici): adottare soluzioni di breve periodo e di corto respiro. Esemplare la vicenda dell’inceneritore, riattivato solo per consentire all’AMIU di non sprofondare nella massa dei suoi debiti, con buona pace della salute dei cittadini e dell’innovazione tecnologica e organizzativa. Le partecipate non dovrebbero essere uno strumento di manovra clientelare e tanto meno un datore di lavoro “di ultima istanza”. Se non si vuole spalancare le porte alla privatizzazione – soluzione facile e a breve remunerativa per le casse comunali, ma alla lunga dannosa per i cittadini – andrebbe recuperata la finalità propria di quelle aziende: fornire servizi in maniera efficiente, in modo da distribuire vantaggi sia economici (riduzione delle tariffe) sia sociali (miglioramento della qualità della vita) alla comunità.
Infine, democrazia. La raccolta differenziata “porta a porta” – e così molte altre innovazioni nel campo dei servizi territoriali – obbliga alla partecipazione. Senza quest’ultima gli obbiettivi che si intendono perseguire sono destinati a rimanere irrealizzabili. Questa conclusione suscita un problema enorme, che in questa sede non può essere in nessun modo né affrontato né, tanto meno, risolto. Se si volesse concretizzare la strategia “rifiuti zero”, bisognerebbe addentrarsi in aree della nostra comunità in genere poco frequentate tanto dai politici (che vi si affacciano in genere solo in campagna elettorale per distribuire prebende e promesse) che dagli attivisti (troppo “civili” per confrontarsi con i “cozzari” – con le dovute e meritorie eccezioni, s’intende). Sarà per questo che, a tutt’oggi, di “rifiuti zero” a Taranto se ne interessa solo una esigua (ma per fortuna combattiva) minoranza?