di Greta Marraffa
Uno tsunami di colori e di voci inonda le vie della città.
Taranto 2 aprile: il bel sole primaverile accarezza delicatamente i volti di giovani e bambini. La folla si incontra al piazzale Bestat; la città ha un appuntamento preciso: il corteo ambientalista indetto dall’associazione “Fondo anti-diossina”.
Rullo di tamburi, fischietti al collo e il corteo può partire. Tutti uniti contro il mostro d’acciaio, tutti compatti: i bambini delle scuole materne seguono come soldatini le indicazioni delle rispettive insegnanti…sembrano convinti,intonano con forte enfasi slogan divertenti.
Una sfilata entusiasmante: i ragazzi dei licei si son dipinti i volti: sembrano combattenti,guerrieri imbattibili; ridono, si divertono… è un mare di gioia, quasi incontenibile.
E poi la giornata lo permette: il cielo azzurro e il sole invoglia molti ad uscire dalle proprie case e a sfilare per le vie della città. I giovani forti ed aitanti ormai si sono tolti giubbotti e felpe: indossano mezze maniche; così sono molto più agili e durante il corteo hanno la possibilità di realizzare vivaci momenti di piazza improvvisando balletti energici.
Si inneggiano slogan contro Riva, contro Berlusconi ed anche contro il sindaco Stefàno…un gran minestrone di opinioni, di idee… una gran confusione!
Alla grande partecipazione al corteo, si contrappone così la mancanza totale di proposte concrete e reali. Un corteo che a tratti pare una manifestazione prettamente studentesca, una sfilata carnevalesca priva di contenuti.
Una giornata tuttavia importante, spinta da un sentimento di rabbia ed insoddisfazione, che però non è riuscita ad attrarre l’attenzione di una delle forze sociali maggiormente colpita dall’inquinamento: la classe operaia. Viene allora da chiedersi: dov’erano i lavoratori precari? E gli addetti all’area a caldo? Per chi e per cosa si è manifestato, se non per la tutela anche di questa gente? Degli invisibili, di coloro i quali ogni mattina sono costretti a faticare e a rischiare la propria incolumità per un salario poco dignitoso.
Occorrerebbe intraprendere un percorso unitario, bisognerebbe condividere ed ascoltare, ampliare le proprie prospettive, cercando di non puntare il dito contro nessuno, non cadendo nell’errore di dividere tra buoni e cattivi.
Bisognerebbe attivarsi nell’approfondire tematiche più ampie nella lotta alla colonizzazione brutale delle nostre terre, bisognerebbe puntare sulla cultura e sulla rivalorizzazione del territorio che è stanco oramai di esser terra di conquista .
Una mattinata che ha rappresentato, per molti aspetti, la frammentarietà, la frattura insanabile all’interno di una città apatica e disinteressata, che non ha voglia di dialogare e di discutere.
Verso mezzogiorno la marea umana invade le vie del centro, sino a giungere in Piazza della Vittoria. Al centro di essa è allestito un palco; lì uno degli attivisti promotori dell’evento ringrazia con grande enfasi la piazza, ormai stracolma, composta non più solo da bambini e studenti, ma anche da tutti quei passanti incuriositi, che ascoltano con pazienza il discorso conclusivo seduti sulle panchine.
Il consenso è ampio, la piazza applaude vigorosamente alle parole degli oratori sul palco; c’è chi indossa ancora le mascherine al volto, c’è chi stremato dal caldo e dalla stanchezza si adagia sul marciapiede.
Una giornata significativa, che avrebbe potuto avere più rilevanza se fosse stata preceduta da più momenti di confronto.
Non ci si può limitare ad offrire la propria presenza a passerelle e a sfilate di piazza: occorre seguire con costanza e sistematicità la lotta per la difesa dei propri diritti, senza eleggere eroi o paladini ma rendendo la comunità protagonista del cambiamento.