di Salvatore Romeo (’85)
Tra i fiumi di pareri discordanti di chi vorrebbe e chi non vorrebbe gli immigrati “in casa”, si diluisce l’importanza del principale protagonista di una migrazione: l’uomo e la sua stessa Dignità. Perché le migrazioni sono fatte da uomini e questo lo si dimentica spesso. Non è facile ricominciare a vivere, quando strappato al tuo passato, sei costretto a cercare un presente nei volti di chi non ti ha visto nascere ma che probabilmente, ti vedrà morire.
Ovviamente è facile imbattersi, nella realtà quotidiana, in giornalisti-affabulatori di disgrazie altrui, teorici della migrazione, professori e politici dalla soluzione facile e preconfezionata; tutta gente esperta ma che dimentica o forse ignora del tutto, che la migrazione è un dramma soprattutto per chi è costretto a migrare.
Sperso nel turbinio di frasi e luoghi comuni “poco comuni e più feroci”, mi sono imbattuto accidentalmente in vecchio cd (ve li ricordate?) comprato qualche anno fa in un piccolo negozietto di Taranto; “Da questa parte del mare” titolo evocativo di ricordi ed avventure , per chi come me, con il mare ci è cresciuto. L’autore, uno che il mare lo ha sempre cantato ma poco vissuto essendo nativo di Cuneo, è Gian Maria Testa, un paio di baffi bianchi stretti intorno ad un volto all’apparenza calmo e tranquillizzante.
Appoggio le solite cuffie ed un click precede le prime note di chitarra lentamente arpeggiata del brano “Seminatori di grano”. Ah non l’avevo detto ma l’album parla di migrazioni. In realtà è un “concept album”, in cui il filo che lega insieme le canzoni è quello delle migrazioni moderne. La grande qualità del cantautore Cuneese è l’assenza nei suoi testi di demagogia, tipica di chi scruta con sguardo superficiale le altrui sofferenze. Temi come le motivazioni del partire, la decisione, sofferta, di attraversare deserti e mari, il significato di parole come “terra” o “patria” od il senso di sradicamento e di smarrimento che lo spostarsi porta sempre con sé, sono affrontate con poetica riflessione ed una rara dolcezza celata dietro i piccoli occhi color nocciola.
Le note scivolano lente e precise e subito la sua voce ,calda e lievemente rauca, s’appropria dei sensi che si fondono con l’incedere dell’album. Le melodie propongono un’alternanza tra lento e tambureggiante (“Al mercato di porta palazzo”) e le canzoni sono da ascoltare come se fossero delle poesie di una silloge.
Non farò un decalogo delle canzoni e delle mie impressioni: è un’artista tutto da scoprire, dal grande seguito in Francia ma ancora poco conosciuto in Italia, e non vorrei condizionare nessuno con i miei personali commenti.
Vi chiedo solamente un piccolo piacere: ascoltatelo tutto d’un fiato ed immergetevi nella realtà di chi è costretto a fuggire dalla propria famiglia, dalle proprie amicizie e dagli straziati amori. Cosicché, quando dalle vostre macchine incontrerete due occhi tristi perdersi nei vostri, gli donerete un sorriso.