di Mara Pavone
Il “merito” è uno dei più efficaci specchietti per le allodole utilizzato negli ultimi anni per giustificare qualsiasi misura presa nell’ambito dell’istruzione.
La prima a utilizzare spesso questa parola è stata Mariastella Gelmini che, appena nominata ministro, ha dichiarato guerra aperta ai baroni e ha puntato il dito contro il sistema universitario italiano caratterizzato da poca qualità e un sacco di sprechi. Ed è così che, in nome del “merito”, sono stati fatti dei pesanti tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario; perché, più che concentrarsi su un migliore utilizzo delle risorse, si è pensato che la qualità della didattica e l’esaltazione del merito si raggiungessero tagliando fondi in modo indiscriminato, senza creare contestualmente le condizioni per evitare gli sprechi ed aumentare l’eccellenza.
Sempre in nome del “merito” sono stati tagliati drasticamente i fondi per il Diritto allo Studio Universitario: a quanto pare c’è una singolare teoria tutta italiana secondo la quale il merito si premia diminuendo le borse di studio ed impedendo quindi ad uno studente in gamba, ma con un reddito basso, di accedere ai più alti gradi degli studi; quindi l’unico modo per poter studiare è contrarre un c.d. “prestito d’onore” presso un istituto finanziario, prestito che deve essere restituito alla fine degli studi. E a questo punto ci si domanda in che modo, dato che il lavoro è sempre più precario.
Il risultato oggi è questo: in nome del merito è stata approvata una riforma universitaria che attribuisce al Consiglio di Amministrazione di ogni Ateneo la possibilità di aprire o chiudere un corso di laurea non sulla base delle necessità didattica, bensì in funzione di interessi economici e di profitto; l’affidamento della gestione della didattica ai dipartimenti (che prima erano i centri di ricerca degli atenei). A questo si aggiunge il fatto che, nonostante la riorganizzazione a cui sono stati costretti gli atenei, i famosi “baroni” sono sempre li ad affidare le cattedre ai propri parenti a discapito dei docenti davvero brillanti e meritevoli.
Nei giorni scorsi è stato presentato dal Ministro Profumo lo “Schema di decreto legge recante misure urgenti per la valorizzazione della capacità e del merito nell’istruzione, nell’università, nell’alta formazione artistica, musicale e coreutica e nella ricerca”, che in sostanza è perfettamente in linea con tutte le misure prese negli ultimi anni: si tratta di un decreto povero di contenuti, dove vengono esaltate delle misure che apparentemente “valorizzano il merito” ma che in realtà non servono a diminuire le disuguaglianze: significa che il figlio dell’avvocato potrà studiare e diventare avvocato, mentre il figlio dell’operario – seppur in gamba – non potrà accedere ai più alti gradi degli studi.
Tra le misure previste c’è l’istituzione dello “studente dell’anno”: lo studente più meritevole (e con una determinata condizione economica) di ciascuna scuola riceverà uno “sconto” del 30% sulle tasse universitarie per il primo anno di corso, in aggiunta ad una carta denominata “IoMerito” comprensiva dei servizi già previsti dalla carta “IoStudio”[1].
E’ previsto poi un meccanismo che affida risorse aggiuntive alle scuole che miglioreranno i propri risultati nella lotta alla dispersione scolastica; considerando però i pesanti tagli nel settore scolastico non ci si spiega come possano fare le scuole ad ottenere dei risultati migliori senza risorse finanziarie.
Nel decreto vengono anche definite le “master class” estive di formazione, alle quali accedono gli studenti che si classificano ai primi tre posti delle internazionali di matematica, informatica, fisica e competizioni simili. Le master class di per sé non sono un qualcosa di negativo, ma forse prima di pensare ai corsi estivi di approfondimento si dovrebbero migliorare le condizioni delle scuole italiane per garantire una adeguata formazione a tutti.
Riguardo l’ambito universitario, fra le varie novità, è prevista l’iscrizione contemporanea a due corsi di laurea e la possibilità di anticipare la conclusione degli studi universitari (se vengono raggiunti i CFU previsti dal piano di studi). Viene da domandarsi in questo caso cosa si intenda per “merito”: si tratta solo di una questione di quantità in termini di esami che devono essere superati nel minor tempo possibile? Perché se invece per “merito” si intende la capacità di acquisire, attraverso gli studi, le competenze per accedere a determinati ambiti lavorativi, consentendo di concludere prima gli studi oppure la possibilità di conseguire due lauree contemporaneamente si rischia di ridurre l’esperienza universitaria solo ad uno studio mnemonico finalizzato al superamento degli esami.
Dal punto di vista didattico il decreto ammette che venga destinata una quota del fondo per la premialità dei professori e dei ricercatori un compenso aggiuntivo, non superiore al 20% di quello totale, per i professori e i ricercatori universitari che abbiano conseguito valutazioni particolarmente pregevoli sulla didattica. Quindi, invece di assumere docenti per aumentare la qualità della didattica, si preferisce corrispondere una sorta di premi aziendali, continuando a sfruttare e sottopagare tutti i precari all’interno dell’università.
Si rafforzano poi i poteri dell’Anvur, un’agenzia composta da sette persone nominate dal ministro, che non solo determinerà la valutazione dei corsi di laurea o dei prodotti della ricerca come avviene oggi, ma stabilirà anche i criteri che dovranno avere i valutatori nei singoli atenei.
E’ previsto inoltre un test di valutazione per l’accesso ai corsi di studio. Ancora una volta, invece di cercare di ampliare l’offerta formativa e le strutture, si limita l’accesso all’università.
Alla fine del decreto compare una formula molto comune a tutti i provvedimenti presi negli ultimi anni: infatti, se per alcuni aspetti viene previsto lo stanziamento di alcuni fondi, per la maggior parte delle disposizioni viene sottolineato che non dovranno esserci oneri aggiuntivi a carico dello Stato. Non si può pensare di poter creare un sistema scolastico/universitario senza “oneri aggiuntivi a carico dello Stato” oppure tagliando costantemente i fondi: la qualità non si crea dal nulla ma da investimenti – fatti con criterio ovviamente – e da una diversa gestione delle risorse, cosa che negli ultimi anni non c’è stata. Il sistema universitario italiano è caratterizzato ancora oggi da quel meccanismo secondo il quale i corsi di laurea vengono costruiti a seconda delle esigenze del barone di turno, altri vengono chiusi per mancanza di fondi, oppure rimodulati per lo stesso motivo – ma spesso dalla rimodulazione non si riesce a creare un corso di studi di qualità: diciamo che questa operazione viene fatta per “salvare il salvabile”.
L’accesso all’università deve essere libero; non può essere un test di valutazione a influenzare il futuro di uno studente: il fatto che non si abbia una preparazione di base per un determinato corso di laurea non significa che quella preparazione non possa essere acquisita durante il corso di studi.
Istituendo dei corsi di laurea di qualità, e inserendo dei sistemi di valutazione intermedia per l’accesso agli anni successivi (es. un totale di CFU da acquisire ed una certa media per passare all’anno successivo) si fa in modo che chi non è tagliato per l’università abbandoni spontaneamente: in questo si vede il merito, perché solo chi davvero è in gamba arriverà alla laurea.
C’è poi una cosa fondamentale di cui tener conto: non si può parlare di merito se tutti gli studenti non vengono messi nelle stesse condizioni; bisogna cioè tener conto dell’aspetto reddituale: lo studente che ha necessità di lavorare perché deve sostenere la propria famiglia sicuramente non potrà dedicare allo studio lo stesso tempo di uno studente che non ha problemi economici e quindi non lavora. Potrebbe accadere quindi il presentarsi della paradossale situazione in cui lo studente davvero meritevole non riesca ad esempio a raggiungere i requisiti per ottenere un “premio” o l’agevolazione sulle tasse perché non ha potuto studiare, mentre quello meno meritevole (e con un reddito alto) arriva facilmente a quegli standard perché studia a tempo pieno.
E’ per questo motivo che devono essere incentivate le erogazioni di borse di studio a sostegno del reddito (ovviamente solo nel caso in cui lo studente abbia un minimo di requisiti di merito), perché solo se si parte dalla stessa condizione si può effettivamente individuare chi è davvero meritevole e chi no.
Il diritto allo studio, così come definito dall’art. 34 della Costituzione, non può essere garantito attraverso sistemi di “premi” o sconti sulle tasse.
[1] Una carta che permette sconti agli studenti per musei, cinema, circhi e parchi divertimento, libri ecc..