di Serena Miccoli
“Stanotte non ho dormito: mi sono seduta accanto al televisore e ho pianto”.
La chiamata arriva alle prime ore del mattino, a saracinesche ancora abbassate, in uno dei pochi negozi di elettrodomestici in quella manciata di paesi ad Est di Taranto. Sono appena le 8 ed il telefono registra già 10 chiamate perse. È panico da switch-off.
Intanto un esercito di nipoti, figli e tecnici – o appena diplomati tecnici dall’accademia della crisi – è stato reclutato a soccorso dai meno esperti per la riprogrammazione della sequenza dei canali: si giunge a chiamare anche il vicino ventenne, che per strada non saluta mai, nella speranza che il problema possa risolversi al più presto così da contenere gli irreparabili danni. Si rischia infatti di perdere la puntata della ventennale telenovela, quella grazie a cui Brooke la si è vista crescere; il pomeriggio con la signora Venier o con mamma Maria De Filippi e le sue ultime figurine della collezione “fidanzati dei sogni”; per non parlare della serata con l’amico Salvo di Quarto Grado che ci racconta per primo, assieme a quella simpatica comitiva che dice tante cose giuste, le notizie sugli ultimi bastardi della cronaca nera.
Sono legami forti quelli che molti telespettatori instaurano con i vari personaggi televisivi, le cui immagini trasmesse vengono accolte nelle case come persone di famiglia. Non è percepito dal telespettatore il limite fra personaggio televisivo e persona: la TV è la Realtà; per cui la D’Urso che piange ad ogni triste storia lo fa perché è una persona sensibile – o fregnona – , e non perché le espressioni facciali drammatiche del personaggio “Barbara D’Urso” fanno parte delle caratteristiche di una maschera abilmente curata dagli autori televisivi.
Ad ogni modo, nel caso dei fans di conduttori o trasmissioni vi è un affezionamento, ma a seguito di una scelta ragionata – magari non ragionevole, visti gli esempi portati – fra questa o quella trasmissione; diversa è invece la situazione di chi i palinsesti di tutti i canali, di tutte le piattaforme, li subisce: è la situazione di chi assorbe indifferenziatamente tutto ciò che passa in un dato momento per l’elettrodomestico luminoso; di chi visiona tutto senza ben comprendere il termine di una trasmissione e l’inizio di un’altra, pensando che sia tutto un continuum; di chi tiene la TV accesa perché “tiene compagnia”, riempie il silenzio delle case e quello creato “dall’imbarazzo” di una famiglia riunita attorno ad una tavola. “La TV per me è pane”, sostenne venerdì un signore diversamente abile. Non diversa è l’opinione di anziani, persone sole e – se avessero la possibilità di dire la propria – di un imprecisato numero di bambini lasciati pascere davanti all’elettrodomestico luminoso per interi pomeriggi – e soprattutto mattine – in età pre-scolare.
La perenne presenza dell’elettrodomestico luminoso – anche nell’ordine di 3 unità per ogni casa – lo ha reso una cosa con cui si stabiliscono relazioni. La TV è sistema di riferimento delle nostre capacità critiche e cognitive: spente le trasmissioni, si inscena lo smarrimento. Come venerdì. La TV ha azzerato la memoria e, in alcune persone, le prospettive di un intrattenimento diverso, così come di una ritualità diversa in momenti in cui in una casa ci si ritrova a “stare insieme”.
“Meno male che c’era facebook” ho sentito stamattina per strada da una mia coetanea: ecco una nuova, attuale, monocultura dell’intrattenimento.
È da questa mattina che una visione inopportuna mi offusca la mente: un paio di candele accese, un incenso, le tapparelle abbassate da cui passa qualche debole raggio di luce che fende l’oscurità in una stanza; sul tavolo un mazzo di fiori raccolti da un nastro viola e poi io, accanto allo scrittoio, che piango con il modem in una mano e il mouse nell’altra. Sullo schermo del PC una sola apocalittica scritta: “Nessuna rete senza fili rilevata”. E’ la fine: per colpa di una nuova, maledetta, tecnologia. I negozi sono chiusi. È appena il tramonto. È l’inizio, in questa visione, di una lunga insonne veglia funebre.