Raddoppio inceneritore di Massafra: ultima “offesa” alla Terra jonica. Seconda parte

di Giovanni Vianello

Nel primo articolo abbiamo appurato che non esiste la parola “termovalorizzatore”, termine inventato dai politicanti italiani (gli stessi che oggi si chiedono perché la cittadinanza è così distante da loro), abbiamo sottolineato l’importanza di un’adeguata informazione per favorire la partecipazione popolare e in ultimo abbiamo trattato le peculiarità naturali e gli effetti antropici che caratterizzano il contesto della località dove dovrebbe sorgere la seconda linea dell’inceneritore.
Per comprendere meglio se il raddoppio dell’inceneritore di Massafra possa essere utile o meno (personalmente non ritengo utile e conveniente bruciare materie prime/seconde che invece potrebbero essere riciclate), partiamo da un’analisi degli impianti che trattano rifiuti nella provincia di Taranto. Nella fattispecie analizziamo quelli che trattano il così detto “residuo”, che non proviene dalle raccolte differenziate e che ovviamente sarà in percentuali tanto maggiori quanto minori sono le percentuali di raccolta differenziata.
La situazione generale in provincia di Taranto non è certo delle più incoraggianti in quanto difficilmente si potrà trovare in Italia una provincia adibita a “smaltimento” perpetuo che passa dalla “tirannia” delle discariche a quella degli inceneritori (mantenendo aperte le discariche già esistenti). E’ quindi importante comprendere la situazione in provincia per una reale e corretta programmazione della gestione dei rifiuti per ogni singolo comune del territorio jonico.

Le “8” discariche in provincia di Taranto e i Trattamenti Meccanici Biologici

I dati seguenti sono raccolti dai rapporti annuali che l’ISPRA pubblica in tema di rifiuti. Tuttavia a volte i dati sono incompleti perché i comuni, la provincia e la regione di sovente forniscono all’ISPRA dati parziali. Non aiuta allo scopo d’individuare quali impianti ci sono in Provincia di Taranto neanche il sito ufficiale della Regione Puglia attivo dal 2007.
Se si cercano nel sito ufficiale della Regione Puglia riferimenti sugli “Ato rifiuti” di Taranto si scopre un bel “Not Found”… alla faccia della trasparenza tanto decantata!!!
Nel seguente elenco sono esclusi gli impianti di deposito temporaneo e/o preliminare dei rifiuti pericolosi e non pericolosi, le discariche in fase di procedura autorizzativa, le autodemolizioni e ovviamente non sono incluse le innumerevoli discariche abusive scoperte dai cittadini e dalle forze dell’ordine.
Nel nostro territorio vi sono le discariche di rifiuti speciali “più grandi d’Europa”:

La discarica Italcave spa a Statte (dove lo scorso anno comitati cittadini hanno bloccato gli smaltimenti dei rifiuti provenienti dagli impianti Stir della Campania dimostrando la perdita dai Tir di percolato).

La discarica Vergine spa, situata in quel paradosso geografico che si chiama “isola amministrativa di Taranto”, nei pressi di Lizzano, Fragagnano, Roccaforzata, più volte balzata alle cronache per esser stata recapito finale di giri “criminosi” di rifiuti sul territorio italiano (vedasi le operazioni coordinate dalla procura di Lanciano “Operazione Spiderman” e l’operazione condotta dai carabinieri del Noe di Ancona e coordinata dalla procura di Napoli “Operazione Ragnatela”.

La discarica Ecolevante spa situata in agro di Grottaglie, confinante con San Marzano che da qualche tempo è oggetto di “attenzioni particolari” di una Holding del nord Italia. A Grottaglie vengono conferiti anche Rifiuti Urbani.

Per ognuna di queste discariche c’è almeno una storia che i comitati cittadini locali possono raccontare e che per motivi di spazio non possiamo trattare in questo articolo, ma invito i lettori ad approfondire l’argomento.
Le 3 discariche hanno un paio di peculiarità comuni in quanto accolgono rifiuti da tutta Italia, sono state aperte sotto amministrazioni di centro-destra e sono state ampliate sotto amministrazioni di centro-sinistra, con l’immancabile “tarantella” dello scarica/barile delle responsabilità rimbalzate di volta in volta tra Comuni, Provincia e Regione.
A queste 3 si aggiungono altre discariche presenti in provincia come quella in agro di Castellaneta, dove sono conferiti i fanghi provenienti dal potabilizzatore di AqP spa (Acquedotto Pugliese) ai piedi della Gravina di Laterza (attualmente in fase di VIA).
Vi sono poi, le 2 discariche di rifiuti speciali di cui una anche di rifiuti “pericolosi”, presenti all’interno dello stabilimento Ilva spa.
Nella parte più orientale della provincia c’è la discarica di Manduria gestita dalla “Manduriambiente spa” del gruppo “Unieco Ambiente” che raccoglie i “residui” del trattamento dei rifiuti della piattaforma già esistente.
L’impianto, infatti, secondo il “Rapporto Rifiuti 2011” dell’ISPRA, è anche un impianto di “Trattamento Meccanico Biologico” (TMB) con selezione e biostabilizzazione del residuo.
Sul sito della Provincia di Taranto si trova anche la richiesta in data 14/01/2011 da parte di Manduriambiente Spa per il rilascio della “VIA” al fine di adeguare l’impianto, tra cui anche la richiesta per la produzione di CDR da bruciare successivamente in altra località.
E’ importante comprendere che il TMB può essere un’ottima soluzione nella gestione del residuo se non è finalizzato alla produzione di CDR e quindi non favorendo le attività d’incenerimento dei rifiuti. Al contrario, questa politica di “coltivare monnezza” per bruciarla, sembra la scelta della Regione Puglia, come si evince da un interessante articolo di Altraeconomia a firma di Luca Martinelli.
Terminiamo il “Tour” della provincia con la discarica di Massafra da 1.280.000 mc di volumetrie.
E’ necessario rilevare che a Massafra, CISA spa, partner del gruppo Marcegaglia, gestisce non solo l’inceneritore in contrada Console, ma ha anche un impianto in contrada San Sergio che oltre alla selezione e biostabilizzazione, effettua anche la produzione di CDR da bruciare.

I “4” Inceneritori

In una provincia con un’ampia capacità adibita a discarica e smaltimento, si aggiungono anche gli inceneritori (anche questi sono considerati come “smaltimento” dalle direttive europee) che attualmente, al netto del raddoppio dell’Appia Energy di Massafra, si presentano con capacità autorizzative pari alla seguente tabella:

Tabella 1*

Appia Energy (linea esistente) 100.000 CDR e Biomasse
Ecodì S.r.l 8.500 rifiuti pericolosi e non pericolosi
AMIU S.p.A. – IMPIANTO INTEGRATO DI SMALTIMENTO DEI RIFIUTI URBANI DI TARANTO 73.000 RSU indifferenziato “tal quale”

+ 6.000 t/a di Rifiuti Ospedalieri.Cementir Italia S.r.l51.500CDR (rectius CSS),

Anche se gli inceneritori sono considerati come impianti per lo “smaltimento”, si deve aggiungere che dalla combustione dei rifiuti si creano altri rifiuti frutto del processo d’incenerimento. I nuovi rifiuti prodotti devono essere stoccati nuovamente con l’aggiunta di nuovi costi.
Generalizzando si potrebbe affermare che da 3 tonnellate di rifiuti inceneriti, 1 tonnellata è il rifiuto che si crea come ceneri e condensato, come vedremo tra poco nel dettaglio il caso di Massafra.
Parte delle ceneri sono rifiuti pericolosi per cui con l’incenerimento assistiamo al “miracolo” della trasformazione del CDR o dei rifiuti urbani non pericolosi, in rifiuti speciali pericolosi.
Lo stoccaggio di quest’ultimi risulta economicamente gravoso e per inciso, con il meccanismo, dove viene applicato, della tariffa dei rifiuti urbani a “copertura integrale dei costi” che gli utenti pagano, ovviamente questo costo viene scaricato indirettamente sui cittadini. Ma quanto è il costo di questo smaltimento? Per fare un esempio, nel sito dell’AMIU di Taranto, erano presenti fino a qualche mese fa alcuni documenti sulla “Procedura aperta per l’affidamento del servizio di raccolta, trasporto, recupero e/o smaltimento di ceneri pesanti – leggere – acque di spegnimento ceneri – acque di percolazione e fanghi, provenienti dall’impianto integrato di smaltimento dei rifiuti “Città di Taranto” ubicato alla via Appia S.S. 7 km. 642.

Tabella 2

Nel bando di gara si fa riferimento a questi costi di smaltimento dei rifiuti prodotti dall’impianto:
N.B. Le acque di percolazione e i fanghi sono prodotti dall’impianto di compostaggio di cui Amiu è proprietaria e non dall’inceneritore.

Tipo di rifiuto Codice CER costo unitario a tonnellata importo annuo stimato €
ceneri leggere (pericoloso) 190113*

Rifiuti Pericolosi265,00545.915,90ceneri pesanti e scorie190112105,001.460.067,53acque di spegnimento scorie19019925,00131.856,25acque di percolazione fossa19019941,502.188,81acque percolazione compostaggio19019941,5096.565,31fanghi delle fosse settiche20030415,00791,14Importo annuo stimato del servizio complessivo  2.237.384,94

Sono quindi costi molto elevati. Per quanto riguarda la quantità di rifiuti che produrrà l’Inceneritore di Massafra, se verrà autorizzato il raddoppio, qui di seguito sono riportati i dati estrapolati dalle “schede AIA”, documento scaricabile dal sito della Provincia di Taranto. Ricordo che l’impianto potrà bruciare 200.000t/a di rifiuti.

Tabella 3

Ceneri leggere contenenti sostanze pericolose 19.01.13* Rifiuti Pericolosi 27.572 t/a
Concentrato Osmosi 19.09.99 27.568 t/a
Ceneri pesanti 19.01.12 8.178 t/a
Acque Reflue Pretrattate 19.08.99 5.712 t/a

Politica discutibile quella di trasformare 200.000 tonnellate di rifiuti che potenzialmente potrebbero essere riciclati, in circa 70.000 t/a di rifiuti non più recuperabili dei quali 27.572 t/a di Rifiuti Pericolosi. Il che richiederà una spesa non indifferente di smaltimento finale per lo stoccaggio in siti sicuri.
Non solo… Perché oltre ai costi scaricati in tariffa sui rifiuti, i cittadini pagano 2 volte gli inceneritori, ma questa volta con la componente A3 della bolletta dell’energia elettrica. “La domanda sorge spontanea”, direbbe qualcuno: “Cosa c’entra la bolletta dell’energia elettrica con gli inceneritori?”

I “CIP 6”

Per comprendere cos’è il CIP 6 e che ruolo ha nel sostegno degli inceneritori, riporto integralmente quello che l’associazione “Diritto al Futuro” (che comprende attivisti della Rete nazionale “Rifiuti Zero”) sta promuovendo, cioè la vertenza “contro l’incenerimento dei nostri diritti” e la richiesta di rimborso al GSE. A tal riguardo maggiori informazioni si possono trovare sul sito.

Tutto inizia con la Legge 10 del 9 gennaio 1991 “Norme per l’attuazione del Piano Energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili.” L’intento della legge è di recepire le politiche energetiche comunitarie. Purtroppo ciò accade solo in parte: infatti mentre l’Europa individua esattamente le fonti rinnovabili (solare, eolica, idraulica, geotermica e moto ondoso) nella versione italiana appare il termine “fonti assimilate alle rinnovabili”.
Una semplice parola che ha cambiato radicalmente sia il senso della politica europea in Italia, sia quello che poi è stato lo sviluppo energetico “pulito” nel nostro paese. Infatti, con “Assimilate”, il legislatore italiano ha incluso anche:

  • cogenerazione, intesa come produzione combinata di energia elettrica e di calore;
  • calore di risulta, fumi di scarico ed altre forme di energia recuperabile in processi ed impianti;
  • l’utilizzo di scarti di lavorazione e/o di processi.

Sulla scorta di queste indicazioni (Legge 10/91), il Comitato Interministeriale Prezzi (CIP)‏ con delibera n. 6 (Cip6)‏ del 29 aprile 1992, stabilisce che i produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili ed assimilate, godranno di una maggiorazione di circa 3 volte il prezzo di mercato.
Ed è qui che vengono tirate in ballo le tasche dei cittadini… Infatti a pagare questa maggiorazione sono i cittadini col 7% della bolletta dell’energia elettrica (componente A3). Secondo il “Diritto al Futuro” dal 1992 abbiamo versato oltre tre miliardi di euro all’anno (3.076.923.077 euro), determinando un totale di oltre 50 miliardi di euro. Ovviamente si può solo immaginare cosa si sarebbe potuto fare con questo denaro se fosse stato utilizzato per le reali fonti di energia rinnovabile, favorendo la produzione di energia per scuole, ospedali, edifici pubblici, ecc…
L’Europa ci “osserva” e con la Direttiva UE 77 del 2001, incentiva e stimola l’uso di fonti rinnovabili individuandole: solare, eolica, idraulica, geotermica, biogas, la parte biodegradabile dei rifiuti industriali ed urbani e le biomasse (residui dell’agricoltura).Un chiaro stop alle truffaldine fonti assimilate italiane. La Direttiva 77/2001 viene recepita “all’italiana”, col Decreto Legislativo 387 del dicembre 2003. L’art.17 esclude le fonti assimilate (cogenerazione, scarti petroliferi, ecc.)‏ ma include i rifiuti ed il CDR, in spregio alla Direttiva 77/2001. Ecco che scatta l’ennesima procedura di infrazione da parte dell’UE all’Italia. Come denunciato dalla procedura d’infrazione, dall’entrata in vigore del 387/03 le famose fonti assimilate non avrebbero dovuto più prendere gli incentivi. Ma una parte delle nostre bollette continua ad andare alle così dette fonti assimilate.
Nel corso di questi ultimi anni il CIP 6 è stato oggetto di modifiche continue: nella finanziaria 2007 si è proceduto con il non erogare più CIP6 agli inceneritori costruiti dopo il 2007 (mentre quelli costruiti prima continuano a prenderlo). Un’altra modifica viene stabilita dal “Commissario Straordinario per l’Emergenza Rifiuti in Campania” Guido Bertolaso che per le zone in “emergenza” come la Campania, reintroduce i CIP6 anche per i nuovi inceneritori in forza della conversione del decreto-legge n.97/2008 per la realizzazione degli inceneritori a Salerno, Napoli e Santa Maria La Fossa. Tutto ciò per risolvere i problemi campani sui rifiuti… ma come ben sappiamo, la storia ci racconta che quegli inceneritori non hanno risolto l’emergenza campana che anzi sta “procedendo” con la deportazione dei rifiuti in altre regioni e all’estero.
Si potrebbe concludere affermando che questi sono soldi bruciati!

Oltre ai CIP6, vi sono altri modi subdoli di finanziare gli inceneritori: ad esempio i “Certificati Verdi” (CV) per i quali approfondiremo in altro momento. Per comprendere meglio quanto “ci costa” un inceneritore, di seguito è riportata una tabella preparata da “Diritto al Futuro” sul famoso inceneritore di Brescia (al 2007 ha avuto incentivi per 424 milioni di euro), un mostro da 750.000 t/a che taluni hanno definito come “il miglior inceneritore al mondo”, nonostante sia coinvolto in due violazioni di direttive europee e una condanna per la mancanza di VIA per la terza linea da parte della Corte di Giustizia Europea il 5 luglio del 2007, fatto avvenuto durante un’amministrazione di centro sinistra con assessore all’ambiente, un esponente dei Verdi.

Tabella 4

Le emissioni degli inceneritori

La letteratura scientifica ha realizzato numerosissime ricerche e studi che dimostrano i danni che provocano le emissioni in atmosfera degli inceneritori.
Tecnicamente questo avviene anche in presenza delle Migliori Tecnologie Disponibili, in quanto attualmente non esiste filtro che possa bloccare “nanoparticelle” di diossina.
Dal documento della Dott.ssa Patrizia Gentilini “LATTE MATERNO, DIOSSINE E PCB” apprendiamo che “Diossine e PCB rientrano poi nel grande gruppo di sostanze denominate “endocrin disruptor”, ovvero inferenti o distruttori endocrini, nel senso che mimano l’azione degli ormoni naturali interferendo e disturbando funzioni complesse e delicatissime dell’organismo, quali quelle immunitarie, endocrine, metaboliche, neuropsichiche. Di fatto l’esposizione a diossine è correlata sia allo sviluppo di tumori (in particolare, per la TCDD, a linfomi, sarcomi, tumori a fegato, mammella, polmone, colon) ma anche a disturbi riproduttivi, endometriosi, anomalie dello sviluppo cerebrale, endocrinopatie (in particolare diabete e tiroide), disturbi polmonari, danni metabolici con innalzamento di colesterolo e trigliceridi, danni cardiovascolari, epatici, cutanei, deficit del sistema immunitario.”
Per citarne un altro studio, vi è ad esempio il Rapporto della Società Britannica di Medicina Ecologica. Nel documento si apprende che “gli inceneritori contravvengono ai diritti umani basilari”, come enunciato dalla Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, in particolare al Diritto alla Vita nella Convenzione per i Diritti Umani Europea, ma anche nella Convenzione di Stoccolma e nella Legge di Protezione Ambientale del 1990. Il feto, il neonato e il bambino sono quelli più a rischio per le emissioni degli inceneritori: quindi si ignorano e si violano i loro diritti, il che non è in armonia con il concetto di una società giusta.”
La sintesi del rapporto conclude con “La rassegna della letteratura ci porta all’opinione che nuovi impianti che emettono quantità sostanziali di polveri fini, di metalli pesanti volatili e di inquinanti organici pericolosi non dovrebbero essere approvati e che andrebbero prese misure urgenti per ridurre le emissioni degli impianti che bruciano rifiuti attualmente in funzione e per effettuare un rigoroso monitoraggio biologico finché potranno essere dismessi e sostituiti con metodi più sicuri di smaltimento dei rifiuti…”
Ma la letteratura medica e scientifica ci riserva anche alcune notizie inquietanti. I medici dell’Isde (International Society Doctors for Environment) da anni impegnati ad informare sui rischi che gli inceneritori provocano alla salute umana, tra l’altro, hanno anche scoperto e reso pubblico il 25 novembre 2009 che sono stati taroccati alcuni studi per dimostrare l’innocuità degli inceneritori: “Possiamo affermare che sono stati modificati i risultati di studi scientifici per attestare innocuità degli inceneritori e supportare la scelta dell’incenerimento dei rifiuti in documenti ad uso delle Amministrazioni.”
Tocca quindi alla cittadinanza vigilare e comprendere, in sostituzione delle amministrazioni “dormienti”, cos’è un inceneritore, cosa produce e se ci sono alternative.

C’è bisogno di un altro inceneritore in provincia di Taranto? Confronto dei dati

Spesso sentiamo, anche per bocca di alcuni parlamentari jonici, che gli inceneritori sono un modo efficiente di smaltire i rifiuti, anche perchè “da qualche parte i rifiuti dovranno pur esser messi”. Al di là del fatto, come abbiamo constatato, che gli inceneritori non risolvono il problema dei rifiuti ma al limite lo peggiorano producendo rifiuti anche pericolosi e creando emissioni in atmosfera, non si comprende perchè la provincia debba essere un territorio adibito a smaltimento e non un territorio dove vi siano attività di riciclo e recupero con innumerevoli vantaggi occupazionali, economici ed ambientali. Cerchiamo di capire se le strutture che trattano il residuo sono sufficienti in base alla produzione provinciale di rifiuti urbani. Per far questo, dobbiamo comprendere quanti rifiuti urbani produce la provincia.
Va anche detto che le normative (Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n.152 e s.m.i.) ci indicano chiaramente che al 31/12/2012 dovremmo arrivare a percentuali di raccolta differenziata pari al 65%, a meno di un ulteriore deroga che si trasformerebbe in un aumento di spesa per i Comuni e per i cittadini.
Attualmente la provincia è divisa in due ATO (Autorità Territoriali Ottimali) che pianificano la gestione dei RSU (Rifiuti Solidi Urbani), anche se la nuova normativa regionale obbligherà presto gli accorpamenti degli ATO, formando nuovi ATO di estensione pari a quella provinciale.
Secondo i dati del sito “Rifiuti e Bonifiche della Regione Puglia” www.rifiutiebonifica.puglia.it , la produzione di RSU nel 2011 si attesta a 217.947 t/a per ATO1 TA e 96.462 t/a per ATO 3 TA (mancano i dati di Avetrana e 7 mensilità di Monteiasi ), per un totale di 314.409 t/a.
La percentuale di RD (Raccolta Differenziata) si aggirano intorno al 15% per ATO 3 e intorno al 10% per ATO1. Nel totale la percentuale di RD della provincia è del 11,97%. Decisamente molto bassa, nonostante nel 2010, con delibera di giunta nr. 2989, la Regione Puglia avesse messo a disposizione dei comuni non capoluogo 23 milioni di euro per dare uno stimolo forte ai sistemi di raccolta nell’ottica di una differenziata spinta, all’interno di una serie di iniziative volte a migliorare il dato regionale.
Ma l’incapacità delle amministrazioni non è caratteristica di tutti i comuni. Infatti, Monteparano ha chiuso il 2011 con una percentuale di RD superiore al 77%. Questo è significativo, perchè ci indica che in un determinato territorio sono le amministrazioni le uniche responsabili di percentuali basse di RD e non, come a volte si sente dire, “l’inciviltà dei cittadini.” Che siano le amministrazioni a dare il primo “input” nella RD lo dimostra, ad esempio, anche il positivo dato di Rutigliano (BA) che in quattro mesi passa dal 14 al 78% di RD, diminuendo anche la produzione dei rifiuti, del 33%.

Tornando ai dati generali della provincia, la produzione totale di rifiuti si attesta a 314.409 t/a e se fosse rispettata la legge, almeno il 65% di questi rifiuti, pari a 204.365t/a, dovrebbero provenire dalle raccolte differenziate e quindi inviati a riciclo e recupero. Il restante 35%, pari a 110.044t/a, rappresenterebbe il residuo da smaltire.
Allo stato dei fatti della dura realtà, invece, il residuo è di circa 276.764t/a indirizzato a impianti per lo smaltimento tra cui anche gli inceneritori.
La capacità complessiva degli impianti adibiti all’incenerimento autorizzati in provincia di Taranto è pari a 233.000 t/a, che diventerebbero 333.000t/a se fosse concesso il raddoppio all’Appia Energy.

Tabella 5**

In conclusione, la provincia di Taranto avrebbe una capacità di incenerire rifiuti superiore alla produzione di rifiuti urbani. Per cui il raddoppio Appia Energy, rappresenterebbe ancora una volta, la condanna ad un destino provinciale che vede nello smaltimento di rifiuti prodotti in altre località, l’unico scenario di “sviluppo” possibile, con annessi tutti i rischi ambientali che ne conseguono.

Anomalia Massafrese

Apparentemente Massafra sembra un comune leggermente al di sopra della media provinciale di RD (ricordiamo media provinciale disastrosa). Sul sito “Rifiuti e Bonifiche della Regione Puglia” si attesta a una percentuale di RD nel 2011 pari al 18,56%… Sembrerebbe, nel marasma generale, un dato meno negativo. Ma esistono alcuni dati che dovrebbero destare particolare attenzione e che mai NESSUNO (Provincia, Regione Puglia e tanto meno le così dette “opposizioni” del governo dell’amministrazione locale) ha preso in considerazione in questi anni.

La media di produzione pro-capite di rifiuti nel 2011 si attesta al 49,84 kg a persona a Massafra, con punte mensili di 56,32 kg a persona nel marzo 2011, 61,76 kg a persona a luglio 2011 e 60,99 kg a persona nel settembre 2011. Generalmente, questo avviene in tutta la Puglia: sono i comuni più grandi ad avere maggior produzione pro-capite di rifiuti. Ma Massafra riesce a superare la produzione pro-capite di rifiuti del Comune di Taranto (47,56 kg a persona) pur essendo un comune inferiore come popolazione (di ben 1/6 rispetto al capoluogo) e come superficie su cui si estende la competenza comunale (circa poco più della metà rispetto a Taranto).
Ricordiamo che “prevenzione” (cioè la riduzione a monte della produzione di rifiuti) è la prima priorità stabilita dalle direttive europee. Questi dati ci indicano che Massafra, che ha il dato più alto di produzione di rifiuti pro-capite dell’intera Provincia, sta già sbagliando nella fase più importante che l’Europa indica (direttiva recepita dall’Italia).
Entrando nel merito, i mesi di marzo, luglio e settembre sono quelli con percentuali più alte di Raccolta Differenziata, arrivando addirittura al 30% di settembre. Allo stesso tempo, sono i mesi dove la produzione totale di rifiuti aumenta vertiginosamente, tant’è che Marzo ha circa 1/3 in più di rifiuti prodotti rispetto a Febbraio dello stesso anno, così come Settembre ha circa 1/3 in più rispetto ad Ottobre.
Come mai, la produzione di rifiuti è così alta?
Come mai nei mesi di produzione più alta di rifiuti, si hanno le maggiori percentuali di RD?
I conti non tornano…
Nel dettaglio si scopre il motivo, scaturito da errori che bonariamente possiamo definire “grossolani” del Comune di Massafra. Gli “inerti da C&D”, cioè i rifiuti provenienti da “Costruzioni e Demolizioni” sono stati conteggiati nelle percentuali di raccolta differenziata.
L’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), afferma chiaramente nei “Rapporti Rifiuti Urbani” che elabora ogni anno, come si calcola la percentuale di Raccolta Differenziata e quali sono le tipologie dei rifiuti da conteggiare, chiarendo nel rapporto 2011 che:

NB: non sono computati tra i rifiuti urbani e, pertanto, né al numeratore né al denominatore dell’equazione di calcolo della percentuale di RD, i rifiuti inerti, anche se derivanti da demolizioni in ambito domestico, in quanto rifiuti speciali ai sensi della normativa vigente.”

Non solo, secondo l’ISPRA : “…gli inerti da costruzione e demolizione, anche se derivanti da demolizioni in ambito domestico, in quanto esplicitamente annoverati tra i rifiuti speciali. Tali rifiuti sono quindi esclusi in toto dalla produzione dei rifiuti urbani.

Sulla base di quello che afferma l’ISPRA si può procedere al reale calcolo della raccolta differenziata a Massafra, togliendo gli “Inerti da C&D” dal conteggio dei Rifiuti Urbani per cui la vera percentuale di RD è di poco superiore a un “misero” 5%, cioè il 5,05%.

Stando a questo dato, il Comune sarebbe dovuto essere Commissariato in quanto comune pugliese che non riesce a varcare la soglia del 15% in materia di raccolta differenziata dei rifiuti.
A dir la verità, l’anomalia degli “inerti da C&D” è propria della Regione Puglia che presenta, nel sito di riferimento, questa tipologia di rifiuto come materiale differenziato. Ma seppur nell’anomalia generale, Massafra ne raccoglie una quantità enorme e difficilmente spiegabile, che rappresenta da sola circa 1/7 degli “inerti da C&D” raccolti dall’intera Regione Puglia.
Nella sezione del sito è riportato che questi rifiuti prodotti da Massafra sono “recuperati” dalla ditta Castelli srl, che a scanso di omonimie, la Castelli srl possiede un impianto di frantumazione con una capacità produttiva di 2000 mc/8h di agglomerati per calcestruzzo e aggregati bituminosi a Grottaglie – Loc. Caprarica.
Sarebbe interessante comprendere se il Comune “incassi” o “spenda” denaro per far recuperare alla Castelli srl gli inerti da C&D. E sarebbe interessante comprendere, nel caso in cui quest’operazione rappresenti una spesa per il Comune, se questa venga o meno scaricata sulla tariffa rifiuti che pagano i cittadini.

L’alternativa proposta: la strategia “Rifiuti Zero”

L’alternativa a Discariche e Inceneritori esiste e si chiama strategia “Rifiuti Zero” (Zero Waste) – idea partorita dal prof. Paul Connett.
“Rifiuti Zero” inteso come Riciclo Totale della materia che attualmente viene definita rifiuto, ma che in realtà rappresenta una risorsa se riciclata o recuperata correttamente.
Qualche hanno fa, quando si parlava di “Rifiuti Zero”, molti, a destra e a sinistra, storcevano il naso compresi alcuni che oggi si stanno “ri-credendo”… Anche se non lo ammetteranno mai!
Questa strategia viene perseguita da diversi comuni italiani e all’estero, persino dallo Stato della California. Nei comuni dove si persegue realmente “Rifiuti Zero”, l’obbiettivo è di arrivare, tramite le raccolte differenziate porta a porta, tramite lo studio e la riduzione progressiva del residuo, tramite soprattutto la riduzione a monte della produzione di rifiuti a maggior ragione di quelli non riciclabili, a creare un ciclo completo che si chiuda totalmente con il riutilizzo della materia prima/seconda e che quindi non crei più rifiuto. La strategia si ispira alla “Natura” che non produce rifiuti ma ricicla ogni cosa.
A Capannori (LU), “comune virtuoso” che ultimamente in alcune frazioni ha raggiunto il 90% di raccolta differenziata, credono realmente che quest’obbiettivo possa essere raggiunto per il 2020 e per questo è stato creato il primo centro “Rifiuti Zero”, un’attività che studia il residuo per capire come poterlo sostituire o modificare, nell’ottica del riciclo totale.
Ma non solo gli amministratori di Capannori hanno compreso l’importanza di questa strategia. Ad oggi sono numerosi i comuni italiani, amministrati da lungimiranti sindaci, assessori e consiglieri con la partecipazione attiva della cittadinanza, che stanno perseguendo quest’obbiettivo con risultati interessantissimi.
I vantaggi sono ambientali (minor inquinamento), economici (vendere materie prime/seconde rende meglio che pagare i costosi smaltimenti in discarica o inceneritori), occupazionali (maggior numero di lavoratori nella raccolta differenziata), energetici (consumo minore di energia per produrre nuovi materiali).
A scanso di equivoci, “Rifiuti Zero” non considera l’incenerimento come parte della strategia. Purtroppo ci sono alcuni personaggi a volte amministratori, che continuano a considerare gli inceneritori come soluzione ideale, ma probabilmente molto presto, questi cederanno il passo e verranno ricordati dalle popolazioni come pessimi elementi dell’amministrazione pubblica.
Ovviamente tutto ciò potrà avvenire solo se le popolazioni smetteranno di avere atteggiamenti di sudditanza e si comporteranno da cittadini attivi e partecipi alla vita della “Cosa Pubblica”.

Note:

*: NOTA BENE:

Ecodì srl: la VIA favorevole è stata rilasciata dalla Regione Puglia con determina 13/01/2012 pubblicata sul Burp N21 del 09/02/2012, dopo la comunicazione del servizio Ecologia della Provincia di Taranto che precisava la necessità di procedere all’acquisizione del parere favorevole di compatibilità ambientale, propedeutico alla definizione della procedura di A.I.A. che è di competenza della Provincia.

Cementir Italia srl controllata dalla Cementir Holding Spa: attualmente in fase di costruzione, è un cementificio che potrà bruciare anche CDR/CSS. La Regione Puglia destina 20 milioni di euro a “fondo perduto” per contribuire alla sua realizzazione. La VIA favorevole è stata rilasciata dalla Provincia di Taranto con determinazione N° 105 del 13/09/2011 Dirigente del Servizio Ecologia ed Ambiente Provincia TA BURP – Bol. n. 175 del 10-11-2011 e che con nota prot. 117542 del 29/07/2011, acclarata al prot. prov.le n. 52161/A del 10.08.2011, il Comune di Taranto inviava il proprio parere favorevole.

Impianto di incenerimento Amiu Spa: L’impianto è stato autorizzato dal decreto n° 124 del Commissario delegato all’emergenza rifiuti in Puglia (Vendola), con Decreto n.l24/CD/R del 22 maggio 2006, che ha rilasciato l’autorizzazione definitiva all’esercizio. (Scheda tecnica inceneritore pubblicata sul sito AMIU Spa nell’anno 2011).

Appia Energy spa: La Centrale esistente opera in forza della Determina Dirigenziale n. 6 del 18/01/2008 rilasciata dalla Provincia di Taranto – Settore Ecologia Ambiente; attualmente è in fase di procedura VIA la richiesta di raddoppio della linea, per cui ad oggi, non è autorizzata!

**: per la produzione rifiuti fonte dati: Rifiuti e Bonifiche – Regione Puglia

 

per Cementir fonte dati: VIA favorevole -Determinazione N° 105 del 13/09/2011 Dirigente del Servizio Ecologia ed

Ambiente Provincia T BURP – Bol. n. 175 del 10-11-2011,

per Amiu Impianto di incenerimento fonte dati: SIA febbraio 2010

per Ecodì fonte dati: VIA favorevole – determina 13/01/2012 -Burp N21_09_02_12, E’ autorizzata la realizzazione di un nuovo inceneritore. che affiancherà quello esistente, comportando un aumento dei quantitativi di rifiuti pericolosi e non pericolosi in ingresso all’impianto. I due nuovi forni rotanti sono indicati con ROT 450 e ROT 600; l’impianto esistente operava come ‘Impianto di stoccaggio e inceneritore di rifiuti ospedalieri”, mentre dal quadro di riferimento progettuale sembrerebbe emergere una richiesta di incremento dei codici CER relativi ai rifiuti da prodotti agricoli, scarti alimentari, urbani da attività commerciale e da raccolta differenziata e da cascamì di giardini.

per Appia Energy esistente ed eventuale raddoppio, fonte dati: SIA in oggetto

elaborazione dati di Giovanni Vianello