di Massimiliano Martucci
Parlare di campagna elettorale in campagna elettorale è un rischio perché, anche non volendo, ogni parola scritta o pronunciata può essere strumentalizzata. Eppure ci vorrebbe un’analisi accurata di come la campagna elettorale, come strategia di comunicazione invasiva e pervasiva, entri di forza nelle vite dei cittadini anche se questi non vogliono, cioè di come si è quasi costretti a subire la martellante pubblicità che si fanno i candidati. Basta prendere un pomeriggio di una domenica di fine aprile a Martina Franca, comune al voto, e ci si rende conto che forse scampo davvero non c’è. Si scende di casa e davanti allo spazio dedicato ai manifesti c’è un furgone ricoperto di manifesti parcheggiato lì davanti. Si sale in macchina per andare ad un appuntamento e il tratto di strada viene percorso a 20 km orari perché davanti a noi c’è una famigerata vela. Appena svoltato l’angolo, bisogna inchiodare perché passa una macchina con a bordo dei bambini che stringevano in mano manifestini di un altro candidato.
Un’odissea quasi, ma che non serve praticamente a nulla perché in un pomeriggio di sole a Martina Franca per strada non c’è praticamente nessuno. Soldi e fatica sprecati, quasi, a dimostrare che la potenza di fuoco dei candidati viene sprecata attraverso azioni praticamente inutili. Il rapporto tra investimento e voti non sarà mai all’attivo, proprio perché dietro queste dinamiche spesso manca davvero una mente capace di immaginare, realizzare e gestire la comunicazione politica.
Ci sono le eccezioni, come i candidati martinesi che hanno invaso Speziale, frazione di Fasano, in previsione di un massiccio esodo marino dei propri concittadini. Questa è strategia, questa è lungimiranza, nonostante il fatto che è stata un’azione scorretta e controproducente, alla fine, perché i cittadini che si erano presi un giorno di relax per andare a mare si sono trovati loro malgrado ancora coinvolti in qualcosa che, a conti fatti, non li riguarda.
E la campagna elettorale altro non è che lo specchio di un sistema politico finito, in metastasi, perché non è volta al coinvolgimento attivo dei cittadini ma al loro condizionamento. Più manifesti di un candidato ci sono in giro, più dimostra di avere denaro e quindi potere.
Questa campagna elettorale, francamente, ci ha deluso tantissimo, perché nell’era in cui i media sono diventati pervasivi e interattivi, i maggiori investimenti sono stati fatti in tattiche che andavano bene 100 anni fa, badando poco a riuscire a trovare la giusta maniera di engagement che avrebbe trasformato il semplice elettore in sostenitore e quindi in portatore di messaggio. Le vele e i manifesti non costruiscono nodi di rete ma, quasi a somiglianza della loro forma fisica di “muri”, costruiscono barriere tra la politica attiva e la passività dei cittadini. Una barriera che rimbalza ogni voglia di partecipazione, una volontà molto flebile, ma che inizia a manifestarsi, per cui i cittadini non potendo interagire, non solo dicendo la loro, sperando che possa essere presa in considerazione, si rinchiudono i circoli privati, capannelli di confabulatori e si scambiano i “santini”, commentando facce e storie, sfogando il desiderio di esserci con un surrogato estetico.
E la città invasa da manifesti, vele, furgoni addobbati, santini sparsi per terra è la realizzazione del paradosso di un sistema che dice il contrario di quello che fa.