di Alessandro Leogrande
Alle ultime elezioni provinciali, a Taranto è accaduto un fatto surreale. Al ballottaggio, un po’ come in tutta Italia, sono andati un candidato del Pd (Gianni Florido, presidente uscente) e uno del Pdl (Domenico Rana, il presidente che lo aveva preceduto). A guardarla in superficie si direbbe una chiara applicazione del principio dell’alternanza, in realtà il vero vincitore delle elezioni è Giancarlo Cito, l’ex sindaco degli anni 90.
Ex picchiatore fascista ossessionato dalle arti marziali, Cito era diventato un telepredicatore razzista e forcaiolo. Usando la propria emittente privata come una gogna politica (AT6, Antenna Taranto 6; poi divenuta Super 7) aveva creato un movimento meridional-leghista (AT6 – Lega d’azione meridionale, i nomi non dimostrano una spiccata fantasia) e aveva dominato la scena politica della città industriale che un tempo votava Pci. Cito si vantava, già 15 anni fa, di essere stato il primo sindaco a dotare di manganelli i propri vigili urbani, e a respingere con le proprie mani gli immigrati irregolari.
Pareva inarrestabile, ma fu arrestato dai «soliti magistrati corrotti» che lo hanno condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.
PENA SCONTATA Finisce di scontare la sua pena nel marzo del 2007. Sembra un uomo politicamente finito, eppure la prima
cosa che decide di fare è candidarsi alle elezioni amministrative del maggio successivo, le prime dopo il pauroso dissesto finanziario (oltre 900 milioni di euro di buco di bilancio) causato dall’amministrazione di centrodestra. Quando scopre che in base al T.U. degli enti locali non può candidarsi, ha un’idea geniale: candida il figlio Mario in sua vece. Se lo porta a presso come un guardaspalle non facendogli proferire una sola parola, e rimessa in sesto la propria emittente urla ai quattro venti: “Vota Cito”. Alla fine sfiora il ballottaggio, intercettando i voti dispersi della destra berlusconiana. Alle ultime elezioni, Cito ha candidato nuovamente il figlio Mario nella lista di Lombardo (per le europee) e ha rispolverato il simbolo AT6 per le provinciali (candidando, tra gli altri, il solito Mario e l’altra figlia, Antonella) all’interno di un eterogeneo terzo polo in cui sono confluiti anche l’Udc e Io Sud, il partitino di Adriana Poli Bortone. Poi siè piazzato davanti alle telecamere.
Tra spot, comizi e minacce varie, la piazza catodica si è sostituita alle piazze reali, divenendo l’unica forma di comunicazione politica in una città sfrangiata e in profonda crisi, stretta tra l’inquinamento alle stelle, i tumori in crescita, e la cassaintegrazione che si fa sistema.
IL TERREMOTO Il costante filo-diretto con gli elettori ha infiammato i telefoni della piccola emittente famigliare, intercettando il malessere di periferia e lo sgretolamento del ceto medio. Morale della favola? Cito esce dalle urne con il 29% dei consensi cittadini (e toccando il 40% in alcune periferie). In città, il Pd si è fermato al 14%, il Pdl al 12%. È un terremoto: se si fosse votato per il comune, Giancarlo Cito (tramite il Mario prestanome) sarebbe probabilmente di nuovo sindaco.
Il paradosso è che Taranto è un enclave, l’unico caso italiano di perdurante leghismo cittadino che non riesce a sfondare al di là delle proprie periferie: nei paesi che distano solo pochi chilometri, AT6 non supera il5-6%dei consensi, per attestarsi – su scala provinciale – sul 10%.
L’ULTIMO MIGLIO In vista del ballottaggio, il terzo polo si è spezzato. Udc e Poli Bortone appoggeranno il candidato del Pd.
Fitto (come in passato già fece Tatarella) ha deciso invece di sdoganare il populista Cito, accettando i suoi voti a sostegno di Rana, e tacitando l’opposizione di una parte del Pdl. La vittoria ora si giocherà sul filo del rasoio.Mala città diversa da tutte le altre, che sorge tra il mare e l’Ilva, rimane seduta su una bomba pronta a deflagrare alle prossime comunali. Si parte dal 29%.
* Articolo comparso su l’Unità il 21/06/2009