Mia cara Nina,
ti scrivo in questa gelida notte africana che tutto intorno tace. Le carcasse delle macchine, il deserto e gli altri camerati. Un silenzio assordante, amore mio, che preme sulle tempie come le sbarre di una prigione. Non so neanch’io perché lo faccio: questa – come tutte le altre lettere che ti ho scritto fino ad oggi – probabilmente non riuscirò mai a spedirtela e forse neanche a leggertela. Non ho paura, Nina: avevamo messo in conto tutto questo quando siamo partiti; mi ricordo ancora come fosse questa mattina quando ti dissi “mi arruolo, parto… c’è da combattere e non posso sottrarmi… non per la Patria, ma per il mio onore.” E tu alzasti le spalle, ormai rassegnata alle bizzarie del tuo piccolo uomo, e compatendomi mi dicesti “Tornerai come tornano gli uomini quando sono stanchi di giocare…” e andasti a lavorare in orto, come ogni mattina.
Avevi ragione, Nina, agli uomini basta giocare per sentirsi liberi e potenti. E il gioco vogliono che sia una cosa seria. E così noi ci siamo preparati: borracce, fucili, qualche mappa, una vecchia jeep e siamo andati. Senza avvertire nessuno, quasi la guerra fosse un nostro fatto personale, quasi dovessimo combatterla (e magari vincerla) da soli. Avevamo anche la radio e ci dicevamo: “sempre avanti finché non si intercettano i segnali del fronte”. Qualche piccolo combattimento l’abbiamo anche affrontato… non è andata poi così male e nei villaggi da dove passavano, in questa lontana regione, la gente iniziava a riconoscerci: qualcuno aveva parlato di noi prima che arrivassimo. Non i capi, questo è certo. Però a noi quel poco di affetto ci bastava e credevamo che basandoci su quello avremmo potuto mettere su persino una brigata. Parlavamo soprattutto di questo le sere davanti al fuoco, stesi ciascuno sulla propria branda. Una grande brigata in grado di far tremare il nemico e sperare le popolazioni oppresse. Ma ogni volta che l’immaginazione prendeva il volo a raffigurarsi marce trionfali lungo i grandi boulevard della capitale secca come una raffica di mitra arrivava sempre la stessa domanda: “ma come si fa un’armata senza Generale?”
Vedi, Nina mia, in una guerra il Generale è importante; perché certo, noi abbiamo volontà e sappiamo anche sparare piuttosto bene… e poi abbiamo piani d’attacco e di ritirata, munizioni che affondano nelle carni del nemico. Ma senza Generale, amore mio, la guerra resta un gioco e uno dopo un po’ si stanca e gli viene anche nostalgia di casa.
Una notte però, mentre discutevamo di questo, la radio improvvisamente iniziò a gracchiare. Saltammo tutti in piedi quasi fosse stato il boato di una bomba. Il segnale era molto debole e il messaggio poco chiaro, ma qualcosa la si poteva percepire… “Uomini – diceva la voce roca dell’apparecchio – uomini, vi parlo a nome del Generale…” Quando sentimmo queste parole le nostre orecchie sembrarono volersi fiondare addosso al megafono; nessuno di noi aveva la forza di guardare l’altro ma tutti sapevamo esattamente cosa stava pensando il vicino… “il Generale sta valutando se sferrare l’attacco finale… massima allerta…” La comunicazione si interruppe così. Sollevammo rapidi gli sguardi; prendemmo a fissarci interrogativi. Poi io urlai “camerati, avete sentito?! Si prepara l’attacco finale! Dobbiamo prepararci, studiare i piani, le mappe”… “Valutando”, mi interruppe Pier. “Valutando cosa?”. “Ha detto valutando… il Generale sta valutando…” “Va bene, ma se hanno lanciato il messaggio vuol dire che è quasi certo, magari è una parola in codice, una tattica per depistare il nemico…” “Ha detto valutando…”
Avevano ragione, la radio aveva proprio detto “valutando”. Vedi, Nina, non c’è niente di peggio per un soldato che l’incertezza. Peggio della pioggia durante una manovra, peggio di un accerchiamento, peggio persino dei bombardamenti aerei… L’incertezza demotiva le truppe, le rende nervose e talvolta le spinge a gesti disperati e inutili. Peggio dell’incertezza c’è forse solo la diserzione, ma non era il nostro caso, amore mio: piuttosto che disertare ci saremmo fatti macellare come bestie.
E così sono passati i giorni; la radio ha continuato a dare messaggi confusi e noi abbiamo arrestato la nostra avanzata in attesa di ordini precisi. Oggi a qualcuno è persino parso di sentire la viva voce del Generale dire “annullata offensiva, ma la guerra continua”. Non so se crederci, Nina: a volte il deserto e la noia provocano allucinazioni. Ma vedi, mia cara, se io potessi avere il Generale di fronte, se potessi parlagli come a uno dei mie camerati, come a un compagno di lotta e non a un superiore, io avrei da dirgli questo… Signor Generale, sì lo so che la guerra è dura, che rischiamo di perdere tutto – soprattutto lei che sarebbe il primo a cadere per mano del nemico… ma vede, ci sono momenti in cui la ritirata può voler dire la disfatta: gli uomini, stanchi, prendono la via di casa, il nemico riesce a portarne in molti dalla sua parte, la stessa integrità degli ufficiali comincia a venir meno. In breve tutto si disfa e inizia ad insinuarsi l’idea che forse il dominio del nemico non è il peggio che ci possa capitare. La vita continua e tanto meglio per i vivi. Vede, Generale, noi non siamo partiti per vincere, ma almeno per difendere le posizioni, per dire che non ci saremmo arresi neanche se ci avessero scaricato contro tutto il loro arsenale, neanche se avessero provato a comprarci con tutto il loro oro. E anche se non riuscissimo a portare a termine la grande offensiva, signor Generale, potremmo comunque stabilizzare la posizione e da lì sferrare in seguito nuovi attacchi in profondità. In attesa della prossima grande offensiva. Sa quanta esperienza farebbe fare ai suoi uomini questa strategia? Se essi al momento sono ancora impreparati, crescerebbero, diventerebbero soldati veri, pronti ad affrontare i più ostici campi di battaglia. Ma se non li si mette alla prova tutto questo non ci sarà. Non badi a chi le consiglia di passare alla guerra di posizione, di logorare il nemico ai fianchi o magari dall’interno con spie o “quinte colonne”. Questa è la tattica che le suggeriscono i vecchi generali già bruciati dalla sconfitta, ma ricordi che ora il nemico è in difficoltà, si possono trovare rinforzi per strada fra le truppe sbandate e presso la stessa popolazione vi sono molti volontari disposti a partire. E poi lei è un grande Generale, non si sottovaluti! Oh… perdoni sa, mi son fatto prendere troppo dall’entusiasmo. E’ che in questa manovra io e i miei camerati ci crediamo: potremmo anche perdere, ma vogliamo almeno misurarci faccia a faccia col nemico, sul fronte, fino all’ultima pallottola…
Ecco Nina bella, non so perché queste cose le vengo a dire a te che fra un paio d’ore sarai di nuovo in piedi per tornare in orto. Probabilmente tu mi risponderesti “Gli uomini hanno più paura di vincere che di perdere” e chissà, forse avresti ragione. Ma un momento… la radio ha ripreso a gracchiare. Perdonami amore, vado a sentire se ci sono novità. Ti aggiorno presto.
Tuo,
Santo