di Massimiliano Martucci
Ammesso e non concesso che sia possibile (e scientificamente interessante) definire le radici di un popolo, per quanto mi riguarda utilizzerei le storie popolari. Esse sono, secondo me, la struttura portante sulla quale vengono innestati tutti i tipi di narrazione. Esse custodiscono e diffondono archetipi letterari e antropologici che diventano la base portante di comportamenti, schemi di pensiero. Le storie popolari potrebbero essere considerate l’alfabeto dell’immaginario.
Se prendiamo una delle decine di storie popolari che sono ambientate in Puglia o che si dice abbiano per protagonista un pugliese, la situazione di partenza di solito è drammatica, il protagonista è qualcuno di troppo simpatico e troppo furbo per lavorare e, ad un certo punto della storia, capita la grossa occasione di un deus ex-machina che riconosce particolari doti al protagonista suddetto fino ad elevarlo dalla sua posizione. Il risultato è che si tramanda di generazione in generazione l’idea che sia possibile vivere alla grande senza fare nulla di particolare. Un’idea che si radica profondamente negli schemi mentali e fa germogliare frutti strani, a volte pericolosi. Uno di questi, per esempio, è il fatto che la Lega Nord abbia costruito il suo consenso sull’archetipo del meridionale scansafatiche, sul fatto che al Sud si ruba, che gli amministratori sono incompetenti, facendo finta di non sapere che la fortuna dei bauscia milanesi è stata fatta col sudore e con il sangue dei meridionali partiti in massa per le fabbriche del nord. Eppure, noi che lo sappiamo, a volte ci dimentichiamo della differenza tra la realtà e quanto viene raccontato. Sappiamo per esempio che ci sono moltissime amministrazioni corrotte, che tantissimi politici fanno solo i propri interessi, ma che ci sono altrettante persone che svolgono i proprio lavoro con onestà e passione. Il problema vero è riconoscere gli uni dagli altri e, soprattutto, non lasciarsi tentare dalla faciloneria intellettuale che fa di tutta l’erba un fascio, contribuendo a propagandare realtà falsate e miti pericolosi.
Tutta questa premessa per raccontare che qualche giorno fa, sul blog del Fatto Quotidiano di Iside Gjergji, è comparso il post Dei bandi pubblici truccati nella “Puglia migliore” in cui si denunciava l’ennesimo concorso pubblico col trucco, l’ennesima raccomandazione, l’ennesima dimostrazione che la “Puglia migliore” è stata solo un miraggio elettorale. Il post inizia con tre righe di commento in cui si definiscono le istituzioni pugliesi “giungla proto-mafiosa” e poi prosegue con la pubblicazione per intero di una lettera di EP, una giovane intellettuale pugliese, che denuncia l’ennesimo sogno infranto. In sintesi la storia è quella di un concorso all’Università di Foggia al quale l’autrice partecipa ma perde perché al suo posto viene preferita un’altra ragazza. La domanda, legittima, che si pone EP è come mai, ad una preparazione di livello internazionale, si preferisce una preparazione magari un po’ più mediocre. Quindi giù a scrivere di cotte e di crude sulla situazione pugliese, arrivando a dichiarare apertamente il fallimento di un sogno. Tralasciamo l’analisi dello stile della lettera, da cui traspare che evidentemente è stata scritta dopo l’ennesima delusione, una penna mossa dalla rabbia, più che dalla ragione, e arriviamo al nocciolo della questione: la vera natura del racconto in questione.
In primo luogo possiamo chiaramente riconoscere il topos della amministrazione corrotta, l’idea del tradimento della politica che seduce e non mantiene le promesse, il fatto che il sogno vendoliano si infrange miseramente sugli scogli della corruzione e del qualunquismo. Una giovane intellettuale torna a Bari per partecipare al miglioramento del suo territorio e viene tragicamente, sistematicamente, delusa. Una storia come tante, sentita mille volte, spesso al bar, in piazza, al pub con gli amici. Frasi tipo “Vendola è uguale a tutti gli altri”, oppure ancora peggio, “Vendola sei una merda” come gridava un ragazzetto durante il corteo di Monopoli di sabato. Uno schema narrativo di facile successo, perché è ormai consolidato nel nostro immaginario il ruolo di antagonista degli amministratori, dei politici, di chi ci governa. Non c’è bisogno di utilizzare aggettivi: basta dire che qualcuno è “consigliere comunale” per generare automaticamente nei suoi confronti un giudizio negativo. La lettera pubblicata dal Fatto Quotidiano potrebbe essere ambientata ovunque, in qualsiasi luogo nel globo terraqueo per trovare il consenso che cerca. Chi metterebbe in dubbio il fatto che la pubblica amministrazione è corrotta? Chi metterebbe in dubbio che ai meritevoli vengono preferiti i raccomandati?
Oltretutto la lettera si inserisce nel filone della critica a Vendola sul tradimento della rivoluzione gentile, del sogno del cambiamento, del fatto che abbia fatto dei compromessi ingiustificabili. Una critica che viene da sinistra al governatore più di sinistra d’Italia, un sogno infranto per migliaia di giovani.
Eppure la lettera del Fatto Quotidiano squarcia un impietoso velo su un movimento di pensiero, un’idea che si moltiplica nell’immaginario che riguarda il tradimento della rivoluzione. Lo studente preparato che torna in Puglia sperando che, essendo di sinistra ed avendo una laurea, troverà il giusto posto nel mondo, grazie alla vittoria di Nichi il gentile, oppure l’estroso artista che sperava che la Puglia migliore significasse finalmente lavoro a go go. Eppure, se il tradimento c’è stato, non è stato sicuramente di una promessa che nessuno ci aveva fatto. Ci vengono in mente le decine di progetti finanziati dai Principi Attivi, aziende nate dal nulla e che ora offrono lavoro a chi lo cerca. Eppure molti per “Puglia migliore” hanno inteso una rivincita personale, la possibilità di mangiare al posto di coloro che finora l’hanno fatto, lavoro garantito, mutamento radicale dei costumi. Un equivoco di fondo, una confusione generata in parte dalla difficile condizione in cui si trovano decine di migliaia di giovani e in parte dall’euforia, della immaginaria portata della duplice vittoria vendoliana. Vendola è stato considerato il deus ex-machina che solleva dalla sua condizione il contadino scaltro, il principe azzurro che avrebbe sposato la bellissima popolana, il re senza figli che avrebbe dato il trono al più intelligente dei suoi consiglieri. Una carica sovraumana che ha accentuato gli effetti della sua politica, a volte realmente deludente ma che non può assumersi la responsabilità di ogni tipo di fallimento, sia personale che sociale.
Basta leggere la lettera fino in fondo, fino a quando la giovane intellettuale ammette di non essere in possesso dei requisiti richiesti dal bando e che, effettivamente, l’Università di Foggia non c’entra nulla con la Regione Puglia. Vendola e la sua “primavera” è ormai il capro espiatorio, ma proprio questo è la dimostrazione che, probabilmente, il suo sogno è ormai irrimediabilmente in declino.