di Vincenzo Vestita
Ci sono operazioni che un operaio dell’ ILVA deve compiere, per sua scelta, in modo rapido, tutto d’un fiato e con chirurgica precisione. Fare la pipì o la popò nei bagni in fabbrica richiede infatti una serie di qualità e abilità, fisiche e mentali, che dovrebbero entrare di diritto tra quelle richieste contestualmente al colloquio di assunzione, attraverso una prova pratica annessa, di difficoltà crescente, che comprenda nell’ordine:
- centrare lo scarico della turca/orinatoio;
- individuare e premere/tirare il tasto/cordicella dello scarico dell’acqua (dopo aver espletato i propri bisogni, non è una precisazione superflua);
- capacità di discernimento tra carta igienica (si decompone in acqua velocemente) e carta lavamani (non si decompone in acqua), la cui differenza di grandezza del rotolo 1:10 non ha lo stesso significato pubblicizzato dalla reclame del pennello cinghiale (ricordate? “per dipingere una parete grande ci vuole un pennello grande”, ora fate voi le sostituzioni con i termini che ritenete più appropriati all’argomento, non è difficile),
e così discorrendo. Se uniamo l’imperizia e la superficialità (oramai radicata culturalmente non solo in fabbrica purtroppo) nell’utilizzo di qualcosa “in comune” di una parte consistente e non assolutamente minoritaria degli utenti, al fatto che i bagni dell’ ILVA non siano propriamente la quintessenza della pulizia e della perfetta funzionalità, il quadro che ne scaturisce dovrebbe essere abbastanza chiaro anche a coloro non dotati di una fervida immaginazione. Pare addirittura che si sia creato un sistema clandestino di avvisi veicolati attraverso brevi squilli telefonici tra l’addetto alla pulizia ed alcuni lavoratori, in modo da poter utilizzare il bagno appena pulito (io non c’entro, lo giuro!). Ora, se volessi veramente disgustarvi, potrei raccontarvi cose che voi umani non immaginate nemmeno, ma siccome Siderlandia è un blog letto da persone perbene soprassiedo. Vi basti sapere che tutte le leggende che gravitano intorno ai bagni pubblici molto frequentati sono perfettamente valide in ILVA, con alcune differenze sostanziali e quel “quid” in più.
Vorrei soffermarmi in particolare sull’aspetto “letterario” di una toilette dell’ ILVA, ossia tutta quella serie di scritte e slogan che si trovano incise, a imperitura memoria, sulle porte interne delle turche. A differenza dei bagni, ad esempio, degli autogrill, in ILVA sono praticamente assenti le profferte di prestazioni sessuali al limite dello scibile umano (per ovvie ragioni); il tutto acquista una dimensione che mi spingo a definire “democratica”, in quanto i poeti operai danno sfogo al loro estro con frasi di affetto rivolte in parte all’azienda (“ILVA=41 bis”, “Coglione, che cazzo ci stai a fare in ILVA”) e soprattutto ai superiori diretti con cui, per questioni varie, probabilmente hanno avuto accese discussioni troncate giocoforza una volta raggiunto un limite considerato invalicabile. Con te all’interno chiuso a chiave e la fabbrica fuori da quella porta, il fido pennarello, unito alla matematica sicurezza che il destinatario del messaggio prima o poi passerà di lì (che bella la democrazia!), permette alla mente di aprirsi a nuove possibilità, cosicché, di colpo, l’ “amore” diventa un apostrofo nero tra le parole “t” e “fazz for”.
La settimana appena trascorsa ha in qualche modo portato una “ventata” di novità nel bagno al terzo piano del mio reparto, che mi ha spinto a scrivere questo trattato semi-serio sulle “ritirate” dell’ILVA. Ben tre fogli formato A4, attaccati in orizzontale, sono improvvisamente comparsi sulla porta d’entrata, sopra l’orinatoio e sulla porta esterna della turca, recanti l’inquietante invito a “NON FUMARE NEL CESSO”. Badate bene, non un foglio scritto di pugno e due fotocopie: tre fogli scritti da un solo pugno, come ho potuto constatare con estrema chiarezza da un primo ma accurato esame calligrafico. Questa encomiabile pervicacia dello sconosciuto collega mi ha immediatamente portato alla memoria quando, ai tempi del primo liceo, preferivo evitare di andare nei bagni della scuola così simili ad uno scenario di nebbia in valpadana poiché, da vera pecora nera, ero l’unico a cui il fumo di sigaretta dava (e continua a dare) un tremendo fastidio – e anche per non dovermi incredibilmente giustificare poi a casa del fatto di puzzare come un posacenere ambulante. Con il pensiero rivolto in maniera ossessiva a quei cartelli che, pur nella loro correttezza concettuale, grammaticale e sintattica, si ostinavano a volermi suggerire che qualcosa non andava, sono andato ad espletare i miei brevi bisogni fisiologici. Ma quando mi sono girato su me stesso per andare a lavarmi le mani nel piccolo ambiente attiguo, sono stato folgorato come San Paolo sulla via di Damasco. La finestra panoramica vista cokerie (distanti meno di 100 metri) era spalancata! Mi sono affrettato a chiuderla con attenzione, assicurandomi che non ci fossero spifferi e ho iniziato a lavarmi accuratamente le mani. D’un tratto un collega, che non avevo mai visto prima di quel momento, entra nel bagno, guarda la finestra chiusa e poi rivolge il suo sguardo sospettoso verso di me, intento a sciacquarmi le mani: “Combà, l’è ghius tu ‘a fnestr?” Io, gentilmente, gli rispondo che si!, la finestra l’avevo appena chiusa io e lui, leggermente stizzito, nel mentre riapriva il doppio finestrone, in risposta mi fa: “No ‘a ste sint ‘a puzz d’ fum?”. In quel momento ho davvero desiderato ardentemente di avere un modello di Marescotti tascabile col suo analizzatore IPA portatile, in modo da poter dimostrare al collega un po’ scorbutico che aveva intrapreso la sua rispettabilissima e giustissima crociata antifumo, attraverso le pacate rilevazioni e i precisi calcoli del buon Alessandro, che una semplice pisciatina con sgrullata e seguente lavata di mani, a meno di 100 metri dalla cokeria, in condizioni di vento favorevole (o sfavorevole a seconda del punto di vista), senza l’utilizzo delle maschere appropriate, probabilmente equivarrebbe al fumo diretto di una o due Marlboro rosse.
“Hai perfettamente ragione compà! Anche a me il fumo da fastidio, figurati!” gli ho detto allontanandomi velocemente con un moonwalker…