di Salvatore Romeo (’84)
Cosa sta succedendo in Sicilia? Da giorni si rincorrono notizie confuse e contraddittorie. C’è chi, sull’onda dell’entusiasmo per una protesta che per quasi una settimana ha bloccato l’isola, si lascia andare definendola “rivoluzione” e chi, invece, vi scorge pericolose infiltrazioni di matrice mafiosa e persino fascista. Il web amplifica il dibattito, consentendo anche a chi vive lontanissimo dal teatro degli avvenimenti di intervenire come il più informato dei testimoni. Ed ecco così fioccare rimandi a “post” e “link”, che a loro volta rimandano ad altre fonti di seconda e terza (forse anche quarta) mano. E’ in momenti come questi che internet – e i social network in particolare – si rivela come un vertiginoso caleidoscopio di opinioni, che levitano sopra i fatti come nuvole gravide di poggia, pronte a scaricare su di essi lampi e grandine.
Intanto la moda dei “forconi” cerca di estendersi anche nelle altre regioni di Italia, sfruttando proprio il web. Ma di cosa stiamo parlando? Che sta succedendo davvero in Sicilia? Se si vuol cercare di capire davvero qualcosa da Taranto è per forza con lui che bisogna andare a parlare… Rosario Rappa, attualmente segretario provinciale della FIOM, palermitano. Già segretario regionale del PRC siciliano, Rappa conosce bene le dinamiche della sua terra e sulla protesta ha un’idea abbastanza chiara. “Il movimento è nato dalle grandi compagnie di trasporto e da chi commercializza i prodotti agricoli – il mercato ortofrutticolo di Vittoria, tanto per intenderci. Attorno vi si sono posti soggetti legati all’esperienza Lombardo, che hanno fatto riemergere una delle costanti fondamentali della storia siciliana: l’autonomismo.” Ma la protesta non è rimasta circoscritta alle categorie che per prima l’avevano sostenuta: come un cratere aperto ha finito per inghiottire le molte situazioni di disagio che l’isola vive. “Via via si sono aggregati pezzi di contadini che già da un paio d’anni si muovevano (penso a tutto il gruppo che ruota attorno ad “Altra agricoltura”, prevalentemente piccoli produttori che stanno attraversando una crisi gravissima). Intorno a queste rivendicazioni si sono poi intrecciati pezzi di movimento studentesco “antagonista” (centri sociali), ma anche pezzi di Forza Nuova, che ha radici solide in particolare a Catania.” E la mafia… “ In Sicilia nulla succede senza che la Mafia non c’entri. Ma questo non vale solo – come ha denunciato Lo Bello [presidente di Confindustria Sicilia, ndr], che rispetto – quando ci sono i blocchi stradali. Quegli stessi trasportatori che fanno blocco in realtà sono infatti gli stessi che servono le imprese siciliane: non si può dire che siano «in odor di mafia» se protestano e «persone oneste» se non creano disturbo”.
Una “miscela esplosiva”, la definisce Rappa, che legge quello che sta accadendo attraverso due categorie politico-culturali profondamente intrecciate nella storia siciliana: il “ribellismo” e il “separatismo”. “E’ una tradizione che la Sicilia coltiva da fine Ottocento, dall’esperienza dei Fasci siciliani: quando si raggiunge il livello di insopportabilità scatta il meccanismo del ribellismo. Il punto vero è che c’è una piattaforma equivoca, in cui ognuno rivendica il suo pezzo e tutti fanno pressione su Lombardo in funzione anti-Roma – una logica tipica della Sicilia.” Ed ecco che subentra il secondo elemento: “Il tema è sempre quello di chi ritiene che, dai Borbone in avanti, siamo stati colonizzati. In questo schema rientra lo stesso Salvatore Giuliano e il movimento separatista dell’immediato dopoguerra. Questo è un elemento culturale profondamente radicato in Sicilia: il problema sentito da molti è staccarsi dall’Italia. Si tenga conto che lo stesso Lombardo, incontrando i manifestanti, ha detto che sostanzialmente hanno ragione, ma che il problema lo deve risolvere il governo nazionale.”
Un elemento culturale dunque – il ribellismo intrecciato col separatismo – che fa da detonatore a una situazione socio-economica giunta “al limite dell’insopportabilità”. Eppure ci chiediamo se quello stesso malessere avrebbe potuto essere intercettato da altre forze politiche, con esiti magari più costruttivi. Un precedente storico in fondo ci sarebbe: il movimento degli abusivi dei primi anni ’80. “Il movimento degli abusivi – spiega Rappa – fu capeggiato per una lunga fase dal sindaco di Vittoria, Monello, che poi divenne deputato del PCI. Proponeva lo schema dell’«abusivismo di necessità»: fu un moto di ribellione di tutti gli emigrati che, ritornati in Sicilia, avevano costruito case abusive nelle campagne. Si trattò di un movimento di popolo che fu intercettato dal PCI, anche perché questo era un grande partito che aveva le antenne sul territorio, per cui captò e si pose alla testa di un movimento che aveva anche delle contraddizioni (al suo interno c’erano anche speculatori). Non sto esaltando quell’esperienza; sto dicendo che comunque la protesta allora fu governata da un partito.”
Già, le “antenne sul territorio”… “Essendo fuori non c’è la possibilità di interloquire.”, dice Rappa. E d’altra parte le stesse componenti sociali cui la sinistra siciliana era più legata sono oggi molto più deboli di un tempo: con la chiusura di Termini Imerese e la più vasta “desertificazione industriale” che ha interessato l’isola nell’ultimo ventennio alla sinistra pare sia venuto meno il mare nel quale aveva nuotato fino a quel momento. Anche nei poli industriali ancora attivi – Priolo, Gela – la debolezza del movimento operaio di fronte alla protesta è apparsa in tutta la sua drammaticità: “non c’è stato né un incontro né un’intesa fra operai e trasportatori: questi hanno fatto un blocco all’entrata.”
Torniamo così al punto di partenza: “desertificata” delle principali attività industriali, con un’agricoltura da tempo in crisi, il quadro sociale dell’isola è dei più foschi. “Qui non stiamo parlando di poche migliaia di persone; parliamo di centinaia di migliaia di persone coinvolte nella crisi. E il fatto che molte di queste, disperate, si siano via via aggregate alla protesta la dice lunga sul livello di sopportazione economica cui si è arrivati.” Sotto quest’ottica la Sicilia sembra un’anticipazione di quello che potrebbe accadere a breve in Italia se altri e ben più vasti processi di de-industrializzazione e di arretramento produttivo dovessero andare a termine. Un’esplosione di rabbia cieca, abilmente manipolata da gruppi di potere, rivolta contro quel che resta delle istituzioni democratiche. Uno scenario davvero da fine della Repubblica di Weimar. Se solo ci fosse una sinistra con “le antenne sul territorio”…