di Massimiliano Martucci
La crisi ci obbliga ad assumerci delle responsabilità. Rimbocchiamoci le maniche, stringiamo la cinghia, asciughiamoci il sudore e siamo pronti a subire aumenti e tagli, attacchi al sistema di diritto e riforme antidemocratiche. La crisi chiama e ogni cittadino è tenuto a rispondere, per il bene dell’Italia, dell’Europa, dell’Euro.
Sembra questo il messaggio che da qualche settimana viene lanciato ripetutamente dai media mainstream, attraverso articoli, interviste, grafici, sondaggi. La crisi chiama e tocca a tutti difendere le postazioni dai non ben definiti nemici. Siamo in guerra, sembra, e dei nemici da cui dobbiamo difenderci non sappiamo che i loro nomi: Spread, Bund, Btp, Mercati. Chi sono, come sono fatti, per conto di chi attaccano, solo in pochi fortunati lo sanno.
Pierpaolo Martucci, in un libro del 2006 chiamato “Criminalità economica”, in cui sostiene che i reati economici sono più dannosi per la società rispetto a quelli ordinari, affronta il rapporto tra i primi e l’opinione pubblica: “La riprovazione per un crimine è direttamente legato alla capacità, per un osservatore esterno, di provare empatia per la vittima di un reato – ossia partecipare emotivamente alla sua sofferenza – capacità che, a sua volta, è direttamente proporzionale alla possibilità di identificarsi o meno con quella particolare vittima, per la presenza o la similarità personali o situazionali. Questo processo empatico diviene blando o nullo quando la vittima è impersonale o indeterminata (in quanto il numero dei danneggiati è assai elevato) […]. Ma la peculiarità dei crimini economici può determinare anche il paradosso di una vittima talvolta inconsapevole: si pensi ai consumatori danneggiati […] dalla pubblicità ingannevole…”.
Se estendiamo il senso delle parole dell’autore, il criminale economico non fa schifo quanto uno scippatore perché nella maggior parte dei casi non ha volto.
Accostare crisi e criminalità economica, se a prima vista può sembrare una forzatura, in realtà, dal punto di vista dei risultati, sembra la stessa cosa. I risparmiatori della Parmalat hanno perso i loro soldi così come i cittadini italiani stanno perdendo la loro capacità di acquisto. La differenza è minima, il senso è lo stesso. Eppure la crisi fa più danni, pare, perché la maggior parte dei tagli li subiscono i lavoratori licenziati, i pensionati, i disoccupati che vedono, sempre più, peggiorare la loro situazione economica per “colpa della crisi”. Licenziati per la crisi, bancarotta per la crisi sono concetti volutamente vuoti che servono, magari inconsapevolmente, ad allontanare sempre più la percezione del rapporto tra causa ed effetto, quindi la consapevolezza della responsabilità, di quanto accade. In poche parole: il licenziato non conosce la faccia di chi lo licenzia, e spesso questa condizione viene raccontata come ineluttabile necessità immodificabile da qualsivoglia azione umana.
Le dinamiche economiche non hanno nulla di naturale, i mutui non si trovano in natura, nemmeno i buoni del tesoro e gli indici di borsa. Queste cose non accadono, non esistono senza che almeno un essere umano li determini. Eppure tra la responsabilità di quanto accade e la narrazione del fatto ci passa la volontà di rendere chiare le dinamiche. Lo Spread è impersonale anche se si scrive con la lettera maiuscola, ma dietro di esso ci sono scelte, azioni, parole, che hanno una faccia e un nome.
Confuse, le vittime non sanno con chi prendersela e, rese esasperate le loro vite, seguiranno il primo dito puntato.