Siamo alla resa dei conti: il progetto europeo, nelle modalità in cui è stato attuato, è al capolinea. Si tratta ormai di contare le vittime di questa caporetto annunciata; si tratta anche di capire come si vorrà procedere all’inevitabile ricostruzione – una ricostruzione c’è sempre – di ciò che verrà dopo. Ma dopo cosa? Dopo quello che ci aspetta: una dose di sacrifici inutili così come inutili sono i sacrifici addizionali cui sono costretti le popolazioni greche, irlandesi, portoghesi, ungheresi, spagnole e francesi. Sarà fatta tabula rasa del Welfare State e sarà ridotta al lumicino l’erogazione di tutti quei servizi che solo il pubblico può erogare affinchè uno Stato possa definirsi giusto e solidale nei confronti dei più bisognosi. Abbiamo già sperimentato abbondantemente gli effetti di un depotenziamento di sanità e scuola pubblica, ma siamo solo agli inizi. Cosa ben diversa dal Sogno Europeo preconizzato da Rifkin nel suo libro. I perché dell’inutilità della Fatica di Sisifo che il Prof. Monti non ci risparmierà sono state illustrate da queste colonne: Vladimiro Giacchè ed Emiliano Brancaccio, intervistati su Siderlandia, sono solo due dei più noti economisti italiani che non hanno mai avuto dubbi in merito. Non si dica, dunque, che la possibile deflagrazione della zona euro, con tutte le sue implicazioni drammatiche sulla vita delle persone, non era prevedibile e non era stata prevista: una prima lettera degli economisti italiani redatta nel 2006 metteva già in risalto gli squilibri economici interni causati dalle diverse “velocità competitive” dei paesi che ne fanno parte e dalla crescente seprequazione dei redditi; una seconda lettera redatta il 15/06/2010 (ed indirizzata a Parlamento Italiano, governo Italiano e Presidente della Repubblica) si intitolavala: “La politica restrittiva aggrava la crisi, alimenta la speculazione e puo’ condurre alla deflagrazione della zona euro. Serve una svolta di politica economica per scongiurare una caduta ulteriore dei redditi e dell’occupazione”; c’era tempo, dunque, per articolare un programma di politica economica alternativo a quello che il nostro governo tecnico si accinge a varare (e che ci massacrerà) se solo avessimo voluto dare applicazioni ad altre istanze. L’ultima lettera degli economisti, pubblicata su Siderlandia nello spazio intitolato “Oltre le mura”, è cosa recente e nel frattempo sono saliti sul carro delle cassandre tutti gii economisti mainstream anche esteri, da Roubini a Gross a Eichengreen alla Reichlin, a Tabellini; persino banchieri di rango (come l’UBS Friedmann da noi tradotto l’altra settimana) hanno evidenziato i limiti insormontabili dell’Area Euro. Paradossalmente, e buoni ultimi, anche gli iper-liberisti Giavazzi e Alesina – fondo del Corriere della Sera del 24/11/2011 – hanno ammesso che l’unico modo per salvare l’Euro è «un intervento forte della BCE. […] A questo punto non c’è altra soluzione. In realtà basterebbe che la BCE annunciasse l’intenzione di stabilizzare i rendimenti ad un determinato livello: di acquisti veri e propri ne dovrebbe fare pochi». La BCE deve battere moneta, in definitiva. Una ricetta semplice che i nostri economisti (Cesaratto, Giacchè, Brancaccio) invocavano da mesi e ripudiata da questi eroi del liberismo fino a qualche settimana fa. Adesso invece, anche per questi eroi della flessibiltà del lavoro pare che l’intervento degli Stati ritorni essenziale e definitiva come extrema ratio; non c’era bisogno che lo dicessero loro, onestamente: la Storia ce lo ha insegnato.
L’urgenza dello spread ci ha regalato due cose: l’anelato defenestramento di Berlusconi ed un governo tecnico presieduto da un Professore bocconiano convinto credente nel libero mercato. Alla luce degli ultimi sviluppi e tenendo conto che il rapporto debito/PIL del nostro paese è al 120% da un bel po’, è proprio il caso di dire che “ci siamo fatti votare dallo Spread” quando tutti sanno che la speculazione scommette sul crollo futuro dell’Euro e che tale crollo, appunto, può essere bloccato solo con la “promessa di battere Euro ed introdurli nel sistema”. Da questo punto di vista – e SOLO da questo – essere governati da un delinquente o dall’irreprensibile Monti è la stessa cosa: infatti il rendimento in asta del Bot semestrale è arrivato 6,5% venerdì scorso. I nodi al pettine è il titolo di un bellissimo libro di Marco Onado, professore bocconiano di “chiara fama”, che nell’introduzione scrive : «la teoria economica dominate si è arroccata attorno all’ipotesi che il sistema finanziario fosse intrinsecamente efficiente e che potesse trovare autonomamente regole adeguate. E che il mercato, nella sua infinita saggezza ed efficienza, potesse determinare il livello ottimale di capitale necessario a garantire la stabilità delle banche. Ma mi faccia il piacere, avrebbe detto Totò». Mario Monti è un altro bocconiano che ha sviluppato negli anni settanta una teoria economica con il premio Nobel Klein (il modello Monti-Klein) tendente a dimostrare l’inefficienza del controllo amministrativo sulle banche che, secondo il nostro Premier, vanno lasciate lavorare libere da regolamentazioni. Tutti sanno che la crisi è stata veicolata dalla deregulation selvaggia degli Istituti di credito e che Roosevelt capì solo nel ’33 che avrebbe cominciato a risolvere la Grande Crisi nazionalizzando le banche capaci di restare in piedi e chiudendo le altre. Mario Monti in Italia è come Papademos in Grecia: applicherà le ricette BCE/UE non perché sia ex uomo BCE o perché sia stato membro dell’iperliberista think tank Bruegel o della Commissione Trilaterale, ma perché ci crede, come si evince da un video datato 26/09/2011 che gira su youtube dove afferma che “il più grande successo dell’Euro è la Grecia”; lacrime e sangue inutili, stando alle recentissime ammissioni di fallimento da parte della Troika. Qualcuno ha parlato di “nornalizzazione europea del capitale dall’alto”, nel senso che il capitalismo ha dismesso i panni del buffone per occuparsi in modo serio e diretto dei propri affari messi in pericolo dalla crisi.
Il terzo bocconiano è Stefano Fassina, il responsabile economico del PD, uomo di sinistra contrario allo smantellamento del Welfare State e alle politiche di flessibilizzazione del lavoro, per questo recluso nella riserva indiana da Ichino & Co e sempre più isolato nel suo partito….
To be continued (R.P.)