Il governo Monti è nato, forte di una maggioranza così ampia “da far invidia a Enver Hoxa e Kim Il Sung”. Come qualcuno ha notato sarà un governo Monti-Passera, dal momento che l’ormai ex amministratore delegato di Banca Intesa-San Paolo accentrerà alcuni dei principali ministeri “della spesa” (Sviluppo Economico, Infrastrutture e Trasporti), mentre il professore conserverà l’interim all’Economia (già di per sé un aggregato di tre ministeri: Tesoro, Finanze e Bilancio). Nonostante ciò parlare di governo “dei banchieri” o “dei poteri forti” è riduttivo. La composizione del nuovo governo sembra esprimere un’ambizione molto più elevata: costituire un’elite della borghesia italiana. Dopo anni in cui ha governato la schiuma della stessa, dirà qualcuno…
E tuttavia proprio il riferimento diretto a quel particolare gruppo sociale è il principale elemento di instabilità che caratterizza il nuovo esecutivo – forse ancor più della base parlamentare estremamente composita. Che cosa vuole infatti oggi la borghesia italiana? Verrebbe da dire tutto e il suo contrario. E’ d’accordo con la “patrimoniale” perché si rende conto finalmente che se avesse versato da subito il suo obolo al ridimensionamento del debito pubblico avrebbe evitato di perdere cifre ancora più consistenti a causa della svalutazione dei corsi azionari; ma, allo stesso tempo, sa bene che in una fase di crisi della quale non si riesce a intuire la fine proprio certi patrimoni (in particolare quelli immobiliari) sono beni-rifugio altamente appetibili. Vorrebbe combattere l’evasione fiscale per porre un limite alla concorrenza – che in tempi difficili si fa più acuta per effetto del restringimento degli sbocchi commerciali -, mettendo in riga le imprese sleali; ma, nel frattempo, ciascun imprenditore o professionista è tentato dal sommerso, proprio perché così spera di recuperare competitività rispetto agli altri operatori. Biasima il crollo dei consumi – conseguenza dell’impoverimento netto della società -, ma intanto coltiva progetti tesi a ridurre ulteriormente il potere contrattuale dei lavoratori (Monti ha parlato di “riforma del mercato del lavoro”, una formula che evoca l’articolo 8 della precedente manovra), in funzione di una contrazione dei salari.
Ma c’è un altro punto attorno al quale le contraddizioni interne alla borghesia italiana raggiungono l’apice: il rapporto con la Germania. L’ostinazione di quest’ultima nel voler conservare immutato il valore dell’Euro e la funzione della BCE è alla base delle nostre difficoltà finanziarie. Non solo: la mancata crescita dei salari e degli stipendi tedeschi nel corso degli ultimi dieci anni ha costituito un grave problema per le nostre imprese esportatrici. Queste cose la borghesia italiana le sa bene, ma nei confronti della Germania continua a mostrare un atteggiamento deferente. Forse gli imprenditori italiani non vogliono perdere quel che resta del loro rapporto con l’“officina d’Europa” a vantaggio dei paesi dell’Est. Per continuare a rifornire il mercato tedesco sono disposti a tutto: evadere l’evadibile, ridurre i salari al di sotto del minimo di sussistenza ecc. La Germania apprezza, ma nel frattempo si condanna a sua volta alla recessione: buona parte del suo export si dirige proprio verso i paesi mediterranei e se questi si impoveriscono non comprano più. Altra stridente – e, alla lunga, esplosiva – contraddizione. Cosa ha detto Monti rispetto al rapporto con la Germania? Al momento nulla; staremo a vedere come andrà l’incontro con Merkel e Sarkozy previsto per la prossima settimana, ma riesce difficile immaginare il nostro nuovo premier che sbatte i pugni sul tavolo.
Le alternative appena elencate sono conciliabili? Potrebbero diventarlo se il governo assumesse una prospettiva “dorotea”. Si potrebbe fare una patrimoniale “a metà” o anche una lotta all’evasione fiscale debole e parziale, mentre per compensare gli effetti di un mercato del lavoro sempre più selvaggio si potrebbe introdurre un modesto sussidio di disoccupazione. Quanto al rapporto con la Germania, si potrebbero trattare misure tampone come altri acquisti limitati di titoli da parte della BCE – in cambio, si intende, di ulteriori sacrifici. Queste scelte, esattamente come nel caso del doroteismo “classico”, favorirebbero l’esplosione delle tensioni finanziarie, economiche e sociali che il nostro paese sta covando. La crisi in atto, infatti, è alimentata dalle decisioni assunte finora dai governi e dalle autorità europee: la contrazione della spesa pubblica, l’aumento di tasse e tariffe, l’ulteriore deregolamentazione del mercato del lavoro contribuiscono al crollo della domanda e quindi della produzione e dell’occupazione. Questa dinamica, se non arrestata e invertita, conduce alla catastrofe.
Dovremmo non dimenticare mai la lezione degli anni ’30. Anche allora un “onesto liberista”, Heinrich Bruning, provò a fare uscire il suo paese dalla crisi a colpi di tagli, governando senza una propria maggioranza, grazie al sostegno del Presidente della Repubblica, il venerato “eroe di guerra” Paul Von Hindenburg. La catastrofe sociale che i suoi provvedimenti provocarono e le incertezze delle sinistre favorirono l’ascesa del Partito Nazionalsocialista. Il resto è noto. (S.R. ’84)