“Compagni, ci abbiamo provato”. Probabilmente sarà questa l’epigrafe che presto campeggerà sulla lapide della sinistra italiana (o, quanto meno, della sua parte “maggioritaria”). Il decorso del male, d’altra parte, in questi ultimi giorni ha avuto una rapidissima precipitazione e il paziente è ormai in condizioni disperate. Mossa forse da un impeto di compassione nei confronti dei Btp anche la sinistra ha voluto giocarsi in pochissimo tempo quasi tutto quello (a dire il vero poco) che le restava. E si è trovata ad auspicare i “sacrifici”.
Berlusconi è finito; al suo posto subentrerà un governo tecnico sostenuto da un’amplissima coalizione e guidato da Mario Monti. Questo governo dovrà sostanzialmente trovare risposta alle domande poste dalla UE nella sua ultima “lettera”. In realtà però si tratta di vere e proprie prescrizioni: ogni interrogativo infatti rimanda al “come” si dovrà agire; le cose da fare sono già tutte belle chiare. E così si dovranno privatizzare le quote di controllo che al momento il Tesoro detiene in alcune grandi società (ENI, ENEL, Finmeccanca su tutte); favorire l’accesso dei privati nella gestione dei servizi pubblici – anche derogando dal risultato dei referendum del 13 e 14 giugno –; innalzare l’età pensionabile a 67 anni per tutti; liberalizzare ulteriormente il mercato del lavoro ecc. ecc. Tutto questo per conseguire un avanzo primario del bilancio pubblico (entrate – spese) che consenta di ridurre gradualmente il debito. Ora, piccolo problema. Nel frattempo il disavanzo secondario (la somma algebrica fra il saldo primario e gli oneri finanziari generati da debito) cresce, spinto dall’innalzamento dei tassi che rende sempre più pesanti gli interessi sul debito; per cui probabilmente questa potrebbe non essere la manovra definitiva. E già, perché non è certo detto che, pur andando verso il traguardo dell’avanzo primario con le soluzioni suddette, si riuscirà a placare la speculazione sui tassi d’interesse. Nelle ultime settimane infatti si è fatta largo la consapevolezza che le operazioni al ribasso sui titoli dei cosiddetti PIIGS sia provocata dall’irresolutezza della BCE (in questo numero abbiamo pubblicato la traduzione di un articolo di Alexander Friedman, capo investimenti della UBS, comparso sul Financial Times in cui si argomenta questa posizione). Quest’ultima non si comporterebbe come tutte le altre banche centrali del mondo, non si disporrebbe cioè a comprare illimitatamente i titoli dei paesi dell’Unone Monetaria Europea. Se lo facesse, improvvisamente la potente macchina messa in moto dalla speculazione si rivelerebbe una modesta 500 – a fronte della poderosa Ferrari rappresentata dalla possibilità della BCE di stampare moneta praticamente all’infinito. Basterebbe anche solo che annunciasse di volerlo fare per sortire gli effetti desiderati.
In ogni caso, la Germania di questo non vuol sentir parlare. E si è così andati al G20 con una posizione di una debolezza assoluta, chiedendo ai famosi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) di venirci in soccorso. Giustamente questi si sono rifiutati, facendo notare che tutta insieme l’UE è la più grande economia del mondo e che quindi ha le risorse per farcela con le sue sole gambe. Un risultato però dal vertice di Nizza è emerso: il coinvolgimento del FMI anche nel caso italiano – dopo che il Fondo è stato tirato in ballo per aiutare Grecia, Portogallo e Irlanda. E’ la seconda volta nella sua storia che il nostro paese deve ricorrere a quell’istituzione. Ma la prima, correva l’anno 1976, non esisteva la BCE e ogni paese europeo era costretto a far da sé in campo monetario. Come giustamente ha segnalato Marcello De Cecco, il ricorso al FMI è “l’equivalente della vergogna nazionale su scala europea”. Di fatto la BCE, in una fase in cui i prezzi si tengono stabili da soli a causa della stagnazione della domanda, pare serva solo a far danni: non garantisce dalla speculazione come dovrebbe e in più “raccomanda” ricette che rischiano di aggravare la crisi. Chiunque sia dotato di buon senso sa che le politiche “lacrime e sangue” inducono conseguenze depressive sull’economia “reale”, che determinano a loro volta un incremento del rapporto debito/PIL anche solo per effetto del contrarsi del denominatore. E ciò espone pericolosamente i paesi alla speculazione. Ma evidentemente questa logica elementare è troppo complicata per i banchieri centrali europei.
Ecco, di tutto quello che abbiamo detto finora avete sentito parlare da un qualsivoglia esponente della sinistra nostrana? Eh già, perché nel frattempo loro erano tutti concentrati nell’infierire sull’oleogramma di Berlusconi – in realtà la sua persona era politicamente morta da mesi senza essersene accorta, come un personaggio di Calvino. E adesso che anche l’oleogramma è scomparso? Improvvisamente i nostri devono aver avvertito un senso di vuoto, seguito da debordante panico. “Oddio… e ora che facciamo?” “Non vi preoccupate”, ha sussurrato un Napolitano più serafico del solito, “non dimenticatevi che c’è da fare il RISANAMENTO!” Il culto del nostro Presidente per questa parola è una di quelle cose di fronte alle quali la ragione si arresta per cedere il passo all’intuizione mistica. Solo che quando l’ha pronunciata per le prime volte, nel più grande partito di opposizione dell’epoca, egli era parte di una minoranza anche abbastanza esigua e disprezzata. Oggi raccoglie il plauso di folle festanti disposte a scendere in piazza al grido di “L’AUSTERITA’ E’ BENESSERE”, “IL COMMISSARIAMENTO E’ LIBERTA’”. Per fortuna la sinistra probabilmente non sopravviverà per assistere a questo scempio. (S.R. ’84)