di Remo Pezzuto
Il nostro sistema sociale ed economico, a tre anni dall’esplosione della crisi finanziaria (la più grande degli ultimi decenni), si è rivelato per quello che è: un sistema che ha aumentato le disuguaglianze a livello globale e locale, un sistema che mira a distruggere i diritti dei lavoratori e lo stato sociale, un sistema che favorisce l’1% più potente a discapito del restante 99%. La ricetta che è stata imposta da quel 1% e dai governi di tutta Europa, è stata di salvare le banche e si chiede ai cittadini di pagare il conto della crisi e del mantenimento di un sistema economico e sociale che si è dimostrato insostenibile dal punto di vista sociale ed ambientale. Alla crisi del neoliberismo si è risposto con maggiore neoliberismo: più privatizzazioni, più tagli alla spesa pubblica, meno diritti, più precarietà nel lavoro.
Il mondo della formazione è stato in questi anni un laboratorio privilegiato per sperimentare quelle misure che oggi vengono proposte alla società intera: tagli che minano la stessa esistenza di una istituzione e istruzione pubblica, mercificazione del sapere, smantellamento del diritto allo studio, aumento della tassazione universitaria, eliminazione degli spazi di democrazia. Il taglio del miliardo e mezzo di finanziamento al fondo delle Università Pubbliche, la riduzione del 95% del fondo del diritto allo studio – passato dai 246 milioni di euro del 2009 ai 13 milioni del 2012 –, la privatizzazione dell’università ad opera della Legge Gelmini – che apre all’ingresso dei privati nei consigli d’amministrazione – il ridimensionamento della rappresentanza studentesca in all’interno di tale organo di governo – che d’altra parte, nella nuova organizzazione, assume tutti i poteri all’interno degli atenei –, la limitazione degli spazi di partecipazione e aggregazione e la precarizzazione della ricerca, sono tutte motivazioni che hanno spinto noi studentesse e studenti a scendere in piazza in questi tre anni.
Nell’ultimo anno in tanti si sono mobilitati in diversi paesi del mondo, in momenti differenti, con molteplici parole d’ordine, ma con un obiettivo comune: riprendersi un futuro che è stato loro tolto dalla dittatura finanziaria, da quell’1% che riesce a contare molto più di noi che siamo il 99%. Le mobilitazioni studentesche in Italia, Regno Unito e Cile, “l’Occupy Wall Street”, le “Acampadas” spagnole, le manifestazioni greche e portoghesi hanno detto con parole diverse la stessa cosa: “vogliamo contare più dei profitti di qualcuno”. E il 15 ottobre siamo scesi in piazza tutti insieme, in 79 paesi, per chiedere un cambiamento globale. Le battaglie importantissime che ognuno di noi combatte nel suo paese rischiano di essere parziali di fronte ad una crisi globale e ad un potere finanziario che ci considera dei costi che possono essere sacrificati per poter continuare a speculare.
La giornata del 15 però non deve dunque rimanere un momento isolato, ma deve essere l’inizio di una mobilitazione a livello europeo e internazionale per la democrazia reale, per un modello di sviluppo che metta al centro le persone e non i profitti. Così come la formazione è stata luogo di attacco privilegiato da parte del neoliberismo in questi anni, così bisogna avere la forza per far partire dalle scuole e dalle università un movimento europeo e internazionale che non si limiti a rispondere a questo o quell’attacco, ma che contesti direttamente un sistema che si è dimostrato assolutamente incompatibile con l’idea di sapere libero e di istruzione pubblica.
La lettera di Berlusconi all’Europa ci chiede di stringere ancor di di più i denti, attraverso la liberalizzazione delle tasse universitarie e l’istituzione ormai dei contestatissimi “prestiti d’onore”. Questi strumento indebita gli studenti prima ancora di entrare nel mondo del lavoro e di fatto annulla e viola l’articolo 34 della Costituzione, che sancisce il diritto allo studio per tutte e tutti. Non possiamo far altro che rilanciare un movimento globale per il 17 novembre, data internazionale del diritto allo studio, in cui anche gli indignati americani di “Occupy Wall Street”, insieme ad altri movimenti sudamericani e europei, scenderanno per le strade di tutte le città del mondo contro un sistema fallimentare, per un nuovo modello di sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale, sulla giustizia sociale e sulla democrazia reale.
Il 17 novembre, giornata internazionale degli studenti, diventerà la giornata in cui tutti insieme dimostreremo che le battaglie che ognuno di noi ha combattuto contro il suo governo in questi anni sono in realtà pezzi di una lotta più grande e che siamo disposti a combatterla insieme. Uniti per il cambiamento globale a partire dalle scuole e dalle università.
Voi non avete fermato il vento, gli avete fatto perdere tempo. (De Andrè)