Prendi i soldi e scappa. Teleperformance ed il futuro di Taranto

di Roberto Polidori

L’unica alternativa al licenziamento dei 712 “esuberi” di Teleperformace Taranto è la cassa-integrazione; «indubbiamente è così», conferma Paolo Sarzana, responsabile Marketing e Comunicazione di Teleperformance in una intervista rilasciata a TarantOggi e pubblicata in data 18/06/2011.
La storia è nota e Gaetano De Monte ne ha scritto ampiamente su Siderlandia: l’azienda è tornata a battere cassa presso il Ministero del Lavoro dopo aver paventato il licenziamento di 868 persone nel 2010 [in totale tra Roma e Taranto e 674 solo per Taranto – ndr] adducendo a motivazione la concorrenza scorretta che agisce in dumping salariale. «In verità l’azienda non ha neanche rispettato la direttiva che emanò l’allora Ministro del Lavoro, Cesare Damiano, ad inizio 2007, in virtù della quale la società decise di stabilizzare tutti i collaboratori a progetto, interpretando in modo ampio la così detta “Circolare Damiano”, che prevedeva tra l’altro che le aziende che non avessero assunto a tempo indeterminato i dipendenti sarebbero state punite dagli organi di vigilanza con multe severissime. Inaffidabilità dell’azienda, dunque, ma soprattutto inaffidabilità di un Governo incompetente ed ormai al collasso, che evidentemente fino a qualche mese fa considerava la vertenza Teleperformance una di quelle “piccole crisi senza importanza” sparse da Nord a Sud, da Sestri Levante a Castellammare di Stabia, in tutta Italia – crisi che fra l’altro indicano che la recessione è tutt’altro che finita e solo “ loro” sembrano non accorgersene». Anche la proposta di legge Damiano-Vico richiedente la cessazione della pratica di appalto al massimo ribasso delle attività out-bound – collegata in particolare ai contratti di solidarietà in scadenza il 04/07/2011 – è stata disattesa: l’Italia è un libero oceano alla mercè di bucanieri di ogni tipo in cui il libero mercato (che vuol dire salari in picchiata) consente a chi ha ottenuto milioni di euro in contributi e/o esenzioni di traslocare rami della propria attività fuori dal paese; nella fattispecie Teleperformance è stata danneggiata, a suo dire, dalla concorrenza di chi – senza però incassare lauti trasferimenti pubblici – ha ceduto commesse all’estero o nei sottoscala italiani al “nero” con prezzi al massimo ribasso; quindi l’azienda ha preso i soldi, li ha spesi per occupare personale a Taranto per pura bontà d’animo (visto che ha dichiarato perdite) e ha delocalizzato in Albania le commesse SKY e Alitalia perché è una povera multinazionale in difficoltà.
E’ curioso leggere le scuse con le quali l’azienda minacciò i licenziamenti del 2010: «Motivazione principale, addotta dall’Azienda, sarebbe lo stato attuale del mercato italiano che consentirebbe, mancando di regole  e controlli adeguati, gli stessi garantiti dalle Circolari Damiano,  frequenti casi di dumping da parte di aziende non allineate alle norme sulle stabilizzazioni dei propri dipendenti »(1). In breve: con l’approssimarsi delle scadenze delle agevolazioni statali e regionali Tp piange miseria e minaccia licenziamenti. Nella citata intervista di Taranto Oggi Sarzana chiude il cerchio e, dopo aver dato per scontata la cassa integrazione prossima ventura, tesse le lodi del lavoratore tarantino – mai nessun reclamo di clienti alla Teleperformance di Taranto – che ha la sventura di essere un lavoratore costoso rispetto a quello albanese (almeno 3 volte più costoso) in un mondo globalizzato. Teleperformance, dice Sarzana, vorrebbe continuare a lavorare a Taranto – e ti credo: con tutti i soldi pubblici racimolati in questi anni !!! – ma ha bisogno che lo Stato la aiuti in primis attuando la proposta di legge Damiano– Vico: poi, forse, l’azienda potrà ideare prodotti a maggior valore aggiunto da vendere ai clienti (come nel Nord Europa) o a un prezzo maggiore.
Il vero problema della campagna “trasferimento fondi pubblici 2011 a Tp” è la CGIL: questo maledetto e anacronistico sindacato rosso ha avuto l’ardire di volere a tutti i costi un tavolo di trattativa presso il Ministero dello Sviluppo Economico, che si terrà il 21 Giugno. La CGIL cioè, partendo dall’evidente reiterarsi dei finanziamenti pubblici con cadenza annuale, ha detto “prima di pensare alla cassa integrazione che non risolve niente da un punto di vista strutturale, dobbiamo affrontare il problema con interventi di politica economica”. La motivazione di un’azione simile è chiara: i dipendenti Teleperformance, già economicamente e moralmente indeboliti dai contratti di solidarietà, saranno sempre più soggetti e schiavi delle pretese dell’azienda ad ogni “rinnovo” annuale (a spese statali) senza la predisposizione di un piano industriale, che l’azienda non ha.. L’amministratore delegato Apollonj Ghetti e il Dott. Sarzana hanno giudicato “politico” l’operato CGIL e l’azienda ha dichiarato che l’unica convocazione che onorerà sarà quella del 22 Maggio presso il Ministro del Lavoro: l’azienda annusa l’odore dei soldi.

Questa vicenda è la summa di ciò che sta accadendo nel mondo del lavoro oggi, non solo in Italia: qui c’è un’azienda che, pur continuando a glissare sull’attuazione di una normativa precisa che avrebbe dovuto adottare per ottenere i soldi che ha comunque intascato, considera molto “pragmatica” – è questo il termine usato – l’azione per l’ottenimento di contributi statali ed invece giudica “politiche “ le rivendicazioni di chi vorrebbe l’attuazione di programmi precisi atti a togliere dall’incertezza di una vita precaria centinaia di lavoratori. A sostegno dell’azienda ci sono i due soliti sindacati moderni (Cisl e Uil), che considerano ormai lo Statuto dei lavoratori non più attuale e considerano come la nuova Bibbia lo Statuto dei Lavori, sulla base del quale i sindacati devono trasformarsi in agenzie di servizi al soldo dell’azienda (enti bilaterali) che hanno il compito di assumere personale per conto dell’azienda, gestire i fondi pensione dei dipendenti di concerto con la stessa. Insomma: sindacati gialli, propaggini del padrone. Questi sindacati, poi, con accordi “separati” col datore di lavoro, tendono a estromettere dalle trattative le sigle sindacali che non sono d’accordo e che sono molto spesso maggioritarie.
Tutto è cominciato con Fiat e con i famosi referendum di Pomigliano e Mirafiori; questi due “accordi” separati – e dei quali la CGIL non condivide la responsabilità – sono la cartina tornasole di ciò che succede quando il padrone, appoggiato dalle categorie sindacali firmatarie, è nelle condizioni di poter ricattare i lavoratori: può licenziarli se scioperano, può applicare una nuova organizzazione del lavoro dannosissima per la salute umana fregandosene altamente delle condizioni fisiche dei lavoratori, può modificare i turni a suo piacere, può cancellare diritti indisponibili garantiti dalla Costituzione (a quando la “Costituzione dei datori di lavoro?”), può in definitiva disporre della vita e dell’anima delle persone. Può anche licenziare in tronco tutti i dipendenti, creare una Newco (nuova compagnia), riassumerli sulle stesse linee di montaggio, per lavorare nella stessa fabbrica con le stesse mansioni ma con contratti diversi: è ciò che è successo in Fabbrica Italia. Tutto questo grazie alla gentile collaborazione di alcune organizzazioni adibite – a titolo oneroso – alla regolazione del traffico di schiavi.

“Certo Roberto, direbbe qualche amico di quasi-sinistra, tu la fai facile e riporti tutto al conflitto capitale-lavoro come fa la FIOM CGIL. Tu parti dal presupposto che esista un frattura insanabile tra gli interessi del datore di lavoro e quelli del lavoratore. Purtroppo la globalizzazione dei mercati, la necessità di competitività e di produttività rendono queste tue idee un po’ superate”. A parte il fatto che mai come in questo preciso momento storico questo conflitto è palese, è vero che la CGIL è in difficoltà di fronte ad un datore di lavoro che dice: io chiudo tutto e mi sposto in Albania dove pago molto meno il lavoro; avremmo dovuto immaginare tutti che sarebbe andata finire così visto che già Keynes circa 75 anni fa diceva che le frontiere andavano lasciate aperte ma i capitali non dovrebbero circolare per niente, le merci solo un po’ (e solo alcune), le persone e le idee dovrebbero invece muoversi in continuazione.
Direi che la storia anche recentissima ci ha insegnato che, in linea di massima, la grande industria e le grosse multinazionali fanno un po’ quello che vogliono: inquinano quanto vogliono, minacciano licenziamenti di massa periodicamente per spuntare contributi pubblici a go-gò, operano con una concezione di rischio d’impresa tutta personale – ed anche “matematicamente” assurda. Tanto poi paga sempre lo Stato. Anche la classe politica, in un contesto non facile – ma che ha contribuito decisamente a creare – ha preferito assuefarsi pezzo dopo pezzo al mito liberale delle privatizzazioni e ha ricevuto in cambio la gestione del voto operaio; il privato, però, come lo stesso Gianmario Leone scrive nell’intervista al Dott. Sarzana di Teleperformance, volente o nolente tenderà sempre a difendere il proprio interesse; ultimamente lo ha fatto – serie storica O.C.S.E. 1998-2008 – in “deflazione salariale”, abbassando cioè i salari reali degli operai e degli impiegati ben prima che la crisi del 2007 esplodesse. Anche questa è politica, una politica salariale molto in voga nel ‘900 anche prima della crisi degli anni trenta alla quale è giusto che un sindacato di tutela dei “diritti dei lavoratori” risponda come sta rispondendo nella fattispecie la CGIL. Era anche una politica in voga negli anni susseguenti la guerra mondiale in Italia: niente di nuovo sotto il sole.
Attenzione, perché proprio la modernissima flessibilità operativa della forza lavoro di cui si parlava nel 2003 ci ha condotto alla precarietà di oggi, ed anche se qualche economista di simil-sinistra ci dice che è possibile essere flessibili senza essere precari (recuperando concetti tanto cari ai regolatori del traffico umano Cisl e Uil) qualcuno mi dovrebbe spiegare come riesce a tenere insieme le due cose come se fossi un bambino di quattro anni: la storia economica e la teoria economica suffragata dai numeri dicono tutt’altro (2).
Gli indignati sono in piazza perché non accettano di essere precari mentre poche persone continuano ad arricchirsi, i referendari che hanno raggiunto il quorum reclamano giustizia e parità attraverso la pubblicizzazione dell’acqua e non accettano di essere cooptati da questo o quel schieramento politico.
In Grecia la popolazione ha indetto 10 giorni di sciopero dall’inizio dell’anno perché qualche tecnocrate ha imposto misure di rientro “lacrime e sangue” impossibili al governo di uno Stato che ha sbagliato (quello greco) ma al quale è stato scientemente imposto di sbagliare da un altro governo (quello tedesco) che i nostri politici vorrebbero ora imitare quanto a politiche economiche da attuare. Il governo di sinistra greco è in fortissima difficoltà (3).
Onestamente ritengo che questa pseudo-modernità sponsorizzata dalle parole “flessibilità” e “globalizzazione” nasconda concetti molto più prosaici che hanno a che fare con lo sfruttamento della gente e con l’appropriazione privata di risorse pubbliche. Questo ha molto da spartire con la libertà che una grossa industria inquinante può avere nell’immettere in ambiente ciò che crede.
E’ la storia che si ripete nella sua versione rinnovata e peggiorata ed un sindacato che voglia tutelare i diritti ha l’obbligo di mobilitarsi se c’è chi dei diritti sembra voler fare a meno.

(1): http://nuovediscussioni.blogspot.com/2010/06/segnalazione-situazione-call-center.html

(2):http://www.economiaepolitica.it/index.php/primo-piano/uno-standard-retributivo-per-tenere-unita-leuropa/

(3):http://www.melogranorosso.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=341%3Adebito-greco-imparare-da-moshele&catid=46%3Adocumenti.