Cultura, bene comune: proposte per Taranto

di Morris Franchini

La cultura – in quanto tale – si riferisce al lato espressivo della vita umana e si riassume in comportamenti, oggetti, idee che possono essere visti come espressione di qualcos’altro, come simboli. La cultura di una comunità influenza la sua struttura sociale e viceversa: i due aspetti sono strettamente interrelati. 
Studiare la cultura significa studiare le idee, le esperienze, i sentimenti e insieme le forme esteriori che questi aspetti interiori assumono quando divengono pubblici e dunque realmente sociali. Per cultura gli antropologi intendono dunque i significati che le persone creano come membri di una società: la cultura in questo senso è collettiva e può avere due tipi d’espressione. 
Da un lato essa risiede in una serie di forme significanti che possono essere viste o ascoltate. D’altra parte queste forme esplicite assumono un significato solo in quanto l’essere umano possiede gli strumenti per interpretarle: esse devono quindi essere ancorate ad un contesto condiviso. Il flusso culturale consiste quindi nell’esternazione di significati che gli individui producono e nelle interpretazioni che essi forniscono di queste manifestazioni; abbiamo quindi un duplice livello: nelle menti umane e nelle forme pubbliche. 
Possiamo definire la cultura in base all’interrelazione di tre dimensioni ben distinte:

idee e modi di pensiero, l’insieme di concetti e valori che le persone portano all’interno di un’unità sociale;

forme di esternazione, i diversi modi in cui il significato diventa “pubblico”;

distribuzione sociale, i modi in cui l’insieme di significati è diffuso nella popolazione e nelle relazioni sociali.

Sulla base di tutto quello che è stato descritto sopra, in quale modo porre le basi per lo sviluppo di un programma politico che metta come priorità la CULTURA come BENE COMUNE?

Relazionando tra loro la “società” ed il “territorio” dove essa vive. Viviamo in un tempo dove la società è sempre più alienata da se stessa e dagli altri contesti; una società disgregata basata sempre di più sull’individualismo: Taranto non fa eccezione per questo. All’ombra della grande fabbrica, stretti tra mille e più paure, tra polveri sottili così sottili che ti entrano dentro e squarciano non solo il fisico ma anche la mente, si ha la netta e quanto mai reale e concreta sensazione che questa sia una terra impalpabile, dove non esiste nulla a parte i luoghi e gli eventi nei quali è consueto “vivere o sopravvivere”. All’ombra della grande fabbrica anche il dibattito o il conflitto più arduo da affrontare si riduce in un’amara assuefazione e dove ci sarebbe unità di intenti queste volontà sono divorate dalla solitudine e dall’opportunismo. All’ombra della grande fabbrica, dunque, sembra che tutto muore ancora prima di nascere, così da rimanere incatenati per paura di morire, ad una cultura economica e sociale dura e priva di sentimento, fortemente limitata ed arida come l’acciaio.

Ma non deve essere così!

La “cultura-bene comune” intesa come un vero e proprio “patrimonio culturale” è un concetto che ha subito negli ultimi due secoli importanti modifiche, come la considerazione del territorio fisico e delle sue tradizioni culturali, storiche e linguistiche, infine l’allargamento dal “materiale” all’immateriale come elemento di contesto fondamentale del patrimonio dei beni culturali ed ambientali tradizionali. Il sovrapporsi, in tempi più recenti, di paradigmi ambientali, culturali ed economici ha arricchito e trasformato il concetto di patrimonio culturale conferendogli caratteristiche che lo legano oggi, molto più che in passato, a due concetti cruciali: quelli di territorio e d’identità. La trasformazione del patrimonio, sempre meno vincolato a valori estetici o rappresentativi della cultura “alta” e sempre più inclusivo di elementi “sociali”, è un fenomeno che richiede un lungo periodo di tempo ed è in corso, come affermato precedentemente, dalla fine dell’Ottocento.

 Il problema sta nel trovare l’identità dei luoghi da vivere, ciò che li rende speciali e diversi, e cosa li contraddistingue in quest’era di globalizzazione in cui tutto si divora e si consuma. Cosa ci fa sentire ancora parte di una stessa comunità? Cosa vogliamo difendere? Qui, in questa terra violentata dai suoi stessi figli è ancora più difficile guardarsi dentro e ritrovare se stessi soprattutto, poi, se pensiamo a sopravvivere, se a capo chino pensiamo che questa terra non ci appartiene più? Pensare e realizzare una Taranto come “bene comune” potrebbe essere un valore aggiunto e una speranza? Sì. Come?

Innanzitutto promuovere la conoscenza e l’attrattività del territorio di Taranto attraverso le sue risorse socio-culturali, naturali e storico-artistiche. Bisognerebbe solo pensare che una buona parte del PIL nazionale è costituito dal cosiddetto “turismo culturale” e che l’archeologia (una tra le più grandi risorse per Taranto) rappresenta un vero e proprio valore aggiunto, tenendo presente che ben il 47% delle aree archeologiche italiane (in Italia ce ne sono più di 2.500) rientra ormai stabilmente nei circuiti turistici. Cosa fare per rilanciare, dunque? Dare vita alla cosiddetta “conservazione integrata” basata, ad esempio, sulla preservazione dei siti e delle evidenze archeologiche, della cura degli altri beni culturali, sulla diffusione della conoscenza e sulla fruizione di essi, sullo sviluppo di un indotto (ad es. ristoranti, hotel, bar, ecc.). Ma non basta. È necessario un’azione sinergica degli Enti locali e regionali, degli esperti del settore e, da non sottovalutare, della comunità in modo da creare le basi per una vera e propria “industria culturale”. Il tutto sorretto da una notevole campagna mediatica di comunicazione e pubblicizzazione. Si sa di Beni Culturali, purtroppo, in Italia non si riesce a sfamarsi; essi sembrerebbero non interessare all’economia e alla politica. Essi, se visti diversamente, possono e devono creare profitto. Si pensi ai più di 7.000 laureati in archeologia, dei quali il 33% non vivrebbe di questo lavoro e si pensi alla perdita che da questo consegue dal punto di vista culturale ma anche economico dell’Italia ed in particolar modo di Taranto. Si deve dunque guardare ad ogni risvolto che può creare economia, tentare di far crescere culturalmente ed economicamente la nostra terra e di costruirsi un futuro. Ma si ribadisce un’assioma che sembrerebbe vincente, ovvero che in tempo di crisi bisogna guardare lontano, sperare e, soprattutto, FARE. Quindi recuperare, salvaguardare e garantire la fruizione di tutti i beni culturali ed ambientali della città e delle eventuali strutture ricettive attigue attivando una proficua sinergia tra le cooperative del settore (che gestiscano le zone ad esempio dividendole tematicamente attraverso gare d’appalto), gli studenti del corso di laurea in “Scienze dei Beni Culturali” di Taranto, gli Enti locali ed i cittadini. Cosa molto utile ed innovativa potrebbe essere la nomina di una figura specialista di riferimento come un “archeologo comunale” che funzionerebbe da manager culturale in piena sinergia con l’Amministrazione Comunale.

Di particolare importanza è la cosiddetta “rigenerazione” del centro storico, la nostra “Città Vecchia”. La “Città Vecchia”, quindi, potrebbe essere spinta verso la sua completa rivalutazione ambientale, civile, storica ed artistica per la crescita del turismo e dell’economia nella “Città dei due mari”. Infatti, il vero e proprio cuore di Taranto antica e nuova è nel nostro Centro Storico, a Piazza Fontana, nel Duomo di San Cataldo, nella suggestiva Chiesa di San Domenico col suo convento, nei resti del Tempio Dorico di Piazza Castello, negli antichi palazzi nobiliari, al mercato del pesce, nei ristoranti dove si può assaporare il gusto dei prodotti del nostro mare e nel Castello Aragonese testimone di tanta storia. L’aspetto straordinario della Città Vecchia è che tra vicoli, postierle, pendii e pittaggi convissero per secoli pescatori e nobili, piccoli bottegai e modesti artigiani con professionisti e monsignori, un vero e proprio “microcosmo” dove si respira una storia di migliaia di anni attraverso le sue splendide testimonianze archeologiche, architettoniche, storiche, popolari e culturali. Conoscere e risanare il borgo antico di Taranto significa organizzare ed offrire un percorso che possa far cogliere ai visitatori le bellezze artistiche e la sua storia “viva” perché essa può e deve essere considerata un processo evolutivo nel quale sono visibili chiaramente tutte le fasi di trasformazione attraverso i secoli. Per risaltare questi aspetti bisognerebbe pensare ad un percorso che possa descrivere il patrimonio architettonico, archeologico e culturale, il paesaggio, i saperi, le tradizioni in cui ci si riconosce, che si desidera tramandare alle generazioni future e che possa essere ripreso come modello per un’organizzazione turistica.

La Città Vecchia di Taranto presenta molteplici motivi di interesse: sfuggita ad operazioni speculative, ancora sostanzialmente integra nel suo tessuto edilizio, conserva una ricchezza di stratificazioni che pochi altri centri storici possono vantare. Pur essendo stata oggetto di una delle rarissime esperienze meridionali di restauro, recupero e riuso del patrimonio edilizio, il nostro centro storico offre a chi voglia visitarla un percorso intenso ma anche sofferto poiché i quartieri risanati sono in buona parte di nuovo degradati. Restaurare e conservare un pezzo di città non significa riportare alla luce testimonianze di un passato culturale glorioso per mantenerle nel tempo, quasi mummificandole come in un museo ma, al contrario, significa rianimarlo come centro abitato e quindi renderlo vivibile e reinserirlo nella vita attiva dell’intera municipalità. È questa la risultanza emersa univocamente dai dibattiti culturali tenuti dai esperti negli ultimi trenta anni ed è anche questa la volontà che fu espressa all’unanimità dal Consiglio Comunale di Taranto il 25 gennaio del 1971, allorché deliberò l’attuazione dello strumento urbanistico elaborato dall’Architetto Franco Blandino.

Conoscere il “centro storico” di Taranto nella sua struttura geografica, urbanistica, sociale e anche culturale, vederne lo sviluppo attraverso le varie epoche storiche, significa ripercorrere all’indietro il cammino evolutivo della nostra città, per risalire alle origini, per capire pienamente i problemi del nostro tempo e, infine, per poter operare attivamente e proficuamente dall’interno di essi. Negli anni Settanta, in seguito ad un movimento di opinione creatosi intorno all’indiscriminata politica di demolizione, venne adottato un Piano Particolareggiato per il risanamento ed il restauro conservativo della città vecchia a cura dell’Architetto Blandino. Il piano, che intendeva “preservare e rivalutare nella globalità di tutti i suoi valori storicourbanistici e socio-culturali” della Città Vecchia, prevedeva l’eliminazione di tutte le parti in contrasto con l’ambiente (sopraelevazioni, edilizia di sostituzione) e la conservazione sia delle funzioni residenziali sia della destinazione a servizi pubblici e culturali dei grandi spazi disponibili (ex conventi, edifici nobiliari). L’obiettivo era anche quello di creare centri di interesse culturale che potessero incentivare l’iniziativa privata e riportare nel centro antico le classi sociali più elevate. Il Piano di Risanamento, che mirava soprattutto al recupero urbanistico, fu attuato solo in minima parte e nel settembre 1987 fu sostituito dai cosiddetti Piani di Zona che, utilizzando la legge sull’edilizia popolare, diedero il via ad una serie di ristrutturazioni; altri finanziamenti furono utilizzati per recuperare edifici con funzioni culturali. e così il Piano Blandino non potè, purtroppo, raggiungere gli obiettivi che si proponeva.

Oggi occorrerebbe realizzare un censimento di cosa può essere risanato e di cosa è andato perduto per poi realizzare una “mappa urbanistica” e disegnare un nuovo piano di risanamento che andrebbe inserito pienamente al Piano di Rigenerazione Urbana (delibera di Consiglio n°46 nel mese di luglio 2011) e nell’ambito della candidatura UNESCO per il patrimonio esistente nel centro storico (delibera del Consiglio n°58 del 21 aprile 2011). La rigenerazione della Città Vecchia, infatti, non deve passare solo attraverso il recupero e la conservazione della “pietra” ma la si deve completare con una rivitalizzazione del quartiere che solo la partecipazione dei residenti, innanzitutto, e poi degli Enti pubblici, privati e associazioni può garantire. A tal punto sarebbe utile ed interessante creare un progetto di ricerca e di studio che mettesse in sinergia l’Università tarantina con i suoi studenti e il Comune.

Quali gli step fondamentali? Riassumiamoli:

1. La partecipazione dei cittadini permetterebbe un “controllo dal basso” e

l’individuazione di “linee guida” che solo dal confronto con chi quei luoghi li conosce e li abita da sempre possono scaturire;

2. La partecipazione degli enti pubblici dovrebbe assicurare il rispetto e la tutela degli interessi dei cittadini e il diritto a vivere in maniera dignitosa, in case pulite e sicure;

3. La partecipazione dei privati fornirebbe aiuto e sostegno alle attività già esistenti e a quelle nuove per la crescita e la creazione di occupazione, trasformando la Città Vecchia dall’attuale “ghetto” in un centro vitale, turistico e produttivo che valorizza la creatività (magari riscoprendo gli antichi mestieri) e che sostiene l’inserimento nel mondo del lavoro delle fasce deboli;

4. La partecipazione delle associazioni garantirebbe la presenza di mediatori con funzioni di “filtro” capaci, cioè, di creare relazioni costruttive, efficaci e durature tra i cittadini e gli enti/Istituzioni.

Purtroppo, spesso è diffusa una “percezione negativa”, quasi dispregiativa, dello spazio pubblico come spazio di nessuno mentre esso, al contrario, è lo spazio di tutti. Basti pensare che, già nel nostro “piccolo”, le parti interne degli edifici, le abitazioni private sono curate fin nel minimo dettaglio mentre le parti in comune no. Il problema è che non solo non si sente lo spazio pubblico come spazio “proprio”, ma soprattutto non si ha la capacità di vederlo come tale; è necessario, quindi, pensare a degli interventi che identifichino lo “spazio di tutti” in modo da renderlo chiaramente percepibile e riconoscibile rispetto al resto, per farlo riscoprire ai propri abitanti e permetterne la “ri-appropriazione”.

Dunque, questi interventi d’identificazione, di “ri-scoperta e ri-appropriazione” degli spazi pubblici possono nascere solo da una partecipazione attiva degli abitanti (le cui opinioni divengono “dati” essenziali per la realizzazione di progetti veramente rappresentativi) e da una stretta collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti, indispensabile per valutare la fattibilità tecnica ed economica dei progetti e per garantire organizzazione e cooperazione tra le parti. Tali interventi andrebbero applicati non solo al Centro Storico ma in tutte le zone d’interesse ambientale e culturale della città.

Naturalmente sarebbe fondamentale curare la struttura entro la quale sviluppare questa piattaforma economico-culturale. Struttura formata da opere di urbanizzazione intelligente e sostenibile come manutenzione di strade, realizzazione di nuovi parcheggi (soprattutto per camper e bus turistici) e di isole pedonali. Di grande importanza la cura della cosiddetta mobilità sostenibile con l’utilizzo di mezzi pubblici di tipo ecologico, di biciclette a disposizione della cittadinanza. Favorire, inoltre la realizzazione di strutture ricettive con interventi ad hoc, favorendo l’imprenditoria giovanile. Ripristinare a pieno regime lo sportello I.A.T. sito in Città Vecchia (“Informazione ed Accoglienza Turistica”), magari “doppiandolo” vicino al Terminal Bus al Rione Tamburi, utilizzando magari, su base volontaria, studenti universitari tarantini del ramo umanistico.

Per concludere, intendere la “Cultura” come “Bene Comune” a Taranto significa pensare ad una città che finalmente RESPIRI e VIVA delle proprie risorse culturali, ambientali e storico-artistiche. Significa pensare ad una città sostenibile ed aperta, libera da muri culturali e sociali.

4 Comments

  1. TERESA NASPRETTO Ottobre 22, 2012 12:42 pm 

    Congratulazioni! Sono anni ed anni che sostengo tutto quello che lei ha scritto e si avverte sia la sua tristezza per il degrado socio-culturale ed il suo amore per la città di TARANTO,che non merita affatto questo abbandono da parte dei suoi figli. E’ una mamma in attesa dell’aiuto dei suoi figli.E’ giusto ed è necessario darlo.E’ una mamma malata che deve guarire e vivere E’ necessario invitare tutti a collaborareBisogna rendere vivibile il centro storico , è nella sua salvaguardia il futuro della città di TARANTO Il cendi tro storico di BRINDISI ristrutturato ha dato nuova vita alla città. L’amore per il proprio passato per le proprie radici fa miracoli. Spero tanto i cittadini tutti possano contribuire al rifiorire della TARANTO capitale della MAGNA GRECIA.

  2. ruggieri francesco paolo Ottobre 24, 2012 4:23 am 

    RIFERIMENTO ILVA : “gli Ecomostri che hanno ridotto il nostro territorio in un deserto invivibile.” : Poveri llusi ed autolesionisti !!! I VERI ECOMOSTRI DOVETE CERCARLI A MONTE E NON SOLO A VALLE ! CON L’ILVA COME UNICO UNTORE ! I VEI UNTORI, SONO NELLE CASE FARMACEUTICHE, TARANTO E PROVINCIA CON IL + 100% DI FARMACI VELENI DIRETTI, PERCHE’ PRESCRITTI_INGERITI_INIETTATI, COME DOLCI_CARAMELLE, NEL NOSTRO ORGANISMO !!, COADIUVATI DA ALIMENTI_BEVANDE_SPAZZATURA QUOTIDIANA. TUTTI SI SONO SCAGLIATI CONTRO LA DIOSSINA PRODOTTA DALL’ILVA, CHE SOLE_ARIA_PIOGGIA, ATTUTISCONO_ANNULLANO_DISINTEGRANO MENTRE NESSUNO HA MAI CONTESTATO I VERI VELENI CONCENTRATI DEI DISERBANTI CHE OLTRE AD ANNULLARE L’ECO SISTEMA TERRA, HA CAUSATO L’AVVELENAMENTO_MOTRE DI TANTI ANIMALI DA PASCOLO O DI TANTISSIME API !!! SAPPIATE TUTTI CHE L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO, INFLUISCE, IN MEDIA, SU MALATI_PREDISPOSTI, SPESSO ANCHE DALLA MODIFICA SVILUPPO EMBRIONALE PER TERRENO TOSSICO_TERATOGENO_MADRE, CAUSATO DA VELENI DIRETTI INGERITI !!!, SOLO PER IL 2% !!!!, MENTRE IL RESTO E’ GENERATO_CAUSATO_ACCELLERATO DAI VELENI DIRETTI INGERITI_INIETTATI NELL’ORGANISMO!! E, PER CONVINCERE TUTTI SUL VALORE MEDIO DEL 2% DELL’INQUINAMENTO, PENSATE AD UN PRATO VERDE DI UNA AIUOLA, CON RADICE IN SUPERFICIE ! ALL’ALTEZZA DI UN SEMFORO, OVE STAZIONANO, FILE DI AUTO, 12-18h AL GIORNO, CON MOTORI AL MINIMO NUMERO DI GIRI E,QUINDI, CON PEGGIOR CARBURAZIONE_INQUINAMENTO: IL PRATO_ERBA, NON SECCA_MUORE_MAI_MAI_MAI E , OGNI ANNO SI RIGENERA !!! COSA CHE NON AVVIENE SE SIA A SPARGERE IL POTENTE VELENO DISERBANTE !! COME PER GLI UOMINI, I VELENI DIRETTI INGERITI_O PEGGIO_INIETTATI !!! QUINDI, TENTATE DI SALVARE L’ILVA E I TANTISSIMI POSTI DI LAVORO_VITA_TARANTO_PROVINCIA !!! E, ANDATE A MONTE A CERCARE LE VERE CAUSE VELENI ORGANISMO_SANGUE !! I VERI ECOMOSTRI SONO A MONTE E NON A VALLE CON L’ILVA !!!

  3. Alessandro Fraccica Ottobre 27, 2012 11:16 am 

    Tutto bello, tutto quello che noi sogniamo! Per la città vecchia, a mio avviso, la prima cosa da fare è una RIQUALIFICAZIONE SOCIALE: sarebbe impossibile chiedere “partecipazione della cittadinanza”, “riqualificazione urbana, ambientale, architettonica”, “sviluppo di imprenditoria” e “turismo” quando poi, a camminare per i vicoli della città vecchia gli stessi tarantini, spesso, si sentono insicuri, per via dei numerosi personaggi che vi si possono trovare. Come si può chiedere ai turisti di venire in luoghi dove la microcriminalità ed il disagio sociale prevalgono? Come si possono chiudere gli occhi nei riguardi di questi fenomeni ed occuparsi solo delle “pietre” e dei “palazzi” (ed è un futuro, si spera, ingegnere civile a scriverlo!)? Non sono pratico, dati i miei studi, delle metodologie per risolvere o alleviare problemi di carattere sociale, ma credo che Taranto debba prima “ritrovarsi” nella popolazione, debba prima dare un’opportunità ai numerosi ragazzi che vagabondano per le strade tra un giro “di perlustrazione” in motorino, una siringa in solitudine e, magari, una rissa. Se si vuole veramente puntare al turismo bisognerebbe, per esempio, andare da quei ragazzi, fargli fare dei corsi di studio (magari universitari, ma non solo), creare delle specie di “comunità-associazioni” che siano un punto di riferimento (e farsi “vedere”, dare “testimonianza” a livello nazionale anche per questo) e che li indirizzino verso qualche impiego di utilità sociale. So che quanto ho detto può sembrare utopistico, ma credo che la politica locale e la stessa cittadinanza non possa abbandonare a sè stessi altre persone della propria città!! Quando, in una casa, gli inquilini litigano tra loro e alcuni sono emarginati, come si fa ad accogliere altre persone?

Comments are closed.