di Remo Pezzuto
Se un giorno qualcuno scriverà la storia degli ultimi anni dello stabilimento automobilistico Fiat, dovrà inevitabilmente dedicare un capitolo al contenzioso giudiziario che ha visto contrapposti la Fiat e Fiom-Cgil, non perchè quest’ultima abbia scelto di privilegiare la lotta giudiziaria rispetto a quella sindacale, ma solo perché la strategia del più grosso gruppo industriale italiano ha perseguito l’estromissione dalle proprie fabbriche, prima fisica e poi giuridica, dei rappresentanti sindacali, e persino degli iscritti, appartenenti a quell’organizzazione. Le decine di cause promosse dalla Fiom, quindi, altro non sono che legittima difesa a fronte di un attacco senza precedenti, programmato, vien da pensare, con scientifica determinazione.
Il 19 Ottobre 2012, i giudici della Corte d’Appello di Roma, hanno dato ragione alla Fiom, sulla assunzione di 145 lavoratori iscritti al sindacato dei metalmeccanici della Cgil nello stabilimento della Fiat di Pomigliano. La sentenza emanata, ricalca le stesse linee giuridiche con cui il 21 Giugno del 2012 il Tribunale del Lavoro di Roma, aveva condannato la Fiat all’assunzione dei 145 operai in fabbrica, dopo aver giudicato ad agosto, “inammissibile” la richiesta della Fiat di sospendere l’ordinanza di assunzione per i 145 iscritti alla Fiom, riconoscendo una discriminazione ai danni del sindacato nelle riassunzioni dei dipendenti dello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco. I giudici di merito, con una pronuncia dall’altissimo valore simbolico, hanno infatti giudicato discriminatoria la condotta dell’azienda che, dopo la ristrutturazione dello stabilimento industriale di Pomigliano, ha riassorbito soltanto lavoratori non iscritti a tale organizzazione sindacale. Da qui, la condanna a riassumere i dirigenti sindacali esclusi dalla ripresa della produzione che hanno sottoscritto personalmente il ricorso proposto dall’organizzazione dei lavoratori e che, dunque, vanno risarciti del danno non patrimoniale liquidato in 3 mila euro a testa, basato sull’assunto che l’iscrizione al sindacato non può essere intesa come elemento di selezione e discriminazione nelle assunzioni. Nel prendere atto del dispositivo della sentenza della Corte d’Appello di Roma con cui respinge il suo ricorso avverso alla sentenza del Tribunale di Roma del 21 giugno scorso, la Fiat, riserva il ricorso in Cassazione.
Dai fatti emergeva che, nessun iscritto alla Fiom risultava assunto da “Fabbrica Italia Pomigliano”, la nuova società costituita per la gestione dell’impianto metalmeccanico vesuviano. Da qui, il ricorso dei dirigenti Fiom ex articolo 28 del decreto legislativo 150/11 (che tutela i diritti propri dei lavoratori a non essere oggetto di condotte discriminazioni per il loro credo sindacale) ed ex art. 28 della legge 300/70 (che tutela l’interesse rispetto alla lesione dell’organizzazione sindacale). Il giudice, accogliendo il ricorso, ha dichiarato “la natura di discriminazione collettiva di cui al decreto legislativo 216/03 rispetto alla condotta posta in essere dall’azienda” e ha ordinato al datore di lavoro di “cessare dal comportamento scorretto e di rimuoverne gli effetti”. Non solo quindi l’azienda deve assumere i 145 lavoratori iscritti alla Fiom ma nel prosieguo delle operazioni di riassorbimento del personale nello stabilimento deve mantenere la percentuale dell’8,75 per cento di tutti gli assunti in favore della sigla dei metalmeccanici della Cgil. Non si tratta, si legge nelle motivazioni della sentenza del Tribunale del Lavoro di Roma, del riconoscimento di una quota di riserva in favore degli iscritti al sindacato, ma “dell’unico strumento che nel caso di specie si rivela idoneo a rimuovere gli effetti dell’accertata discriminazione e di prevenirne la reiterazione”. Inevitabile, insomma, la conclusione del giudice laddove “il decreto legislativo 216/03 costituisce l’attuazione della direttiva Cee 2000/78 e la giurisprudenza comunitaria in materia antidiscriminatoria afferma che, una volta accertata la lesione del diritto alla parità di trattamento, la riparazione non può che consistere nell’attribuzione del bene ingiustamente negato”.
Il risarcimento per danno non patrimoniale, nel caso di specie, deve essere individuato nell’alterazione dello stato psicologico determinata dal legittimo timore della mancata assunzione a fronte dell’oggettiva discriminazione della categoria di appartenenza. “La risarcibilità del pregiudizio”, spiega il giudice, “presuppone lo svolgimento di un’indagine psicologica per accertare la consapevolezza del singolo lavoratore di essere oggetto di discriminazione e l’alterazione del suo normale stato d’animo per il timore della perdita definitiva del posto di lavoro”. Nel caso dei diciannove lavoratori nominativamente rappresentati dalla Fiom in forza della delega espressa, l’accertamento deve ritenersi positivamente concluso laddove la volontà di agire manifestata da questi lavoratori costituisce una concreta prova sia della consapevolezza della discriminazione, sia del conseguente turbamento d’animo.
Il principio di non discriminazione e della condotta antisindacale, non sono state le uniche tematiche attraverso le quali si è sviluppato l’attacco ai diritti dei lavoratori iscritti alla Fiom. Un diverso contenzioso ha visto protagonisti, nell’anno 2011, da un lato sempre la Fiom e dall’altro società rappresentative di Federmeccanica, avente ad oggetto l’applicabilità del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro unitario del 2008 o il CCNL separato del 2009. Questo ha fatto emergere temi irrisolti ma importanti del diritto sindacale, quali la rappresentanza e la rappresentatività delle organizzazioni sindacali orfane della mancata attuazione dell’art. 39 Cost. e, conseguentemente, l’ambito di applicazione dei contratti collettivi post-corporativi. I diversi giudici pronunciatisi, sia accogliendo che respingendo i ricorsi Fiom, hanno sostanzialmente tutti negato la iniziale pretesa datoriale di dare applicazione esclusiva (e sostitutiva) del CCNL separato: è stata infatti ribadita unanimemente la lettura “tradizionale” dei contratti collettivi come contratti di diritto privato, i quali teoricamente potrebbero convivere nell’ambito della stessa azienda disciplinando ognuno i rapporti dei propri iscritti. La confusione che ne deriva, anche rispetto alla sorte dei non iscritti, rende di stringente attualità l’esigenza di un definitivo chiarimento (alla quale ha dato solo parziale risposta l’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011).
L’itinerario giuridico per cercare di negare la rappresentanza alla Fiom all’interno degli stabilimenti Fiat ha richiesto alcuni passaggi: l’uscita da Federmeccanica (firmataria dell’Accordo Interconfederale che aveva introdotto le RSU – Rappresentanze Sindacali Unitarie, di natura elettiva, assegnando alle stesse le prerogative che lo Statuto dei Lavoratori riserva alla RSA – Rappresentanze Sindacali Aziendali), la disdetta di tutti gli accordi previgenti e la scelta, negli accordi separati di Pomigliano e Mirafiori prima e nel Contratto Collettivo di Settore del 13.12.2011 poi, di ritornare al vecchio istituto delle RSA, unicamente perché il testo di legge che le disciplina (art. 19 Statuto dei Lavoratori) prevede il requisito dell’essere firmatari della contrattazione collettiva applicata in azienda. Nei ricorsi ai sensi dell’art. 28 Statuto dei Lavoratori le categorie dei metalmeccanici della CGIL, dei diversi territori in cui esistono stabilimenti Fiat, hanno da un lato sostenuto che FIOM era comunque firmataria di accordi applicati e dall’altro proposto una lettura “costituzionalmente orientata” della norma statutaria. Non paga, quindi, cercare di impedire la costituzione di rappresentanze sindacali della Fiom.
La Fiat ha cercato persino di ostacolare la possibilità che gli iscritti a quell’organizzazione la finanziassero con il meccanismo delle “deleghe sindacali”, attraverso cui i lavoratori cedono una quota del loro salario mediante trattenuta volontaria sulla busta paga. Il meccanismo, un tempo previsto dalla legge, trova oggi una regolamentazione nei contratti collettivi, ma lo trova anche nella richiesta effettuata all’azienda dal singolo lavoratore. Confidando sulla mancanza del requisito della firma del CCLS da parte della Fiom, dal gennaio 2012 in tutti gli stabilimenti Fiat venivano tagliati i fondi ad essa sola. Ma questa volta la cieca volontà della Fiat di sfiancare la storica e combattiva organizzazione sindacale anche sotto il profilo della sua sussistenza economica, si è scontrata contro un ostacolo giuridico. Infatti, in occasione del ritesseramento di tutti gli iscritti, voluto dalla Fiom nel 2011 per una verifica della propria rappresentatività, era stato precisato, da parte dei lavoratori, che la cessione della quota sindacale aveva luogo ai sensi dell’art. 1260 c.c., secondo cui si ha diritto di cedere parte del proprio credito ad una terza persona anche qualora il debitore (in questo caso il datore di lavoro) non sia d’accordo. A seguito di ricorsi ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori promossi dalla diverse categorie territoriali della Fiom, hanno dichiarato antisindacale la condotta Fiat che ha deciso, poi, di desistere da questo comportamento nelle aziende alle quali ancora non era stata fatta causa.