di Luca Frosini
Iniziamo da una banalità: il ventennale dominio di Roberto Formigoni, detto O’celeste (per i suoi amici di Napoli, periferia a sud di Milano, o almeno così dicono i leghisti) sulla regione lombarda è finito kaput, game over.
Elencare i motivi che hanno portato il ciellino più amato d’Italia a questo tracollo sarebbe quindi piuttosto facile, quasi inutile, perché ormai li conosciamo tutti fin troppo bene.
Negli ultimi anni tra inchieste, tangenti, un buon 80% del consiglio regionale indagato, (compresi qualche portiere e numerosi lavavetri oltre che a un incolpevole igienista dentaria), ’ndrangheta e generica delinquenza politica, dalle parti del grattacu…grattacielo meneghino se ne sono visti di tutti i colori. Un crescendo che nemmeno il più cocainato degli sceneggiatori hollywoodiani avrebbe potuto creare.
Una rincorsa forsennata verso il climax del malaffare che non può non stupire chi ha sempre perdonato tutto al buon Roberto, il “pucciosissimo” amministratore che ha dato a noi lombardi tante belle cose nella sanità e nel lavoro. L’uomo del destino per la regione e la città capitale (a)morale d’Italia, è considerato il “paladino” del bene, il cattolico casto e puro, capace però di consegnare tutto il tuttibile alla più potente holding esistente dai tempi della Legione del Male: la famigerata “compagnia delle opere” (TA-DAAN!).
Ma chi è Formigoni, alla fin fine? Da dove viene? Cosa rimarrà di lui quando tutto la polvere che lo circonda inizierà a posarsi?
La risposta, come per tutte le domande semplici, è in realtà piuttosto complessa. Se c’è infatti una persona che nel suo percorso politico ha cambiato faccia con la stessa facilità con cui io macino spazzolini (dopo averli usati per pulire le lamette da barba come da antica tecnica cinese) è proprio il nostro Formigoni. Dagli esordi nella Dc, passando per i Popolari nel post big bang del ’92, fino ad arrivare all’attuale “Popolo della libertas”, il Nostro ha cambiato casacca almeno una decina di volte, ritrovandosi sempre misteriosamente in posizioni di comando o comunque di prima fila nelle varie organizzazioni. Per dire, nei primi anni ‘90 è stato capace di concorrere per la leadership di un paio di partitini di nostalgici Dc (con quel genio incompreso di Rocco Buttiglione) in quanto persona incontinente ,o meglio incontentabile, che non vuole lasciarsi sfuggire proprio nulla.
Solo una cosa è rimasta immutabile e sempre presente nella sua carriera, una sigla particolare che inizia con C e finisce con L. Provare a comprendere il Celeste senza parlare di questa tranquilla congrega di simpatici fraticelli, con cui Roberto si rapporta ormai da quarant’anni, è praticamente impossibile.
Un gruppo, divenuto poi fede quasi sostitutiva di quella cattolica “gusto liscio”, che lo ha accompagnato in tutto il suo percorso politico e personale, lasciapassare “easy” per il lavaggio di coscienza, anche e soprattutto quando il Bob riusciva a creare, dal ‘95 in poi, un sistema indistruttibile d’interessi e di faccendieri sanguisuga, tra l’altro “coperti” da un arroganza di fronte all’evidenza come neanche il Berlusconi dei tempi d’oro.
Un sistema che però sembra arrivato al capolinea, insieme al suo creatore, trasformatosi ormai da futuro capo in pectore del Centrodestra ad appestato simbolo della corruzione politica, un celeste sempre più sporco e tendente al grigio stinto.
Chiedersi cosa ne sarà di lui e di tutti noi suoi vicini di palazzo, è materia al vaglio degli inquirenti, come direbbe qualche giustizialista. Di sicuro non sarà facile, per chiunque arriverà, spazzare tutto sotto il tappeto e far finta di nulla, quando “quel” modo di fare politica è stato così pervasivo e visto come “inevitabile”, nel nome di un’ipotetica buona amministrazione, da non poter cancellato con un colpo di spugna senza tanti problemi.
E quindi non ci resta che accendere un cero all’amico del nostro Roberto, quello che sta lassù in cielo, che tutto vede e provvede e che ha sempre aiutato gli onesti di cuore, meno quelli di portafoglio. Sì don Giussani, sto parlando proprio di te.