Morire sul e per il lavoro

di Morris Franchini

Sit tibi terra levis”: ovvero “che la terra ti sia lieve”. L’origine di questa locuzione è da ricercare nell’immagine del peso della terra sul corpo del defunto, che dà a chi ne piange la perdita un senso di angoscia, di oppressione, da cui l’auspicio. Ma la terra è più pesante dello stesso cielo come quando è soffocato da tante nuvole grigie ed appare scura ed insondabile: così è, almeno credo, per chi muore al lavoro e per il lavoro. Novembre è storicamente il mese dedicato ai defunti e, quest’anno, è stato annunciato in maniera scioccante e rumorosa come un colpo di frusta nell’aria silenziosa. Giorno 30 ottobre è una data che difficilmente potrò dimenticare: vi racconterò due storie di due uomini schiacciati dalla terra amara. Il primo si chiamava Emidio Fanelli, un uomo residente a Leporano (TA), 55 anni di età. Di professione guardia giurata, almeno lo era, dato che da tempo era in cassa integrazione per la chiusura dell’azienda nella quale prestava servizio. Aveva una grave malattia tumorale in fase avanzata. Chissà quali sono stati i suoi pensieri quando ha puntato la sua pistola, detenuta regolarmente, ed ha ucciso con un colpo alla nuca Rossana, 28 anni, la figlia maggiore e poi ha rivolto l’arma contro se stesso ammazzandosi. Il protagonista della seconda storia si chiamava Claudio Marsella, un giovane uomo residente ad Oria (BR), 29 anni di età. Di professione operaio, faceva il locomotorista presso lo stabilimento siderurgico ILVA di Taranto. 

Claudio è rimasto schiacciato mentre effettuava presumibilmente la manovra di aggancio della locomotrice ai vagoni. Al soccorso immediato prestato dai colleghi è seguito l’arrivo del 118, ma il giovane non ce l’ha fatta: è spirato dopo l’arrivo in ospedale. Chissà quali sono stati i suoi pensieri in quel tragico momento. Con quella di Claudio sono quarantacinque le morti degli operai avvenute all’interno dell’ILVA di Taranto dal 1993. L’ultima disgrazia si era verificata l’11 dicembre del 2008 quando un lavoratore polacco, dipendente di un’azienda appaltatrice, cadde da un ponteggio dell’Altoforno 4. Gli incidenti mortali nel siderurgico tarantino sono avvenuti per le cause più disparate: molti operai sono deceduti in seguito a cadute da ponteggi di impianti, a esplosioni di macchinari o al crollo di gru, o perchè colpiti, nel corso delle fasi delle varie lavorazioni, da pesanti bramme o schegge di materiali; altri operai sono morti per aver inalato gas nel corso di lavori di manutenzione.Ma perché vi ho raccontato queste storie? Sono due capitoli che riassumono, nella loro drammatica tragicità e nei loro tanti punti in comune, il morire sul e di lavoro, le cosiddette “morti bianche”. Come se queste morti siano candide, immacolate, innocenti, ma sono morti “sporche” ed inaccettabili. In queste morti c’è sempre un responsabile, a volte più di uno. Si muore al lavoro per un incidente molto spesso dovuto alle condizioni di sicurezza spesso precarie o nulle, per la scarsa conoscenza e/o osservanza delle pratiche operative. Nel 2011 ci sono stati più di 1170 infortuni mortali, di cui 663 sui luoghi di lavoro: +11,6% rispetto al 2010. Dal primo gennaio a questi giorni sono morti sui luoghi di lavoro ben 542 lavoratori (almeno quelli documentati). Sono oltre mille dall’inizio dell’anno se si aggiungono i lavoratori deceduti in itinere e sulle strade mentre svolgevano un’attività lavorativa, indipendentemente dalla loro posizione assicurativa e dalla loro età. Il 35,5% delle vittime sono in agricoltura, di questi la maggioranza schiacciate dal trattore (oltre 100 dall’inizio dell’anno). Edilizia 28,4% sul totale, in questa categoria quasi il 30% delle morti è causata da cadute dall’alto. Industria 11,8%, quest’anno quasi la metà di queste morti sono state provocate dal terremoto in Emilia. Servizi 5,8%. Autotrasporto 6,6%. Il 3% Esercito Italiano (Afghanistan). Il 2,7% nella Polizia di Stato (tutte le morte causate in servizio sulle strade). Il 13,3% dei morti sui luoghi di lavoro sono stranieri. Per quanto riguarda l’età delle vittime: il 4,9% hanno meno di 29 anni, dai 30 ai 39 anni il 14,1%, dai 40 ai 49 anni il 24,48%, dai 50 ai 59 anni il 15,7%, dai 60 ai 69 anni il 9,5%, il 12,8% ha oltre 70 anni. Del 16,5% non si è a conoscenza dell’età. La Lombardia detiene il triste record con 68 morti, mentre nella nostra Puglia sono stati stimati ben 24 infortuni mortali sul lavoro. Ma si muore per il lavoro che si perde o che non arriva e sempre più spesso, in preda alla disperazione, avviene il suicidio di una persona o, addirittura, l’omicidio. Dal 2009 al 2011 si sono contati oltre mille suicidi tra lavoratori ed imprenditori nella gran parte dei casi compiuti da persone espulse dal mercato del lavoro.Poi, c’è la moltitudine silenziosa di chi muore per una malattia contratta sul posto di lavoro. Infatti, il rapporto 2011 dell’INAIL, illustrato alla Camera l’8 luglio 2012 dal Presidente dell’Ente Assistenziale, ha evidenziato un andamento delle malattie professionali che segna un incremento percentuale delle denunce pari al 10% rispetto a due anni fa, dato che se confrontato con quelli registrati nel quinquennio precedente, arriva a sfiorare il 60% d’incremento delle malattie professionali. Infine, ci sono le molteplici morti che avvengono nelle aule dei tribunali, all’interno delle quali si aspetta troppo a lungo per avere giustizia nelle cause derivanti dagli infortuni mortali sul lavoro.

Tante volte è importante stare in silenzio soprattutto quando si sente tutto questo dolore. Vi ho raccontato due storie ed ora, per finire, vi racconto la mia. Io sono un operaio dell’ILVA ma potrei essere un lavoratore di un’altra azienda e potrei avere un altro nome ma sono, di certo per più di qualcuno una “cattiva coscienza”. Ricordo quella mattina, di diversi anni fa, quando dall’alto di un carroponte vidi un mio compagno di lavoro stramazzato a terra, mutilato di un piede. Ricordo la sensazione di quando nel mio stesso reparto sono morti, a distanza di un anno l’uno dall’altro, Vito Rafanelli e Domenico Occhinegro. Ricordo la stessa sensazione che provavo silenzio e rabbia. Dicevo che sono una “cattiva coscienza”. Sono colui che dovrebbe lavorare per vivere una vita almeno dignitosa e non morire lavorando. Sono colui che per la dannata legge del profitto di questo sistema capitalistico, vale quanto un perno, una vite: una volta rotta si deve sostituire con una più nuova. Sono colui al quale chiedete un voto e poi dimenticate tranne quando si tratta di farmi pagare tasse e crisi. Sono un operaio, figura professionale ignorata, maltrattata e supersfruttata. Sono colui al quale si chiede di lavorare fino alla vecchiaia perché è importante per lo sviluppo dell’economia. Sono colui che è stato illuso, disilluso, lasciato solo e deriso dai suoi stessi difensori che l’hanno venduto ai cosiddetti “padroni”. Sono colui che per paura di perdere il proprio posto di lavoro ha paura di altri come me o che li vede come dei concorrenti, dei nemici spietati al quale fare la peggiore di tutte le guerre: quella dei poveri. Sono colui che dice “tanto mi è andata bene molte volte stavolta non mi andrà male”…! Sono io…il moderno Charlie Chaplin incatenato alla catena di montaggio sociale dove si vive per produrre, si produce per consumare al quale si offre in pasto bisogni indotti ed inutili. Sono colui che fa notizia perché muore, che fa piangere i coccodrilli e riempie le prime pagine dei giornali per poi essere dimenticato in un terribile oblio, in un terribile silenzio. Ma questo silenzio dev’essere il momento per raccogliere un grido più potente. Grido di disperazione, rabbia, solitudine, voglia di giustizia, diritti scritti e non.

Sit tibi terra levis”: che la terra ti sia, finalmente, lieve, così come scriveva Alda Merini in una sua poesia «Ho bisogno di poesia / questa magia che brucia la pesantezza delle parole /che risveglia le emozioni e dà colori nuovi» . Riposate in pace, sorelle e fratelli miei.


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1 comment

  1. mario pennuzzi Novembre 13, 2012 11:15 am 

    una sola osservazione la dizione corretta è “omicidi Bianchi” e non “morti bianche”, saltare la parola omicidio cambia il segno della cosa, non vi è l’intenzionalità specifica ma c’è la subordinazione della vita umana alla legge del profitto, che si coglie solo precisando la parola che è ,appunto, omicidio e non semplice morte, quasi si trattasse diuna malattia o di un evento naturale.

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