di Luca Frosini
Il mondo politico attuale è estremamente divertente, a molti se non tutti i livelli. La riprova di questo luna park arriva soprattutto da una sua componente, temuta e ricercata, quale è il contatto con il piazza, il banchetto per la precisione. (momento di suspense).
Il sottoscritto, il quale per esigenze di privacy occulterà il suo nome in Luca Frosin, una certa esperienza in materia l’ha avuta negli ultimi mesi, vissuto poi esploso recentemente con i referendum su lavoro, divenuti la cartina al tornasole per capire cosa agita la pancia dell’elettorato medio (o di una specie) almeno qui dalle mie parti, il nord estremo della penisola, terra un tempo “verde”e al massimo azzurra – sapete a cosa alludo – ora reduce da una bella passata di diserbante da lasciarla di un sano colorito marrone da espletamento fisiologico.
L’eredità lasciata dall’espletamento di cui sopra si nota, dietro la sicurezza di un tavolino e di un modulo da referendum, da una serie di figure ormai tranquillizzanti nella loro ripetizione, tanto da poterli indicare quasi come maschere da commedia dell’arte (si vede che ho studiato al Cepu eh?): abbiamo innanzitutto la vecchietta Schopenhauer, cinica e disillusa, di quelle che ti dicono che in fondo sono tutti uguali e che non serve più a nulla (i referendum in questo caso), seguita dal pari età, spesso il marito, incacchiato a palla, urlando che dovrebbero far saltare in aria il parlamento o cose simili se hanno le palle, espressione spesso abusata. A questi si aggiungono il giovane che non vuole sapere, il coetaneo che “non mi hanno mai regalato nulla ed è uno schifo, dovreste lanciare qualche molotov”, l’aspirante profeta con la ricetta pronta per risolvere tutti i problemi, il nostalgico che quando c’era lui, pronome che va da Benito a Berlinguer passando per De Gasperi, tutto questo non succedeva, l’uomo o donna d’affari che sfrecciano accanto quasi travolgendoti, lasciando una scia di fiamme tipo cartoni animati del Looney Tunes.
Una parata di facce e figure che si ripete a ritmi addirittura ossessivi, un “fenomeno”che, nella mia sicura ignoranza storica, si direbbe che abbia radici profonde, sperdute in quell’intreccio di menefreghismo e disillusione pienamente motivata da uno spettacolo politico indecoroso tale da non risparmiare nessuno, nemmeno – true story – il sindaco del piccolo paese “in cui tutti si conoscono”o quelli un tempo duri e puri (quello mi sembrava l’unico pulito, frase spesso sentita recentemente) senza scomodare casi di cronaca nazionale fin troppo noti guardando tivù o leggendo quotidiani.
Un humus informe e senza connotazione precisa, un calderone in cui ci si può trovare dentro di tutto, dal ex sinistrorso al berlusconiano deluso, la personificazione del pericolo di vedere la politica “attiva” trasformata in un affare di pochi, un circolo Pickwick – grazie, master a Grandi Scuole! – incapace di farsi capire da una società “civile” colpita e affondata, che ormai parla una lingua di rabbia e incazzatura non compresa spesso per propria decisione da quelli dalla “nostra” parte, e con nostra parte intendo i militanti – grazie Trota per la dritta sul termine! – in tutte le salse del termine. Una situazione che spero con tutto il cuore limitata alla ridente Como, mia fortunata città lumbard, ma purtroppo qualcosa mi dice, io generico pirla, che si stia propagando un po’ dappertutto, una tabula rasa che corre il rischio di venire coltivata da qualcos’altro di estremamente pericoloso con un vago sentore di olio di ricino, o almeno con un retrogusto da soluzione semplice che poi non risolve una beata ceppa, parente nordico della minchia meridionale.
P.s.: si vuole chiamare tutto ciò antipolitica? Forse, di sicuro, può essere visto come sintomo e segno di un colorito “istituzionale” sempre più palliduccio. Intanto firmate i referendum sul lavoro se non l’avete già fatto – occhiolino.