di Cosimo Spada
Casa mia è vittima di un terribile contagio. No, non c’è nulla da ridere, è un dramma familiare in piena regola. Nessuna telenovela sudamericana anni 80 con tanto di capelli cotonati potrebbe mai raccontare questa tragedia. Questa tragedia ha un solo nome: Real Time.
Sì proprio il canale televisivo. Dalla sveglia all’ora di andare a dormire, questo canale occupa la tv. Dalle madri che si sputtanano il patrimonio per il compleanno della figlia, ai tre che vanno a mangiare a sbafo a casa delle persone e poi hanno pure da ridire se le posate non sono nell’ordine giusto, tutto fa brodo a casa mia e tutto può essere visto.
Ma il dramma può diventare tragedia. Ed è diventato tragedia. Anche io sono rimasto traviato da Real Time.
Non so come scusarmi; all’inizio quel canale mi faceva schifo e lottavo strenuamente per non doverlo vedere, ma ho perso.
Nello specifico il programma che mi ha rapito è “Ma come ti vesti?”. Per chi non lo conoscesse i protagonisti sono due: Enzo e Carla, che di volta in volta aiutano una ragazza, che non ha molto gusto nel vestire, a trovare un nuovo look; la parte più divertente però del programma è quando Enzo e Carla deridono i gusti della tizia di turno. Godo come Beppe Grillo durante i suoi comizi.
Anche se io non sono un esperto di moda e a tutt’oggi il mio grande dilemma è come abbinare certi colori, ho imparato presto l’importanza di avere uno stile.
L’ho imparato dopo quella volta che, indossando un golf arancione e una camicia verde con dei fiori argentati, mi sentii dire: “Ma che cazzo ti sei messo addosso?”.
Con gli anni la mia visione di cosa sia appropriato indossare è stata molto influenzata dalla musica e dalle sottoculture che ha contribuito a generare, anche se in alcuni casi non è stato consigliabile seguire queste mode alla lettera.
Il secondo Novecento ha visto sempre più interagire la musica con la moda, anche quando si rifuggiva da essa; prendete il caso delle camicie di flanella nel periodo del grunge. Da anonime camicie dei boscaioli dello stato di Washington, sono diventate icone di un movimento musicale, che pure non dava peso a questo aspetto. Dovrebbe essere stato Armani a dire che “la vera eleganza non consiste nel farsi notare, ma nel farsi ricordare”. Nella musica invece si potrebbe dire che la vera eleganza consiste nel farsi notare e nel farsi ricordare.
Ogni musicista che ha contato qualcosa ha anche avuto un forte impatto visivo curando anche il suo “autfit”(grazie Enzo e Carla per avermi insegnato cosa significa outfit). Morrisey e le sue camicione sbottonate, il Bowie del periodo berlinese con i suoi completi bianchi, Prince con i suoi tacchi altissimi.
Joe Strummer e tutti i Clash, che pure venivano dal movimento punk, erano molto attenti al modo in cui si presentavano al pubblico, e lavoravano con una stilista che disegnava tutti i loro vestiti di scena. Joe diceva che era inaccettabile che il tuo pubblico fosse vestito meglio di te sul palco. Come dargli torto.
La musica ha sempre visto nella moda un suo necessario completamento e questo, spesso, è arrivato senza una mediazione; dal canto suo la moda ha contribuito a rendere iconica l’immagine di molti musicisti.
Non per fare quello che ama solo il passato ma io sorvolerei sulla moda in ambito musicale negli anni 80 e 90, proprio non si può vedere.
Negli anni Duemila, complice anche la retromania imperante, molti musicisti hanno cercato di ricreare quell’immaginario visivo e come vestiario dello scorso secolo.
Quelli che secondo me sono riusciti a farlo con gusto, e sono pure riusciti a fare musica niente male, sono i Franz Ferdinand.
I Franz Ferdinand fin dal loro esordio hanno sempre avuto la loro bussola del gusto musicale e sartoriale su alcune coordinate precise: il punk funk di fine anni 70/primi 80 di gruppi come Talking Heads ed Orange Juice (il debito con questi ultimi è altissimo, ed in parte ripgato, ma ne riparleremo); i Beatles del periodo coi capelli a scodella, e gli anni 50 impersonati da film come Il Selvaggio e il gruppo tedesco dei Kraftwerk. Musicalmente, anche grazie al grande talento del principale autore della band Alex Kapranos, i FF giocano sull’alternanza tra testi tristi o malinconici a volte ossessivi e musica energetica e aggressiva. Il loro primo ed omonimo album tiene conto anche di sonorità vicine alla disco grazie a quel “tipico ritmo incalzante di cassa rullante e charleston”. Pezzi come Take Me Out, rendono bene questo contrasto: un testo che parla di storie finite e dell’impossibilità di stare insieme sostenuto da un ritmo funky disco adatto a non rimanere fermi. Oppure Michael, ossessivo pezzo punk dal testo vagamente gay; This Fire dove un fuoco che consuma tutto è quasi alimentato da una perfetta chitarra funk o infine il brano d’apertura Jaqueline, che parte con un Kapranos folk che racconta la storia di giovani lavoratori che sognano le vacanze per poi esplodere in un travolgente rock n’ roll. Dal vivo sono anche meglio, e non perdono mai il loro stile. Soprattutto anche a fine concerto non te li ritrovi mai con la camicia fuori dai pantaloni. Massimo rispetto.
Mentre scrivevo questo pezzo ascoltavo:
Marvin Gaye, What’s Going On, 1971