di Serena Miccoli
Il 20 Novembre ricorre il TdoR, ovvero il Transgender Day of Remembrance, il giorno in cui si ricordano tutte le vittime della transfobia. Nato nel 1998 a seguito dell’omicidio di Rita Hester, costituisce oggi un momento di riflessione non solo per la comunità LGBT ma per la società tutta e vede l’organizzazione di numerose iniziative in tutte le città, anche in Italia. In particolare quest’anno a Lecce avrà luogo un dialogo fra esperti, rappresentanti delle istituzioni e membri della comunità che vede coinvolti i tarantini Nadia Durante, laureanda in Scienze e tecniche psicologiche, e Miki Formisano presidente dell’NPS Puglia Onlus.
Quello di Miki e Nadia è il lodevole impegno di chi, pur avendo portato a termine una fase del proprio percorso di vita e raggiunto il desiderato obiettivo, si spende condividendo la propria storia, spesso dal passato doloroso, al fine di informare e farsi testimoni, con il proprio corpo e la propria anima di un cambiamento possibile, di quel “coronare un sogno ed essere quello che in realtà si è” che dalla serena maturità di Miki oggi traspare.
«Ho 48 anni e qualche anno fa un po’ tutto era tabù. Non si parlava di identità di genere, di disforia di genere.» – dice Miki al quale ho chiesto di raccontarmi da cosa parte il percorso di transizione da un sesso all’altro.
Il suo, parte da lontano, da quando era bambino e sapeva già di essere omosessuale «Lo avverti subito, lo senti sulla tua pelle» e con il passare del tempo «non essendoci l’informazione di adesso ritenevo di essere una persona che ha un orientamento sessuale verso le persone del mio stesso sesso. Mentre la cosa è completamente diversa e stavo male; sentivo che non era quella la mia dimensione.»
La convinzione nella propria omosessualità è continuata negli anni e l’incomprensione di ciò che avveniva dentro e fuori di sé ha portato Miki a una grande sofferenza: «durante l’adolescenza, il momento più critico della mia vita, ho avuto la conferma: avveniva il confronto con ciò che non vuoi e non senti di essere, con il seno che cresce e lo sviluppo che avanza. Un momento bruttissimo: senza il supporto di nessuno mi sono trovato nella tossicodipendenza perché non riuscendo ad avere una prospettiva futura, non riuscendomi a vedere né come padre, né come madre, né come marito, né come moglie, mi sono sentito perso e volutamente mi sono circondato di persone sfortunate, mi sono attirato negatività e mi ci sono buttato di testa.
Sono stati anni bui: la tossicodipendenza, poi il carcere. Vivendo la tossicodipendenza, con un’identità maschile non ce l’avrei fatta mai a prostituirmi: per cui andavo a rubare; avevo una ragazza che dovevo mantenere, anche lei in questa situazione drammatica.
Così sono passato dal carcere, ad appena 18 anni, alla diagnosi dell’HIV a 20: un’altra bella batosta. Nel frattempo continuava il disagio: la mia identità che non corrispondeva al mio corpo.
Un disagio tale da essere diventato un autolesionista, tanto da catapultarmi in situazioni altrettanto forti che però non mi ci facevano pensare…un meccanismo perverso, ora lo capisco – adesso ho la maturità di capire questo.»
La solitudine, l’incomprensione sono motivi ricorrenti nel racconto di Miki, così come la mancata informazione, figlia degli anni e della mentalità. Nonostante l’esperienza, ripetuta, del carcere e la presenza di psicologi in quelle strutture, nessuno è stato in grado di capire la guerra che il ragazzo, nel corpo di una donna, combatteva dentro di sé: «in quel momento mi sentivo solo, mi vedevo solo, non avevo nessuno, non avevo riferimenti né persone a cui chiedere informazioni. Nessuno ha mai tentato di capire il mio disagio. Ormai per loro ero il delinquente, il tossicodipendente, il caposezione – perché primeggiavo ovunque. Le mie risposte erano sempre violente, verso le istituzioni e verso le persone che mi circondavano. Investivo la mia rabbia in quelle situazioni. Per essere il capo dovevo essere più cattivo degli altri, ma dentro non ero così: era una maschera che dovevo indossare ogni giorno per sentirmi accettato, per vivere quella vita e non pensare alla vita che avrei voluto vivere.»
Nel ’96 arriva, poi, per Miki la diagnosi di AIDS conclamata «ho avuto la fortuna dell’avvento dei farmaci antiretrovirali. La mia vita è andata avanti così. Ha avuto storie importanti, con compagne che condividevano la mia stessa situazione. Relazioni abbastanza lunghe, alla cui base c’era l’amore ma anche l’eroina di mezzo: non poteva esserci spazio per una crescita e una progettazione del futuro. Era un farsi male continuo.»
Poi finalmente la luce: «Ho incontrato la mia attuale compagna, al di fuori da tutte le situazioni: è stata per me un incentivo. Ho iniziato a fermarmi e a riflettere ed è scattata la molla: un minimo di informazione che mi è giunta mi ha aperto gli occhi, aprendomi la speranza di potermi riconoscere nell’immagine riflessa che io vedo allo specchio. Ho iniziato ad informarmi meglio, a conoscere persone che avevano fatto il mio stesso percorso, a confrontarmi con loro. Mi hanno incoraggiato, sostenuto assieme alla mia compagna e ho capito che ce la potevo fare: potevo riavvolgere la bobina della mia vita, tornare indietro e riprendere a vivere.»
«Sono andato presso l‘ONIG di Bari, unico centro il Puglia, un ottimo centro. Al primo colloquio con la psicologa mi si è aperto un altro mondo.»
Alla domanda se avesse messo il primo piede all’ONIG, Osservatorio Nazionale sulle Identità di Genere, con qualche timore o dubbio, mi risponde: «Ho sempre saputo quello che volevo: solo che pensavo non esistesse. I miei cari amici mi hanno fatto capire che potevo farcela anch’io, nonostante le mie vicissitudini.»
La decisione di riconciliare il genere con il proprio corpo viene accolta con un po’ di timore da parte della famiglia di Miki, preoccupata per la sua salute. La sua compagna vive il cambiamento che già in cuor suo sapeva e aveva visto lontano dalle apparenze. Miki racconta, infatti: «la mia compagna è stata una delle poche persone che ha visto la mia anima. Mi aveva già visto lei per come ero, non mi vedeva come donna, aveva già percepito la mia anima. Quando le ho parlato delle mie intenzioni lei mi ha risposto: Io ti amo così come sei, sei libero di fare quello che vuoi. Siamo andati insieme, mi ha sempre accompagnato nelle tappe di questo percorso doloroso ma per sofferenze che sopporti benissimo, sofferenze fisiche, discriminazioni che subisci da alcune persone.
Ho coronato il mio sogno con il cambio dei documenti, e con il mio corpo ero come un bambino che muove i primi passi: cambiamenti che gustavo giorno dopo giorno assieme con la mia compagna.»
Ma quanto dura il percorso di transizione?
«Sono stato fortunato: il mio poco più di 4 anni. I percorsi sono individuali, non hanno durate standard. Le liste d’attesa sono lunghissime.»
Le liste d’attesa, i tempi lunghissimi costituiscono alcuni dei motivi per i quali alcune e alcuni trans scelgono la via della prostituzione, una condizione che da mezzo, considerata la difficoltà che si ha nel trovare un lavoro e il costo di interventi fuori dall’Italia, si trasforma in circolo vizioso pericoloso da cui è difficile uscire.
Di recente Vladimir Luxuria è divenuta promotrice di una petizione per la depatologizzazione della transessualità. Miki si dice favorevole a ciò, ma a condizione che le spese per il percorso di transizione restino a carico del SSN, così che non diventi il privilegio di pochi abbienti, di proprio o per guadagni frutto della prostituzione.
Come dicevo all’inizio, iniziative per il Tdor si svolgono in quasi tutte le città italiane. A Taranto no.
Espandendo il nostro sguardo su tutte le azioni fatte per rivendicare i diritti che non appartengono solo alla comunità LGBT ma ad un Paese degno d’essere chiamato civile, notiamo che a Taranto i promotori si trovano fra i singoli attivisti, le associazioni studentesche, quelle di sinistra e i partiti a caccia di consensi. O almeno quelle che vengono pubblicizzate.
Nel 2010 con una delibera il Comune di Taranto si impegnava, nonostante il voto contrario in un frangente della discussione dei soliti noti e l’astensione/assenza di alcuni elementi di sinistra, con una serie di azioni a combattere la transfobia e omofobia e ad invitare il Governo ad agire in proposito : una bella iniziativa, una dimostrazione di progressismo che la giunta Stefano ha dimostrato. Ma quanto altro è stato fatto?
Il movimento LGBT a Taranto dovrebbe avere la forza di mostrare la stessa unità che c’è nelle serate nei locali, anche in campi come la lotta per il riconoscimento delle coppie di fatto.
Miki mi congeda lanciando un appello attraverso questa colonna, che rivolge alla comunità LGBT: «Chiediamo il supporto delle istituzioni, noi possiamo dare un grande contributo. Uniamoci e cerchiamo insieme di cambiare le cose. Facciamo qualcosa!
Intanto grazie a professionisti dell’Asl sensibili alle problematiche della comunità LGBT stiamo strutturando un percorso tramite i consultori. Le persone omosessuali o che hanno un’identità di genere diversa potranno lì trovare un punto di riferimento dove chiedere informazioni e supporto, o intraprendere il proprio percorso»
Per approfondire http://www.onig.it/drupal6/node/9
un grazie a serena,non è da tutti affrontare temi che per molti sono ancora,purtroppo scomodi e inappropriati.
Grazie ancora a te Miki :)
Spero che qualcuno leggendo possa trovare la forza per affrontare con serenità il proprio cammino