di Luca Solcacielo
Cos’è la vita se non un continuo inseguimento di scadenze imposte? Ci sono le bollette delle utenze domestiche, il canone Rai, l’assicurazione dell’auto, la rata del mutuo e via discorrendo. Un altra categoria sono le disgrazie planetarie annunciate come il Millennium Bug e la profezia dei Maya. Poi c’è la chiusura dell’ILVA, che fa caso a se e che sicuramente farà impazzire gli studiosi di misteri tra qualche centinaio di anni. In effetti la data della chiusura del più grande stabilimento siderurgico d’Europa è un argomento talmente abusato che nel 2012 conta una mezza dozzina di date diverse. Chi in fabbrica ci lavora sa bene a cosa mi riferisco. Si è partiti quando il Ministro dell’Ambiente, dopo che la magistratura tarantina aveva fatto intuire che questa volta si faceva sul serio, il 15 marzo ha deciso la riapertura della procedura per l’Autorizzazione Integrata Ambientale. In poco tempo iniziò a circolare, dall’alto verso il basso, la notizia per la quale senza AIA l’azienda non avrebbe potuto produrre, per cui entro la fine dello stesso mese si sarebbe chiuso. Il 30 marzo in effetti la fabbrica produsse meno del solito perché l’operazione “terroristica” (nel senso di inculcare nei lavoratori il terrore di perdere il posto di lavoro) era riuscita nel suo intento di utilizzare le maestranze come un maglio nei confronti dell’azione della magistratura. Si è passati poi al 26 Luglio, giorno in cui il Giudice per le Indagini Preliminari firma l’ordine di sequestro per gli impianti dell’area a caldo. Quel giorno la tensione fu altissima e la voce che circolava era quella (falsa) secondo cui carabinieri fossero dentro la fabbrica intenti a fermare gli impianti. Si arriva alle ultime settimane in cui, dopo il limite imposto di 15.000 tonnellate giornaliere di minerale, il Presidente Ferrante annuncia che il 14 dicembre l’ILVA chiuderà per mancanza di materia prima, non escludendo susseguenti rischi di incidenti rilevanti agli impianti (affermazione la cui gravità è stata forse sottovalutata, sia essa veritiera o meno). In ultimo infine la chiusura annunciata nell’eventualità la Magistratura non si pronunci a favore dell’istanza di dissequestro degli impianti, ritenuta dall’azienda condizione preliminare per l’applicazione dell’Aia e su cui il GIP dovrebbe pronunciarsi proprio in queste ore, col parere negativo già espresso dai custodi e della procura. Risulta facile capire quindi che cosa significhi per chi lavora in un contesto già complicato per ragioni intrinseche riuscire a mantenere il giusto distacco da questo tipo di bombardamento pressochè quotidiano. Ma se per quanto riguarda le vicende giudiziarie dello stabilimento e della proprietà si rimane sul piano dei proclami, le questioni produttive fanno ricadere immediatamente i loro effetti sui lavoratori. La procedura di cassa integrazione annunciata per quai 2000 lavoratori dell’area a freddo, quella per intenderci non interessata dal sequestro, è andata avanti spedita nonostante il no dei sindacati. L’azienda infatti, preso atto dell’indisponibilità delle rappresentanze dei lavoratori a trattare senza il Piano Industriale e dovendo rispettare una procedura con tempi e modi ben precisi, da lunedì 19 Novembre ha dato seguito alla sua intenzione collocando i primi lavoratori in ferie forzate. Ed è proprio il piano industriale dell’azienda il grande assente. La nuova AIA è stata approvata ma l’ILVA subordina l’applicazione della stessa al dissequestro degli impianti, ricevendo anche le precisazioni dal ministro dell’Ambiente per il quale “non ci possono essere impedimenti che possono giustificare il fatto che non si applichi; se il sequestro degli impianti fosse un impedimento, mi auguro che venga rimosso“. Da parte loro i sindacati con una posizione unitaria hanno dichiarato la loro indisponibilità a trattare senza il piano industriale sul tavolo.
A meno di improbabili (impossibili) sorprese il Giudice per le Indagini Preliminari rigetterà la richiesta di dissequestro avanzata dall’azienda e supportata non da controperizie organiche ma da “osservazioni sulle perizie” commissionate dalla magistratura, bollate come “totalmente inaffidabili”, poiché “l’ILVA rispetta le normative e tutte le prescrizioni dell’AIA”. Di più “secondo la letteratura sono valori entro i limiti accettabili“; in una scala di valori elevati, elevatissimi, medi o bassi i valori di Taranto sarebbero per stessa definizione dei periti “medio-bassi” e “starebbero abbondantemente dentro i limiti”. Sostanzialmente siamo tornati al punto di partenza, con la posizione dell’ILVA che è quella che per anni veniva portata avanti attraverso i rapporti “Ambiente e Sicurezza”. Il presidente Bruno Ferrante oramai ricalca il modus operandi che ha caratterizzato la proprietà sin dal suo insediamento a Taranto. Nulla di nuovo sotto il sole. Rimane da capire se arriverà prima la profezia dei Maya o la parola fine su questa vicenda.