Riflessioni di un operaio

di Morris Franchini

Più passa il tempo e più mi rendo conto che il “tempo” è un amico fidato, capace di dare tutte le risposte, di confermare o smentire, di rafforzare le nostre ragioni o di cancellare le nostre certezze. Ed io mi appello spesso ai ricordi e al confronto con quello che vivo: adesso. Ricordo di aver visto e sentito, tempo fa, durante una trasmissione televisiva il Senatore Tiziano Treu, Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale di un certo Governo di Centro-Sinistra presieduto da un certo professor Romano Prodi. Sì, proprio lui che inaugurò lo smantellamento del welfare state con il pacchetto di riforme definito con il suo stesso cognome…ma questa è un’altra storia.
Ebbene, costui affermò che il lavoro manuale era destinato a scomparire, travolto dal vortice irresistibile della cosiddetta New Economy. A distanza di tempo, non solo lui ma tanta altra gente si è accorta che ancora esistono gli operai. Maggiormente ora che, ad esempio, con i casi “FIAT-Marchionne” ed “ILVA” la cosiddetta “classe operaia” è tornata agli onori delle cronache nazionali e non. Chi vi scrive è proprio un operaio, guarda caso dell’ILVA. Non è facile esprimere le proprie riflessioni in un momento come questo, ma proverò a farlo.

Sono entrato in questa fabbrica all’alba degli anni segnati dai record produttivi fino ad arrivare a questi giorni nei quali ci si sente battuti tra l’incudine e il martello. Eh sì, è sempre quella la storia. Una storia triste dai risvolti noir, che ha un nome ed un cognome: ricatto occupazionale e vuoto della politica. Il problema viene da lontano, quando questa città fu scelta come sito strategico per la produzione dell’acciaio, violentandola ed espropriandola della sua natura. Per oltre trent’anni sono state distrutte ogni possibilità di crescita ed ogni attività economica e culturale. Si pensi alla perdita dei “Cantieri Tosi” e della “Belleli”, ad esempio. È stato creato un deserto intorno all’ILVA, senza che quasi nessuno abbia battuto ciglio. In questo contesto il Padrone Riva ha potuto ramificare il suo potere, stringendo a sé i suoi dipendenti, legandoli ad un ricatto asfissiante che li porta addirittura ad affermare che è meglio morire di tumore che di fame. Un ricatto che li porta ad accettare, il più delle volte, condizioni di lavoro ai limiti della sicurezza e dello sfruttamento, ad usufruire di diritti solo se si è “meritevoli”. E in questo legame, per nulla amoroso, è riuscito a scompattare l’unità stessa dei lavoratori, creando distinzioni e rivalità tra essi. Ma la vera e propria ciliegina sulla torta è il fatto che, sulla base di questo ricatto, l’Azienda abbia usato ed usi i suoi dipendenti come scudo o come un vero e proprio esercito da schierare all’occorrenza contro la Magistratura o al nemico di turno. D’altra parte il Padrone Riva, come hanno dimostrato (NdR: e c’è ancora da scoprire…l’inchiesta continua…) gli inquirenti, ha saputo ben comprare la compiacenza di Istituzioni, di politici, della Chiesa, dei mezzi d’informazione e delle rappresentanze sindacali affinché questo sistema rimanesse bello saldo, affamando la loro golosità di denaro ed aiutando a nascondere le loro manifeste incapacità e la loro sporca indifferenza. Sì, perché tutto è stato svenduto qui a Taranto. È stata svenduta la salute della popolazione e dei lavoratori con la loro ormai perduta dignità e la sanità e la bellezza dell’ambiente, è stata svenduta la storia di una città. È vergognoso ed incivile scegliere tra la salute e il lavoro. Tra noi lavoratori c’è la paura ossessiva di perdere il lavoro, pur consapevoli delle scelte criminali di tanti anni, dei danni creati alla salute e all’ambiente, al tanto dolore che c’è. C’è la paura di trovarsi di fronte ad un vuoto politico ed economico che nessuno riuscirà a colmare con scelte coraggiose e brillanti. Sì, perché la politica sembra essere assente e priva di iniziative. Manca un vero e proprio piano strategico per l’occupazione e la crescita economica. Tutti parlano dell’importanza dell’acciaio di Taranto per il “Sistema-Paese” ma dimenticano di mettere la priorità alla vita stessa. Tutti parlano di necessità legate al PIL nazionale, sul tenere in vita lo stabilimento – senza se e senza ma – e non pensano a soluzioni alternative e a possibili riconversioni, mettendo la priorità ad una visione di territorio vivibile e funzionale. Tra di noi moltissimi, ormai non credono più nemmeno nel sindacato. Infatti sento spesso dire: «Non ci sentiamo rappresentati. Ci cercano solo per il voto delle rappresentanze in fabbrica. Dovrebbe essere diverso, invece. Dovrebbero parlare di più con noi». Qualcuno rincara dicendo «Con noi dovrebbe parlare l’azienda. Noi vorremmo un dialogo diretto con il Signor Riva, ma è quasi impossibile. Vorremmo dirgli che abbiamo contribuito a far crescere l’ILVA. È il caso di ricordarselo ora che le cose vanno male». Il problema è che tutto il sistema è saltato: dall’ILVA alle relazioni industriali fino alla maniera di fare sindacato…è tutto da rivedere. Ci sentiamo soli, ci sentiamo essere chiamati “assassini” e “complici” da sedicenti ambientalisti…già, gli ambientalisti che si dividono fra loro e sembra che facciano a gara a chi si pone meglio sulla scena. È questo il guaio: la divisione…perché di fatto Taranto è una città divisa. Questo vuol dire essere tra l’incudine e il martello, questa è la sensazione e queste sono le mie riflessioni. Bisogna superare il conflitto “ambiente-lavoro”, che fino ad oggi ha visto gli operai contrapposti al resto della popolazione. Ricercare l’unità di fronte ai problemi comuni, dunque! La nuova “classe operaia” deve avere la coscienza di rappresenta la storia “viva” di una classe economica e sociale il cui corpo è composto da più di un miliardo di lavoratori nel mondo. Un vero e proprio “gigante” che, a tentoni, sta cercando la sua strada, impegnato in mille battaglie, lusingato da mille sirene, utilizzato da mille padroni. Ma, accomunato da un comune destino e da una comune lotta che la distanza, la diversità delle lingue, la pluralità delle culture e dei miti non hanno potuto incrinare. Dobbiamo, cittadini riappropriarci della politica, non più delegare ma essere parte attiva! Perché la politica deve dare tutte le risposte. Perché la Politica non è il teatrino di quattro buffoni che si agitano in salotti di ogni tipo, no, la politica è fatta e dev’essere continuata a fare da persone reali con i loro bisogni reali! Abbiamo il dovere di investire tutte le nostre forze nel rilancio dell’unione della popolazione tarantina e non, nell’elaborazione di basi politiche, programmatiche ed organizzative che possono riaprire un percorso credibile, dare forza a quel movimento reale che opera per cambiare lo stato di cose presente. Lo dobbiamo a noi, ai nostri figli e alla nostra bellissima terra.

Riflessioni libere di un operaio libero.

 

1 comment

  1. Giorgio Giannico Dicembre 8, 2012 1:31 pm 

    Caro fratello,
    le tue sono riflessioni più che lecite e cariche di verità. Quando parli di divisione, parli del problema reale di questa città, perchè sembra essere la città dei due pensieri oltre che dei due mari. In contrapposizione abbiamo salute e lavoro, dove antrambe si scontrano senza vinti e vincitori, ma solo con una notevole perdita di risorse umane da veicolare contro questa politica malata. La storia ci insegna che solo l’unione può dare forza ad un popolo, ed è quello di cui abbiamo bisogno in questa città. Come Te, mi auguro ci sia sempre più consapevolezza da parte dei cittadini (operai e non) e sensibilità nelle tematiche politiche e sociali della nostra città, solo così si potrà sperare in una rinascita!

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