di Serena Miccoli
Il Regno di OP a Taranto non esiste. Più che di Regno potremmo parlare di ambasciata, se consideriamo lo spazio ricavato dal reparto di Ematologia all’Ospedale “Nord”: la cadenza delle degenze dei “grandi”, infatti viene spezzata da una stanza, dove si trovano due lettini piccoli e una culla.
Ma il Regno di OP, tanti piccoli e famiglie del tarantino lo conoscono bene: quello del Policlinico di Bari o del Gaslini di Genova, delle strutture di Milano, Roma o Firenze; “regni” di città lontane, troppo lontane da Taranto, dagli affetti e da quel lavoro che un genitore delle volte lascia.
Anche la giornalista Paola Natalicchio, mamma di Angelo, quel regno lo conosce bene. E lo racconta. Prima l’esperienza del blog, poi – dopo tempo e riflessioni – il libro, portano alla luce storie di persone che i giornali non raccontano. 1500 bambini ogni anno forse sono pochi, o una notizia di malasanità è più fragorosa; forse la parola cancro fa ancora paura: non si spiegherebbe altrimenti la vasta gamma di eufemismi che poco addolciscono la sostanza.
Paola racconta “una quotidianità nel reparto di oncologia che esiste”, e lo fa serenamente e pubblicamente, scavalcando la vergogna della malattia: una quotidianità segnata dai guanti blu, che i bambini chiamano “i guanti dei Puffi”, quelli che le infermiere utilizzano per le chemioterapie per non contaminarsi; dai nomi dei farmaci che i genitori imparano a conoscere; dai giochi, dalle playstation, dalla ludoteca, dall’odore dei pop corn cotti per i bambini. Ma a scandire questa quotidianità ci sono anche momenti come l’arrivo dei nuovi piccoli pazienti e le famiglie, i quali hanno subito uno sconvolgimento umano ed emotivo pari a quello conseguente ad un incidente stradale, a quello scontro contro il guardrail, di cui parla l’autrice, improvviso, senza preavviso, inaspettato: quello che mai dovrebbe investire un bambino.
Il Regno di OP è “quell’angolo del Grande Ospedale dove si curano i bambini. Non i malati. Proprio i bambini” e non – continuando ad utilizzare le parole dell’autrice – un braccio della morte. I medici, ovvero i coraggiosi pompieri “che scelgono l’inferno e cercano di spegnerne l’incendio”, gli infermieri trovano nel libro parole che descrivono il proprio coraggio, l’onestà, la ricerca di quella chiave per liberare i bambini dal regno di OP: in una sola parola l’umanità. Paola ci racconta che riceve molti messaggi dai lettori del blog e del libro: alcuni di questi sono proprio di studenti di medicina che scelgono la specializzazione in Oncologia Pediatrica.
Il racconto della vita nel Regno di OP è l’occasione per Paola e per coloro i quali vivono in questa realtà per chiedere servizi: l’assistenza alle famiglie è delegata alle associazioni, al volontariato, alle fondazioni religiose. Al Sud la situazione che ne risulta è ulteriormente penalizzante, considerando la carenza di strutture nelle vicinanze, e la necessità di veri e propri viaggi della speranza verso quelle città in cui gli Ospedali offrono l’adeguata assistenza ai piccoli. Gli alloggi in questi luoghi – anche questi – al momento sono forniti da privati o associazioni.
Paola ha presentato il suo libro a Taranto sabato 1 Dicembre, dinanzi ad una platea costituita per la maggior parte da ragazzi del liceo che, sotto la guida dei proprio docenti, la prof. Schiavone in testa, hanno affrontato la lettura e i temi del libro. Temi sentiti nella nostra città ed affrontati nelle scuole così come doveva essere, forse, già da tempo. Ciò che ha colpito è stata la delicatezza dell’autrice nel condividere quanto raccontato con un pubblico così composto: non ha fatto schermo della propria preoccupazione che i temi che si accingeva a raccontarci potessero intimorire i piccoli – davvero piccoli – scout e gli adolescenti presenti.
Un rispetto per l’infanzia e l’adolescenza immenso e che fa riflettere. L’incontro con il mondo della malattia, a Taranto come in provincia, è esperienza violenta, che coglie inaspettati, che non si cura della tua età: un parente, un amico, il compagno che lascia il banco vuoto per qualche mese a scuola. Se da una parte la società ha il dovere di annullare l’isolamento delle persone ammalate non lasciandole sole e non emarginandole ma sostenendole adeguatamente, dall’altra dovrebbe vigilare affinché i piccoli non perdano la dimensione della propria infanzia, della spensieratezza, del gioco a fronte di un carico di problemi, preoccupazioni e rabbia, che talvolta si evince dalle proprie parole e dai disegni, troppo grande per le loro spalle.