di Roberto Orlando
Permetta, premetto: non ho visto il Suo spettacolo, sinceramente non ci tenevo così come Gramsci non ci teneva a mettersi nei panni degli avversari. E per questo correrò il rischio di risultare ingiusto. Ma la citazione gramsciana è solo un appiglio per promuovere una discussione, non certo per mettersi a paragone con un gigante del pensiero moderno.
Ho seguito però la sua pagina facebook ACCIAIOMARE, ricca del Suo pensiero e del suo spettacolo. Ricca anche del dibattito verso i cosiddetti “ambiental-qualunquisti” (a proposito, ha avvisato l’Accademia della Crusca di questo neologismo? Ci pensi prima che lo faccia la dirigenza ILVA, visto che l’azienda ha utilizzato – che strano! – questo termine nelle ignobili lettere di ringraziamento al Ministro Clini). Ricca, insomma. Di un po’ di tutto. Soprattutto di una visione della realtà personalissima e rispettabilissima, ma che, caro dottor Mellone, non piace a molti. Me compreso. Ah, permetta questo pettegolezzo, dottor Mellone, ma non posso esimermi dal dire che il suo pensiero e la sua visione del mondo non piace nemmeno a tanti spettatori che hanno visto il Suo spettacolo a Taranto, ma che preferiscono “adorare il bambinello” piuttosto che arrischiarsi in un più sincero e virile: “Mellone, che cazzo dici?”
Parlo quindi anche per questo motivo, mettendoci la faccia di tarantino che ha deciso di vivere a Taranto (perché è troppo facile andar via); di militare che conosce i tanti sfregi fatti negli anni passati dalla Marina al nostro mar Piccolo che non rinnega né nasconde; di giornalista al quale non piace legarsi, a prescindere, alle schiere degli adoratori di bambinelli.
Il suo pensiero non mi piace dottor Mellone, non per partito preso, ma per differenza culturale. “dedicato ai 500 caduti del siderurgico di Taranto sul fronte dell’acciaio”, campeggia sulla sua pagina facebook. Parto proprio da questa epigrafe, cara a qualche nostalgico e a qualche fanatico. Lei utilizza le parole “caduti” e “fronte”, due termini che richiamano il tema della guerra e della battaglia. Permetta, dottor Mellone, questa piccola analisi semiologica, perché uno dei noccioli della questione è proprio questo. “Piazza Caduti di Nassiriya”, “Via Caduti di tutte le guerre”, “Via Caduti delle Foibe”, ne è pieno lo stivale. Il fronte, occidentale, orientale, il fronte, dove i nemici si affrontano. Dove si combatte, dove si muore. Perché paragonare un periodo storico (perché l’ILVA è una parentesi della storia di Taranto, non LA storia come Lei sostiene) a suggestioni “sturm und drang”?
Cosa c’è di tanto esaltante in tutto ciò? A che serve paragonare la costruzione di un’impresa (economica, non di certo epica) ad una battaglia dai toni quasi wagneriani (o dannunziani?) contro i limiti stessi dell’uomo e della natura? A che serve avere questo approccio belligerante da Ventennio quando nell’innalzamento di una impalcatura di un altoforno c’è semplicemente la costruzione onesta del proprio lavoro e quindi del proprio futuro (cosa molto più nobile e sensata della battaglia e della guerra)?
“Gli uomini che fecero l’impresa”, dice Lei nella dedica al suo spettacolo. Non riesco, dottor Mellone, a pensare a nient’altro che alle tante mortificanti storie e storielle da Italsider e da ILVA, altro che “impresa”… Basta semplicemente sollevare il velo della storia per scoprire la putrida verità della parentesi siderurgica nostrana da Lei ostentata sfarzosa e grandiosa. Cos’era l’Italsider prima di passare sotto padron Riva? Era semplicemente una delle mammelle statali dalla quale succhiare più latte possibile. Né più, né meno. Non ci vedo niente di grandioso in tutto questo: Taranto all’epoca viveva nella ricchezza, ma a che prezzo? Questo è l’orgoglio che Lei prova? C’era (e questo non è qualunquismo, ma testimonianze reali) chi si andava a coricare all’Italsider spacciando il proprio sonno per “lavoro straordinario”. Tanti soldi in tasca e voilà, ecco la casa, la macchina e la villa (abusiva) sulla litoranea. Quanto costava l’Italsider all’Italia intera? E quanto è costata nel momento in cui è arrivato il ferrivecchi Riva? Chi ha fatto l’impresa vera? Chi ha lavorato con onestà e magari ci ha lasciato la pelle o chi si è lasciato comprare dalle mazzette di Emilio Riva? Lei ravvede da qualche parte a Taranto una classe politica o sindacale degna di tale nome? Vede un lavoratore nobilitato dai ricatti dei capetti di Riva o una guerra di potere, di oppressione, di soprusi? Vede un effettivo progresso sociale, o una città ultima in tutte le classifiche di vivibilità?
Mi associo con Lei sul fatto che la Legge 231 del 24 Dicembre 2012 sia una bella legge. Magnifica, che rende giustizia al lavoro e alla salute. Ma, dottor Mellone, a Lei piace essere preso per il culo? A me sinceramente no e questa legge è, nei fatti, una presa in giro. Basta porsi delle domande, illustrando la storia senza misticismi teatrali. E senza ricadere nel qualunquismo ambientalista (neologismo ormai abusato, lasci perdere l’Accademia…). Per fare le bonifiche servono soldi. Riva ce li ha? Nel momento in cui Riva abbandonerà baracca e burattini (a proposito, tutti quegli operai e cittadini che lottano per evitare tutto questo vanno sempre classificati come ambiental-qualunquisti?) cosa succederà?
Io la mattina prendo l’autobus per andare a lavorare, scendo la rampa Leonardo Da Vinci per entrare in Arsenale e, girata l’ultima curva prima del cancello della banchina torpediniere, mi appare davanti uno spettacolo grandioso, maestoso. Città vecchia, baciata dal sole del primo mattino, il mare, il Rione Tamburi e le ciminiere a fare capolino. E mi chiedo ogni mattina: “cosa succederà domani?”