di Fabrizio Baggi
Negli ultimi anni i termini lavoro a tempo determinato, precariato, lavoro in somministrazione, collaborazione coordinata e continuativa, collaborazione a progetto, scadenza del contratto, rinnovo, e molti altri sono entrati di prepotenza nel parlare comune, se si tratta l’argomento lavoro.
Abbiamo iniziato ad abituarci a questi vocaboli, fino ad allora praticamente sconosciuti ai più, tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio degli anni 2000, quando anche attraverso la legge “Biagi” le aziende hanno iniziato a servirsi, dietro la maschera della crisi , e dei famigerati “Picchi di lavoro”, di lavoratori cosiddetti “in somministrazione” o “interinali”, o meglio le aziende iniziarono ad acquistare lavoro dalle agenzie interinali, che svolgevano le fasi di ricerca del candidato, primo colloquio, assunzione, retribuzione, versamento degli oneri fiscali e previdenza sociale.
A titolo di pagamento, le Aziende mandatarie versavano il denaro necessario ai pagamenti di stipendi e contributi e la maggiorazione per il servizio svolto all’agenzia.
Più costoso certo ma, decisamente, più comodo, soprattutto per il motivo che ci si trovava con lavoratori disposti a tutto, silenziosi, per lo più non sindacalizzati, spaventati e ricattabili.
In base al giusto mix di attitudini ed esperienze del candidato coi bisogni delle varie aziende venivano fatti incontrare ed iniziava il rapporto di lavoro a 3:
- Lavoratore che produce e non si lamenta di nulla
- Azienda che lo addestra al lavoro e non ha nessuna preoccupazione, può sfruttarlo fin quando gli pare, e poi alla prima scadenza di contratto liberarsene o continuare.
- Agenzia interinale che con il giro di denaro si arricchisce.
Il lavoratore era a tutti gli effetti un dipendente dell’agenzia e non dell’azienda, la quale si preoccupava solamente di far pervenire , insieme alla maggiorazione per il servizio, stipendi e contributi all’agenzia; quest’ultima, con un astuto gioco di interessi bancari, teneva il denaro, 5 giorni sui suoi conti, e poi pagava il lavoratore.
I contratti erano mediamente di 15/20 giorni l’uno, e si potevano avere consecutivamente un massimo di un contratto e 2 rinnovi. Allo scadere del secondo rinnovo, la proprietà era obbligata(in teoria) a risolvere il contratto o a trasformarlo in un regolare “Contratto a tempo indeterminato”, stipulato tra lavoratore ed azienda, escludendo l’agenzia. Ma, come tutti immaginano ,sanno, ricordano, fatta la legge fatto l’inganno, il contratto scadeva, si faceva uno /due giorni di pausa, a volte solio il fine settimana ,ed il conteggio ripartiva.
Con questo periodo si entra nell’era CHE FU POI CHIAMATA L’ERA DEI PRECARI.
Le conseguenze poi sono state ovvie, ovvero:
- Perdita di iscritti al sindacato (“per paura di non essere richiamati per un nuovo contratto”)
- Ricattabilità (“Se ti azzardi a stare a casa mezza giornata il prossimo contratto te lo sogni”)
- Sfruttamento (ore di straordinario nettamente superiore al consentito)
- Nessuna lamentela (“se non ti sta bene c’è la fila fuori che vuole sostituirti”) e di conseguenza, totale mancanza di tutele.
Unico lato positivo era la regolarità dei contratti, che erano, salvo per la durata determinata, dei contratti con tutti i requisiti del Contratto Nazionale (tredicesima, quattordicesima, tfr, maturazione dei giorni di ferie retribuite, permessi, rol, malattia, infortunio).
Gli oneri accumulati venivano liquidati con l’ultima busta paga , data la situazione di precarietà nessun lavoratore/lavoratrice interinale ha mai usato un giorno di ferie o permesso.
Nell’orrore di tutto questo, oggi come oggi la situazione è peggiorata ulteriormente.
Oggi le Agenzie Interinali non ci sono praticamente più, per quanto riguarda il lavoro da operaio, le poche che resistono non hanno la benchè minima offerta da proporre, ed hanno lasciato spazio alle cooperative.
Arma ben più temibile e letale per la tutela dei diritti dei Lavoratori.
Attorno alle cooperative, sono state dette una quantità ingombrante di cose, di cui l’unica vera e certa è che hanno alzato ancora di più il livello di precaroetà e ricattabilita, portando la dignità lavorativa ad un clima “pre-statuto dei lavoratori”.
I contratti che vengono offerti da queste aziende vere e proprie (altro che cooperative come si definiscono), con tanto di amministratore delegato, consiglio di amministrazione e proprietario, sono a dir poco offensivi nei confronti dell’intelligenza umana, studiati per annientare totalmente anche quell’ombra di tutela che esisteva per i precari di prima generazione.
Si tratta infatti di una tipologia di investimento, dove non si necessita di nessuna conoscenza imprenditoriale, infatti chi apre una cooperativa che dà lavoro in appalto, non fa altro che un investimento sicuro, dove, in parole povere, si impegna mediante contratti con le aziende mandatarie a produrre una certa quantità di lavoro, in un certo periodo di tempo, inviando i suoi soci-lavoratori nell’azienda in questione, che verranno indirizzati ed istruiti sui compiti e sulle mansioni da referenti aziendali, anche se la legge che regolamenta la categoria dice che i reparti in appalto dovrebbero essere totalmente gestiti da personale in appalto. Quest’ultima condizione non si verifica praticamente mai.
In questa nuova formula, l’azienda paga alla cooperativa il servizio resole praticamente a cottimo, e la cooperativa paga ed assicura le lavoratrici ed i lavoratori al minimo consentito dalla legge, la maggior parte delle volte addirittura sotto la soglia del contratto nazionale (in pieno Art.8 legge Sacconi) facendo perdere ogni diritto, con delle clausole scritte nelle 17 pagine di contratto e regolamento interno. Per portare alcuni esempi: la malattia pagata dal quinto giorno (e se quando sei in quella condizione fai 5 gg di malattia vieni messo a finire la durata del tuo contratto a casa ad aspettare invano che squilli il telefono e che ti dicano che dal giorno dopo ricominci a lavorare), totale non rispetto delle normali regole aziendali (obbligo tacito mediante ricatto psicologico a fare tutti gli straordinari richiesti in alcuni periodi e lunghe attese a casa non pagato durante altri periodi) tredicesima mensilità inesistente, buono pasto inesistente, retribuzione al 1° giorno del secondo mese successivo a quello lavorato, perdita del diritto all’indennità di disoccupazione per un contributo legalmente non pagato dalla società cooperativa, ferie e permessi che non maturano, e maggiorazione sulle ore straordinarie inesistente.
L’arma del ricatto sempre sguainata, insomma; si vedono anche direttori prendere i nomi die socio-lavoratori che si azzardavano ad entrare nella sala di assemblea sindacale.
La totale mancanza di necessità di esperienza manageriale e la sola prerogativa per aprire una cooperativa diventa il capitale, fanno si purtroppo che le stesse siano in alcuni casi dei lavandini per denaro mafioso.
Tutto questo è seguito da una quota che viene forzatamente prelevata dalla prima busta paga, 50 Euro, e resa con la risoluzione del contratto che rende i lavoratori dei socio-lavoratori virtuali, ovvero , perdono la difendibilità e le tutele in quanto soci, ma non hanno il benchè minimo potere decisionale su loro stessi e sul collettivo aziendale, in quanto lavoratori, dato che la cifra versata e poi resa è tanto irrisoria da non poter minimamente aver voce in capitolo.
Inutile dire che è una situazione estremamente dilagante, lasciata nell’ombra e che avrebbe bisogno di essere denunciata a piena voce.
L’italia è una Repubblica democratica fondata sul Lavoro e non sullo sfruttamento…..