di Giuseppino Pittalis
Arbeit macht frei!
Certo che un incipit del genere il 27 Gennaio immediatamente ti rimanda indietro nel tempo e ad un datore di lavoro che sicuramente nessuno si augurerebbe di avere.
Solo che a quei poveri lavoratori il contratto e l’orario era stato imposto e la dignità era stata del tutto annullata.
La dignità che ti viene dal lavoro, la dignità oltre quel cancello, la possibilità di godere appieno di quella che è una necessaria dimensione esistenziale.
Ma non sto parlando del cancello di Auschwitz ma di quello di Teleperformance e a dispetto di quello che dice Guccini nella sua canzone in quei giorni non c’era la neve anche se erano comunque freddi giorni d’inverno.
Sto parlando di quello che è successo in quei due giorni davanti ai cancelli, sto parlando della lotta dei dipendenti per la salvaguardia del loro lavoro, della rabbia e della tensione, delle emozioni condivise e delle speranze , di quello che hai costruito e che qualcuno vuol far crollare.
All’inizio sembrava la cronaca di una morte annunciata, di un risultato scontato , che il buon Tonino Carino in un improbabile paradosso calcistico avrebbe liquidato da Ascoli con il classico “meglio perdere una partita 6 a 0 che 6 partite 1 a 0”.
Ma non si era tenuto conto di una cosa.
In quei due giorni davanti a quel cancello (in verità sono due ) era presente una parte della popolazione tarantina, un generazione di giovani e meno giovani di questa città che sul piatto non aveva intenzione di mettere il continuare a vivere nell’insicurezza , che non voleva rientrare nel precariato come unica fonte di impegno lavorativo.
E quel giorno davanti a quel cancello qualsiasi sociologo avrebbe avuto a disposizione materiale per uno studio approfondito su una fetta di popolazione che in quel momento stava lottando per la dignità , la dignità che non è concessa a chi sta rischiando di vivere un processo di instabilità lavorativa ed esistenziale, che sta facendo fatica a immaginare il suo futuro in assenza di un reddito sicuro che possa permettere di programmare il domani.
E’ al di là di quel cancello che si gioca la partita.
E’ al di là di quel cancello che si parla di lavoro per salvaguardare il futuro dei propri figli.
E’ al di là di quel cancello che si sono fermati per due giorni i “lavoratori” (sì perchè a me non piace la parola “risorse”, mi sa tanto di qualcosa che si esaurisce) che fermamente non accettavano a priori quell’equazione che come somma tra occupazione e diritto dava il risultato di zero o che a maggiore lavoro dovesse corrispondere per forza di cose una minor tutela.
Quella mattina al di là di quell’immaginaria linea gotica c’è la mamma single, c’è la moglie del dipendente Ilva, c’è il padre di famiglia, c’è il laureato che non vuole abbandonare i due mari, c’è la coppia che si è conosciuta e sposata e grazie a quel lavoro ha pure fatto un figlio.
E tutti con un massimo comune divisore: nessuno a casa, nessun ricatto occupazionale.
Si è stanchi di subire, di vedere l’inerzia con cui non sono cercate soluzioni che valorizzino il capitale umano, di sentire parlare di incidenza del costo del lavoro elevato rispetto alla produttività quando invece sono altri i costi su cui si puo’ intervenire, di delocalizzazione selvaggia.
Ma anche al di qua di quella linea purtroppo c’è qualcuno, qualcuno che non crede a quello che la maggior parte dei colleghi sta facendo, qualcuno che pensa ” tanto è tutto gia scritto”! (E vanno al lavoro già dalle 6,30 perchè mangiano tutti la stessa marca di biscotti che puoi vedere qui)
Poco male!
Eppure a questo sciopero non si era arrivati impreparati. Tutt’altro.
Erano state organizzate assemblee, la donazione di sangue in azienda che ci aveva fatto finire su Rai 3, presidi e manifestazioni.
Ma forse non erano bastati!
A Roma la trattativa si preannunciava difficile, ma di questo se ne era consapevoli. La mediazione non è mai facile e l’equilibrio tra le parti rischia di saltare ancora prima di iniziare il confronto.
Da un lato l’azienda dall’altro un fronte sindacale compatto (compreso quelli di quel sindacato che come diceva Camus “sono come le scimmie: piu’ salgono in alto e piu’ mostrano il culo ” e si sono aggiunti all’ultima ora dopo aver remato contro), in mezzo 621 esuberi.
Al di là di quel cancello chi ha scelto di scioperare per dare forza a chi li rappresentava in sede ministeriale, chi aveva scelto di non svendere la propria dignità, di perdere dei giorni di lavoro oggi per non perdere del tutto lo stipendio domani.
L’aria è tesa, le notizie si rincorrono, gli animi iniziano a scaldarsi.
La gente va e viene.
E si va avanti così, per 40 ore, con i numeri verdi che rispondono che a causa dello sciopero indetto ci sono i disservizi, con un tavolo che salta e si ricompone per ben quattro volte al ministero, con un orecchio ad un telefono ed un occhio su fb aspettando notizie.
Alla fine l’accordo si è trovato, soddisfacente per i lavoratori e per l’azienda.
E adesso si dovrà ricominciare con la consapevolezza che a Taranto continua a esserci l’eccellenza dei call center italiani e che adesso si potrà progettare un percorso in cui lavoro e stabilità potranno cammine insieme di pari passo ad azienda e lavoratori.
Alla fine la dignità che non si è svenduta, la forza dei lavoratori che con le unghie hanno difeso ciò che avevano costruito in sette anni, ha dato i suoi frutti.
La forza di quei lavoratori che il Lunedì successivo hanno varcato quel cancello e lo hanno fatto a testa alta a differenza di chi invece lo ha fatto a capo chino.
E quei lavoratori che invece non ci credevano, che dicevano che era tutto scritto , giustamente come dice Agostino, dovranno pensare quando si vedranno accreditare nei prossimi mesi lo stipendio, che è un regalo di quei lavoratori che invece hanno capito che come diceva Martin Lutero che “per respingere il diavolo bisogna mostrargli il culo e scorreggiargli nel naso”.
Giuseppino
Ps: Stamattina sono stato da Franco l’ortolano per la solita spesa con annessa discussione socio-politica ed ho notato che i finocchi sono stranamente posizionati più verso la sinistra dell’esposizione. Cambiano i tempi o gli ortaggi? Mi ha altresì confermato che lo stacanovista è in realtà un uomo virile di origine ecclesiale.