di Cosimo Spada
Giovedì sera di due settimane fa eravamo in macchina io, Domenico e tutto lo sporco impossibile di quella macchina che prima o poi dovrò lavare. Si parlava di vecchie cariatidi della musica e non solo. Ad un certo punto mi è uscita la seguente frase: “La morte è un lusso che non tutti si possono permettere”.
Prendete ad esempio Vasco Rossi: ora, io mica gli auguro la morte, ma non era forse meglio lasciare questo mondo al massimo del proprio successo, con solo buoni album da ricordare, che beccarsi un vecchio che bercia davanti Facebook e scrive canzoni che sono ridicole parodie della grammatica italiana? Se Vasco avesse deciso di comprare una scala per il paradiso dopo la pubblicazione di “Nessun Pericolo per Te” oggi lo ricorderemmo con commozione. Grande album quello, l’ultimo che merita di essere ricordato, Eh già…..
Ma vi ripeto che non voglio fare il menagramo, è il mito che ci tramanda questa lezione. Ve lo ricordate il mito di Achille? Non Achille Occhetto imbecilli! Achille, quello del tallone, no? Ma per caso avete studiato all’istituto commerciale?
Raccontato in poche parole: alla madre di Achille, Teti, predissero che il piccolo aveva davanti due possibili vite: una lunga ma anonima, ed una breve ma eroica. Teti, pur inconsapevolmente, scelse la busta numero 2. Ma voi, cari amici zoticon,i correte a comprare un buon libro sulla mitologia greca, ne guadagnerete in cultura. Guardate tutti quelli che ammirate: Jimi, Jim, Janis, Nick, Sid, Ian. Ognuno di loro si è beccato una generosa dose di immortalità lasciandoci le penne.
La morte ha anche altri vantaggi. Eleva tutti. Prendete uno come Sid Vicious: non aveva alcun talento musicale e in vita non fece granché, ma ancora oggi è un simbolo del punk e della ribellione giovanile. E che dire dell’esempio eh? No dico dove lo mettiamo l’esempio che si lascia ai posteri? Lo avete studiato Foscolo a scuola, le “vite de i grandi”? No? Sono ormai convinto che voi abbiate studiato all’istituto commerciale. Foscolo sosteneva che le tombe dei grandi uomini fossero di esempio e di guida per i posteri. Come vedete la morte non è proprio la fine di tutto.
Ecco, detto questo mi auguro che questa immortalità sarà donata al più presto a Mark Linkous, meglio conosciuto come Sparklehorse.
Il progetto Sparklehorse è sempre stata la one man band di Linkous. Il quale per tutta la sua vita ha sofferto di crisi depressive, arrivando al suicidio nel 2010.
Di tutti i suoi album vi consiglio sicuramente It’s A Wonderful Life.
Pur essendo quasi tutta la sua produzione improntata ad una sorta di folk elettrico, non sono mai mancate nella sua musica anche delle sonorità più aggressive, come ad esempio la bellissima Pig, contenuta nell’album precedente Good Morning Spider. It’s a Wonderful Life è un album più omogeneo nella scelta delle sonorità, decisamente lente, anche se non mancano episodi dove questa quiete viene ad “incresparsi”, come in Piano Fire, o Dog Door. Per la realizzazione di questo album Linkous si avvalse della collaborazione di grandi nomi della musica per la realizzazione dell’album: Tom Waits, P.J. Harvey, Nina Parsons dei Cardigans. Come dicevo prima in questo album trionfano sopratutto una certa lentezza, molto ben costruita che serve ad accompagnare dei testi che evocano ricordi, sopratutto della giovinezza, con grande nostalgia. Come avviene in Bebies on The Sun, registrata come se uscisse da un vecchio grammofono e che si affida a brevissime frasi per evocare un passato ormai andato “The sound of your voice/Rose graves of cats”. Le atmosfere cambiano radicalmente in Dog Door, realizzata con Tom Waits, e che ne risente tantissimo l’influenza. È sostanzialmente un blues, ma molto originale per l’accostamento di sonorità elettroniche sporcate ad hoc e il vocione cavernoso di Waits in sottofondo. Il cambio di registro in questo album è continuo come dimostra anche la intima Eyepennies, con un pianoforte che con poche note sottolinea un cantato sommesso che ricorda il Nick Drake di Pink Moon.
Mark Linkous non riuscì mai ad uscire dal suo buco nero; questo generò un paradosso: da una parte scriveva ottime canzoni, ma non trovando vie d’uscite il 6 marzo del 2010 si suicidò.
Per tutte le cose che ho scritto sopra credo che Linkous e i suoi Sparklehorse si meriterebbero quel biglietto per l’immortalità che tanti altri hanno ricevuto più o meno meritatamente. It’s A Wonderful Life è un album minimale ma molto elegante, dove Linkous mostra le sue grandi capacità di musicista e di produttore, non risultando mai banale ma anzi molto originale negli arrangiamenti come nella scrittura stessa delle canzoni.
Ed ora cari miei studenti dell’istituto commerciale la lezione è finita, andate a casa e ricordatevi che domani facciamo la verifica scritta.
Mentre scrivevo questo pezzo ascoltavo:
Devendra Banhart, Mala, 2013