di Stella Palazzo
Lo scrivo, perché è questo che so fare e perché quello che ho vissuto e che vivo ha adesso un nome, uno solo, che è lo stesso per me e anche per gli altri che non capivano: endometriosi.
E’ vero, in questi ultimi anni se ne parla sempre un po’ di più, ma la diffusione del nome non è il solo problema. Il problema per me è stato uscire dall’accettazione. Perché accetti giorni in cui uscire da casa è un’impresa, e rispondi con un sorriso a quel collega che sardonico ti dice – “ieri non c’eri”; accetti di abusare di farmaci per stare male sì, ma un po’ di meno; accetti e stringi i denti perché anche andare in bagno è diventato un calvario… e accetti anche di non avere un rapporto normale con il tuo ragazzo, che se ti va bene capisce e diventa schiavo con te di un’abitudine anormale.
E non lo capisci subito che “non è normale” in un ambiente in cui l’educazione al proprio corpo e alla sessualità si ferma al “seme che incontra l’uovo” a scuola, e in famiglia… è meglio lasciare stare!
Quando poi ritieni che la situazione sia diventata insopportabile, fra dolori e litigate con “gli altri che non capivano” di cui sopra, inizi a chiedere aiuto. Per quanto mi riguarda, sono stata sfortunata: pensavo di trovare nel consultorio il luogo per le donne, non solo a livello professionale, ma soprattutto umano dal momento che mi muovevo da sola. Ma l’anonimato, l’essere la risposta ad una raffica di domande su tutto, la scarsa disponibilità di mezzi causata dello stato delle cose nella Sanità, mi hanno fatto sentire su quel lettino come uno di quei quarti di carne esposti in macelleria e mi hanno fatta tornare a casa con in tasca il numero di telefono di uno studio privato e senza la minima speranza di avere una quotidianità quanto meno serena.
Le cose sono peggiorate e il mio stare male non è stata più, finalmente, ritenuta “l’esagerazione” di una stupida ipocondriaca. Nel giro di una settimana la matassa è stata sbrogliata, grazie alla mia famiglia, che ha imparato a superare nell’urgenza qualsiasi tipo di ostacolo, anche mentale, e alle persone che mi sono vicine. Un medico meticoloso è riuscito ad individuare la presenza del tessuto endometriale e dopo un’operazione dovrei trovare finalmente pace.
Scrivo, perché in tutto questo tempo mi sono sentita sola e non capita o perché il mio problema veniva sminuito, o perché l’endometriosi, di cui conoscevo l’esistenza per alcune campagne nazionali e locali, rappresenta per molti ancora un labirinto in cui in pochi riescono a riconoscerne i vicoli e a trovare l’uscita. Non sapendo cosa fare ho accettato, sbagliando, e come me ci sono tantissime ragazze, donne che soffrono di endometriosi senza nemmeno poter dare un nome ai supplizi che vivono.
Se è vero che a Taranto siamo in tante, non fateci ancora brancolare nel buio…