Taranto: “regali” dal dem…anio

di Salvatore Romeo ’85

Se dovessimo descrivere il rapporto tra la città di Taranto e la Marina militare Italiana, utilizzeremmo la metafora del “nodo”, simbolo di forza e solidità, elemento imprescindibile del bagaglio culturale di un marinaio. Come un nodo “di bandiera”, la storia della “città spartana” (fondamentale per la sua posizione strategica nel Mediterraneo) è saldata a quella della Marina militare (all’epoca della costruzione si poteva “fregiare” ancora del termine regia) fin dal 1883, data di inizio di lavori dell’arsenale militare tarantino. Durante i sei anni che intercorsero dalla posa della prima pietra alla fine dei lavori (per cui erano stati previsti due progetti uno, più sfarzoso, affidato al generale Saint Bon ma ritoccato successivamente in chiave più ridimensionata dal generale Chiodo) la classe dirigente tarantina intuì gli enormi potenziali benefici socio/economici che una struttura di tale portata avrebbe potuto garantire; per tale motivo le politiche economiche e sociali della città furono orientate quasi completamente al mantenimento e supporto delle attività militari, penalizzando di fatto quelle categorie cittadine, pescatori e miticoltori in primis, che con l’occupazione dello specchio di mare antistante la spiaggia di S. Lucia in Mar Piccolo, vedevano messe in pericolo le loro attività.

Nei decenni successivi si intuì che la scelta della posizione originale dell’arsenale militare, fu un errore strategico molto grossolano: la ridotta dimensione del mar piccolo non permetteva un’efficace mobilità alla flotta stanziata. Inoltre le costanti aperture del ponte girevole (costruito in quasi contemporanea con l’arsenale) provocavano nocumento agli spostamenti tra la città vecchia (allora vero fulcro della società tarantina) ed il borgo. Per tali motivi fin dal secondo dopoguerra aleggiava tra gli ambienti militari italiani, la possibilità di costruire una nuova base navale, questa volta da dislocarsi in mar grande. Questa possibilità divenne realtà nel 2004 ma già molti anni le attività dell’arsenale “vecchio” tarantino furono drasticamente tagliate (e con loro migliaia di posti di lavoro principalmente di natura “civile”).

Ciò che rimane a Taranto di oltre cento anni di rapporto di collaborazione tra la città e la marina Militare (prevalentemente sbilanciato a favore di quest’ultima n.d.a.), oltre che un muro divisore (lungo decine di chilometri) tra la città “civile” e quella “militare,” sono le diverse centinaia di istallazioni sparse principalmente per le vie del borgo. I cittadini rivendicano da anni l’esigenza di riappropriarsi degli spazi e delle strutture ormai inutilizzate dalla marina, a parziale recupero dei privilegi concessi a quest’ultima, nella speranza di un (vano) rilancio economico del territorio.

In questi giorni a Taranto, in seguito alla ufficializzazione del passaggio dal demanio militare alla città di Taranto di alcune strutture militari, si è riaperto il dibattito sul susseguente utilizzo. O meglio si sarebbe dovuto aprire il dibattito. Perché, come accade spesso in città, la cittadinanza non viene quasi mai interpellata nelle decisioni principali inerenti la propria quotidianità; anche quando ciò accade, è attuato in maniera ritardata od allo scopo del tutto consultativo. Per ciò che si apprende dal comunicato ufficiale del sito dell’ Interno[2], i beni demaniali identificati per la restituzione alla città sono “…importanti strutture nel centro cittadino o comunque in zone limitrofe; tra queste alcuni complessi alloggiativi, il compendio ‘ex Caserma Fadini’, il compendio ‘ex Baraccamenti Cattolica’, il compendio ‘ex caserma Chiapparo’ e un’area in Via Ammiraglio Saint Bon…”.

A questo elenco devono essere aggiunte (ad onor di cronaca) le strutture dell’ospedale militare. Ciò che emerge dal precedente elenco, si può notare come nella maggior parte dei casi, ciò che la città “ha ricevuto” dalla marina si riduce a strutture fatiscenti, inutilizzate già da diversi anni, contraddistinte da un elevato grado di abbandono ed una necessità di importanti ristrutturazioni. Mentre per alcune strutture è già previsto un utilizzo ben preciso, come nel caso dei Barraccamenti Cattolica già destinati ad area parcheggio, per molte altre aree è ancora ignoto l’utilizzo finale. Dal comune, nelle parole del sindaco Stefàno, si limitano a sottolineare che la maggior parte delle abitazione ricevute saranno destinate, previa ristrutturazione a spese comunali, alla risoluzione della spinosa questione della “emergenza abitativa”[4]. Per le restanti abitazioni (di maggior pregio sottolinea il sindaco) si paventa una “discussione in città”, senza che vengano però esplicitate le modalità e le finalità di quest’ultima. Data l’ubicazione delle abitazioni di pregio (tutte site nel quartiere borgo) è più che lecito insinuare dubbi su una possibile speculazione da parte di costruttori privati.

Inoltre occorre ricordare che nella lista dei beni del demanio a cui la città era interessata figurava l’isola di San Paolo. In un primo momento, la più piccola delle isole Cheradi era stata inserita nell’elenco delle probabili concessioni che la città di Taranto avrebbe dovuto ottenere dal demanio militare, in seno agli accordi per l’”Area Vasta” stipulati tra Stato ed enti locali. Successivamente, tra l’incredulità dello stesso Sindaco Stefano[3]  previa comunicazione in gazzetta ufficiale dell’ 8 gennaio 2011, la marina militare ha messo all’asta al “migliore offerente” l’isola, nella quale l’amministrazione comunale aveva immaginato l’istallazione di un centro velico. Ciò a dimostrare la pochezza politica degli esponenti politici tarantini sbugiardati a più riprese nelle trattative con il governo.

Come accade troppo spesso, da ciò che emerge dalle parole del sindaco , a beneficiare dei “doni” dello Stato dovrebbero essere i “soliti noti”: i commercianti del borgo (con la conversione in parcheggio dell’area verde dei baraccamenti Cattolica); i costruttori locali (per le eventuali ristrutturazioni degli appartamenti). Nulla che si avvicini alla realizzazione dei “sogni” della cittadinanza, come la concessione di spazi pubblici o centri di aggregazione autogestiti (come rivendicato da diversi gruppi di giovani tarantini) o la realizzazione di centri culturali comunali, parchi ed aree verdi, indispensabili per una città che si ripropone di rilanciarsi a livello culturale nel panorama regionale dominato dalle “solite” Bari e Lecce. Con tali premesse la candidatura di Taranto come “Capitale Europea Della Cultura 2019” (così come proposto dal sindaco di Bari Emiliano in vece di rappresentante della intera Puglia) assume i contorni della presa in giro.

[1] Pietro Massafra – Francesco Carrino – Il Centro Storico di Taranto: il Borgo – Scorpione Editrice – Taranto, 2004

[2]www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/notizie/enti_locali/2013_01_25_benidemaniali.html

[3] http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=396169&IDCategoria=1

[4] http://www.tarantosera.info/index.php?option=com_content&view=article&id=13173:i-beni-del-demanio-militare-consegnati-al-comune&catid=36:giorno-e-notte&Itemid=1028